Capitolo 25
Il giorno dopo ebbi un’idea certamente buona, condivisibile da chiunque. Mi dissi anzi che avrei dovuto averla prima. Noleggiai una Golf e percorsi nell’aria condizionata, in dieci minuti, il solito doloroso percorso che avevo fatto a piedi più volte. Arrivai sul posto e fermai. Pensai di lasciare la macchina e raggiungere l’anfratto. Invece no: suonai il clacson e attesi. Diciamo un minuto o poco più. Suonai di nuovo. Non successe niente. Allora ebbi il prevedibile momento di delusione che arriva sempre nonostante le conferme e riconferme: in albergo avevo noleggiato una macchina per visitare i luoghi della Terra Santa – fatto normale – e avevo suonato il clacson per far salire Dio. Mi dissi: “Chissà cos’è successo nella mia testa”. C’erano certamente nome e casistica per l’alienazione dell’uomo che parla con Gesù. A casa avrei contattato un analista, o un neurologo, per la prima volta in vita mia. Il fatto che un adulto occidentale semilaico e semicredente part time aspettasse quell’ospite in quella situazione poteva dunque rientrare in uno schema di demenza, ma ne ero conscio, lo avrei affrontato e sarei corso ai ripari. Invece no: troppo semplice, perché nella cornice del cristallo di destra apparve la serena icona del mio amico. Quegli occhioni che tutto vedevano, e un sorriso incoraggiante. Dopo i necessari dieci secondi per azzerare l’ultimo pensiero e ricondurre tutto in quella dimensione, abbassai il vetro e allungai il braccio ad aprire la portiera. Dissi: <<Credevo che non venissi... anzi, che non esistessi>>. Annuì alla battuta. Continuai: <<Ho pensato di stare un po’ comodi. Se non hai obiezioni>>. <<Dove vuoi portarmi?>>. <<Non lo so ancora. Ma non preoccuparti, non voglio farti fare l’operatore turistico. Almeno staremo al fresco>>. Salì in macchina, raccolse il lungo panno della tunica e chiuse la portiera. Si guardò intorno, si rese conto poi prese la cintura e se la allacciò. Credevo di averlo solo pensato, invece dissi: <<Che testimonial saresti>>. <<Prego?>> <<Niente>>. Aveva una nuova mise, di due elementi questa volta: sopra la veste color crema una specie di largo mantello poco più scuro. <<Ti sei cambiato>> gli dissi. Parlò dopo un breve intervallo. <<L’altro abito aveva un cattivo odore>>. <<Certamente>>. La naturale domanda seguente sarebbe stata: “Hai qualcuno che ti lava la roba o lo fai tu?”. Ma resistetti. Non volevo disperdere forze su barzellette domestiche e curiosità minimali. Feci manovra e girai la macchina, puntando su Gerusalemme. Dopo due chilometri entrai in autostrada. Tenevo d’occhio una cartina che avevo disposto sul cruscotto. Girai intorno alla città sulla tangenziale, chiamiamola così. Dissi solo tre parole, <<Andiamo a nord>>, e percorsi i quindici chilometri fino alla città di Ramallah, termine dell’autostrada. Entrammo sulla statale verso Balatha, strada di scorrimento veloce. Gesù non apriva bocca. Intorno era una sorta di deserto educato. Rocce, sabbia e tutto pulito, organizzato e forte, la sensazione del meglio che si potesse ottenere da quella natura. Ecco un piccolo paese che sembrava un’oasi, Hwwarah. Gesù guardava intorno. La macchina filava veloce. Il teatro del suo antico lavoro – le regioni dei miracoli, dei grandi raggruppamenti, dei pellegrini che camminavano per mesi – sfilava ai nostri fianchi ed era una questione di minuti. Feci un gesto largo con la mano e parlai. <<Credo che tutto ti sembrerà molto piccolo e insignificante. Camminavi giorni per arrivare qui da una contrada che abbiamo passato dieci minuti fa. In due ore abbiamo attraversato quasi tutta la tua vita... samaritani, perei, galilei, romani, sacerdoti, greci, mercanti, liti infinite da decine di secoli prima di te, il popolo eletto, il figlio di Dio che arriva... tutto in due ore ...>>. Fece segno col capo, con debole sorriso. <<Sì>>. Il cartello stradale mi disse che la cittadina che lasciavamo sulla destra si chiamava Shekhem. Per qualche chilometro puntammo verso ovest, e mi accorgevo del cambiamento, sentivo là davanti, per il tono più verde dei campi e delle colline, la presenza non lontana del mare. Fu a quel punto che trovammo un posto di blocco. Una postazione di una decina di militari. Fermai e guardai il mio compagno che era tranquillissimo, era Gesù. Un militare si avvicinò col mitra puntato. Era a un passo sa me, feci scendere il vetro e sorrisi. Il ragazzo diede un’occhiata e abbassò il mitra. Poi mi fece segno di andare. Dopo trenta metri guardai nello specchietto, la pattuglia stava fermando un’altra macchina. Dissi al il mio amico: <<E se ti chiedevano i documenti?>>. Girammo di nuovo verso nord e a mezzogiorno mi fermai davanti al cartello all’ingresso della cittadina di Afula. Gesù parlò: <<Lì avanti c’è Nazareth>>. Lo avevo già appurato dalla cartina. <<Vuoi che ci andiamo? Vuoi rivedere la tua casa?>>. <<Decidi tu Alessandro>>. <<Avrei un’altra idea. Ma sarà suggestivo visitare con te i luoghi della tua famiglia>>. <<Ripeto: decidi tu>>. Lo guardai con una certa comprensione. <<Forse posso capire che tu non abbia voglia di entrare in una cartolina. È così?