Capitolo 15
Dunque, in mezzo alla stanza, c’era mia madre. Era come se non fossero passati vent’anni. L’avevo davanti, con il suo corpo, quel vestito verde che ben ricordavo, e con il sorriso, il primo della mia vita, reiterato milioni di volte. Cercai di governare le pulsazioni. Inspirai profondamente. Cercavo di normalizzare il corpo. Chissà se avrei retto. Anche quella volta pensai che avrei potuto morire. Ma anche in quel momento la mia zona razionale e diffidente tentò una spiegazione in qualche sezione deviata del mio cervello, o in qualche sconosciuto allucinogeno. Un pensiero normale che allentò il trasalimento insostenibile e rallentò opportunamente Il cuore. Ero un ragazzo quando era morta. Era lì, più o meno trentacinquenne, come l’avevo sempre ricordata, rimuovendo il suo aspetto finale, distrutto dalla malattia. <<Mamma>>. Non ebbe reazione: la madre che rivede il figlio dopo tanti anni in un’occasione così... eccezionale. Non mosse niente, niente del corpo, niente del volto. Guardava altrove. Dissi ancora. <<Mamma>>. Poi mi guardò. E ancora non sorrideva. Tesi le mani e le toccai un braccio. Prima sentii la seta, poi le dita. Poi sfiorai il viso: il naso, la bocca. Sentivo la sua pelle, era proprio la mamma. Ed era sempre immobile. Mi aggredì un’istantanea tristissima. Quella del figlio che fa visita a sua madre, quasi vegetale, in una casa di cura. <<Come stai mamma?>>. Niente. <<Stai bene?>>. Niente. <<E papà? È con te papà?>>. Niente. <<Mamma…>> Ero deluso. Ed ero arrabbiato e impotente, e disperato. <<… quel profumo>>. La voce era arrivata, sottilissima. <<Cosa dici? Il profumo?>>. <<Quel profumo… la boccettina rosa…>>. Adesso mi guardava, soffrivo, cercavo di capire. <<Non capisco mamma>>. <<Forse un pochettino c’è ancora>>. <<Il profumo?>>. <<Sì>>. Scuotevo il capo, non c’era memoria, non c’era logica. Volevo farla felice, esserle utile e non potevo. Ed ecco ancora la sua voce sottile. E c’era una piccola evoluzione, un pallidissimo, lontano sorriso, forse. <<La mia poltrona…>>. <<La tua poltrona?>>. <<Comoda>>. Scossi ancora il capo. Cercai di fare del mio meglio. <<Certo, la tua poltrona comoda. Ce l’ ho ancora>>. <<È pulita?>>. <<Sì… è pulita>>. E lì arrivò qualcosa. Mai provato prima, ma ero abbastanza lucido da pensare che in quel contesto poteva essere. Potevo salvarmi nonostante tutto. Prima il bianco, tutt’intorno, poi grigio, poi nero. Tutto nero. Come se morissi. |