>>. <<Lo hai detto alla tua maniera e ne prendo atto>>. <<Se la tua casa è come il sepolcro o la stalla forse non la riconosceresti neppure. Sono grandi negozi. Comunque, sta’ tranquillo, il mio commento si ferma qui, in virtù della tua primaria raccomandazione>>. Il mio passeggero guardava avanti senza espressione. Dissi: <<Vorrei invece raggiungere il Giordano. Vedo che ci siamo vicini>>. <<Sì, siamo vicini>>. Girammo intorno ad Afula e ci trovammo a un bivio. Guardai la carta. <<Quella a sinistra dovrebbe essere la strada giusta>>. Gesù toccò il volante. <<No, è questa, a destra>>. Stavo per domandargli se ne fosse sicuro, ma non lo feci. Al mio fianco c’era il miglior navigatore possibile. Dirigevamo verso l’interno, verso la valle del Giordano. Era ancora deserto, sabbia e pietre. Finché eccolo là, davanti , imponente e scuro, gravemente particolare, il monte Tabor. Il passeggero osservava. <<È tutto cambiato?>>. gli chiesi. <<Non molto>>. La strada girava intorno a un altro paese sorto nella solita zona verde miracolosamente ricavata, si chiamava Bet She An. Eravamo fra colline senza vegetazione. Almeno venti volte mi ero domandato come quel contenitore di caldo, di sassi e di niente avesse Potuto, da sempre, generare movimenti tanto abnormi e decisivi. Gesù disse: <<Prendi quella strada>>. Rallentai ed entrai, a sinistra, in una pista sterrata precaria, a stento identificabile nella sabbia. Avanzammo piano e dovemmo fermarci davanti a una barriera di filo spinato. Un cavalletto di legni incrociati, mobile, non ci vietò di passare oltre, dopo che fummo scesi dalla macchina. Oltre una stretta macchia di arbusti secchi ecco un sentiero che scendeva a un ponte di legno che attraversava una piccola acqua gialla. Gesù mi sorrise. <<Eccolo. Questo è il Giordano ...>>. Stavo per porre la domanda con le stesse precise parole con cui terminò la frase. <<... tutto qui>>. Gesù mi precedette. Scendeva verso il fiume e lo lo seguivo. Il Giordano scorreva fra sabbia e scogli, lento e lontano da ogni mitologia. Arrivammo alla riva. Gesù guardò intorno. Poi si chinò e tolse i sandali. Entrò nell’acqua. Fece tre lenti passi. L’acqua gli arrivò al ginocchio bagnando la veste. Io assistevo dalla sponda. Gesù si chinò e raccolse l’acqua nel cavo della mano. Non so se quello fu il momento di maggior commozione per me. Dico che mi presi una cotta per lui. Circoscritta con fatica a quel minuti, ma certamente una cotta. Era eccesso di sentimento, e voglio raccontare l’eccesso di sentimento. Fu allora che piansi. Cosa c’era in quel fiume? Cosa c’era davanti a me? lo non bastavo a tutto questo. Per cuore e cultura non bastavo. Ma ero lì e cercavo di capire e di sentire. C’era quell’uomo che tornava dov’era già stato. Quell’uomo – ossa carne e sangue, fede o n ori fede, padre o no, celeste o no, spirito certamente presentissimo, nel suo tempo ufficialmente poco rilevato – quell’uomo aveva parlato ad alcuni, che avevano parlato ad altri, poi a molti, e a moltissimi. Adesso tornava e, nell’intervallo, il suo abbrivio aveva creato la nostra vicenda umana, nella quale (quasi) tutti sedevano a tavola, un analfabeta senza un soldo trovava (spesso) un chirurgo pagato per lui, un inquilino batteva in tribunale il padrone del palazzo. Era lì e tutto era esistito per lui. Dio o non Dio non c’era alcun dubbio che senza il suo passaggio anch’io, per esempio, non ci sarei stato. Gli dovevo pure qualcosa, e composi il quadro di Alessandro Forte che esisteva, con la sua famiglia, la città e il lavoro grazie al suo passaggio. E pensai anche al suo dolore. Miliardi di omelie e di racconti avevano appiattito, reso scontato e abitudine quel dolore, reso “banale” appunto. Gli avevano piantato chiodi da mezzo chilo nelle ossa. Una volta, per una piccola vite nel polso, avevo penato due mesi con antidolorifici e fisioterapie. Eppure lui era tornato. Era lì davanti a me e per me. Lo guardai, triste e immerso in quel suo vecchio ricordo sporco e deformato. Gesù nel Giordano, con l’acqua nel cavo delle mani. L’ho confessato prima, il mio eccesso di sentimento. Mi sono lasciato andare, troppo. Farò in modo che non si ripeta. Si mosse verso la riva. Raccolsi i suoi sandali e gli andai incontro. Risalimmo il piccolo sentiero. Al limite dell’argine, fra gli arbusti secchi, Gesù si fermò e guardò ancora verso l’acqua. Raggiungemmo la macchina e ripartimmo. Guidavo verso il lago di Tiberiade. Non mi era difficile interpretare quel silenzio. Era tornato e non aveva più trovato neppure un segno , i ricordi facevano parte di un paese ideale che non esisteva più. Dissi: <<Che disastro eh?… che degrado…>>. <<Eh sì. Ha marciato forte>>. <<Sembra che non lo sapessi>>. <<Lo sapevo. Ma adesso l’ ho toccato con mano>>. L’uomo espirò e guardò intorno le colline e il deserto, e io, che un po’ ormai sapevo interpretarlo, attesi un nome, o un episodio, o una citazione. Che arrivò puntuale. |