Capitolo 13
Malpensa. L’aereo fece un giro di novanta gradi, si dispose sulla pista di decollo, le turbine caricarono la spinta necessaria e ci muovemmo. Poco prima che l’apparecchio si inclinasse staccandosi dal suolo, una mano prese la mia con una certa forza. Guardai sorpreso alla mia destra e assecondai. Anzi, girai il palmo e la stretta fu reciproca. Quando l’aereo si assestò la mia vicina riaprì gli occhi, liberò la mano e mi sorrise. Proprio non avevo fatto caso alla persona che si era seduta accanto a me o, più probabilmente, una volta preso posto, mi ero assopito. La donna, dicevo, mi guardò e immediatamente mi accadde una cosa strana, mi interessai a lei. Fu il colore smeraldo degli occhi e la loro vivacità non proporzionata agli anni che dimostrava. Fu il suo aspetto specialissimo. Chi ha vissuto e costruito molto e bene ha una faccia così. Poca, pochissima gente. Disse: <<La ringrazio giovanotto, e le chiedo scusa>>. <<E perché mai?>>. <<Sa, l’unica cosa che mi fa paura nella vita è l’aereo, anzi, il decollo>>. <<Non è così strano>>. Mi toccò di nuovo la mano. <<Ho molto apprezzato che la sua mano non sia rimasta passiva, ma abbia risposto. So bene di doverlo alla mia età, al fatto di non essere competitiva>>. Pensai che quel linguaggio proprio non si addiceva a una settantenne. Mi parve opportuno essere gentile e appena galante. <<Vedo un’età magnifica>>. <<Davvero? Ottantanove anni?>>. Allora, veramente colpito, cercai qualche parola speciale ed elegante, e anche una piccola esibizione. <<Allora... signora cara...>> <<Mi chiamo Elvira>>. <<Cara Elvira lei deve aver vissuto magnificamente e ottenuto quasi tutte le cose che voleva>>. <<Tutte le cose>>. Mi piacque quella perentorietà. <<Mi chiamo Alessandro>>. Gli inservienti portarono le bevande e i dolcetti. Prendemmo due spremute. Uovvia domanda a seguire fu fatta da Elvira. <<Perché va in Terra Santa?>>. <<Perché ho vinto il biglietto>>. Dopo un breve momento in cui sentii il suo sguardo, forte su di me, disse: <<Credo proprio che la sua non sia una battuta>>. <<Infatti non lo è>>. <<Vuol dire che non aveva di meglio da fare?>>. <<Più o meno>>. <<Non è l’approccio giusto>>. <<No, non lo è... e lei perché ci va?>>. Allora cambiò direzione di sguardo. <<Perché era l’unica cosa che potessi fare>>. <<Lei non mi sembra la turista che parte con un gruppetto di coetanei organizzato dal prete>>. <<Io non ho mai fatto niente in gruppo o che non fosse organizzato da me>>. Sorrisi di nuovo. <<Lei mi incuriosisce davvero. Posso chiederle...>>. Stavo per dire “di cosa si è occupata” ma rettificai: <<... di cosa si occupa?>>. <<Mi interesso di cioccolato>>. Allora qualcosa si mosse nella mia memoria, nebulosa, ma prese quasi subito una forma precisa. La guardai come se avessi scoperto il suo segreto e con l’eritusiasmo che volevo trasparisse le dissi: <<Lei è Marenghi>>. <<Sì, ma non mi voglia male>>. Ecco che capivo. Elvira Marenghi della Marenghi cioccolato. Una storia straordinaria. Quella donna aveva fondato la fabbrica nelle valli di Lanzo, l’aveva retta e la reggeva ancora. Sì, davvero una leggenda. Prodotto, sistemi di lavoro, organizzazione generale, amministrazione, rapporti con dipendenti e sindacati, innovazioni, anche molto ardite. Tutte sue iniziative. Tutto dipendeva da lei. Aveva intuizioni che precedevano di lustri i tempi. Sapevo che creava personalmente le campagne pubblicitarie per i suoi prodotti. E dovevano essere efficaci, se la ditta, partita con pochi pasticcieri appena dopo la guerra, dava lavoro adesso ad alcune centinaia di persone. In fabbrica c’erano figli e nipoti, ma era sempre lei a governare tutto. 1 parenti erano accolti e coccolati, l’Elvira dispensava generosamente denaro, ma non potere. E non mi mancarono notizie dirette perché Elvira parlò volentieri incoraggiata da un mio spunto. Le avevo detto, appunto, dei è una leggenda>>. Dopo il capitolo azienda la donna chiuse gli occhi, per rilassarsi più che per dormire. Li riaprì e disse: <<Se uno va in Palestina con le idee chiare i risultati arrivano. Occorre avere qualcosa di preciso da chiedere, e anche la contropartita da dare>>. <<Sì capisco. Purtroppo non ho idee così precise>>. <<Perché è infelice>>. Sorrisi con un po’ di amarezza. <<Sì, lo so, salta agli occhi>>. <<Lei non è un uomo semplice. È particolare, è intelligente, ma è disordinato. Una combinazione non facile da gestire>>. Aveva ragione, ma non avevo voglia di sentirmi raccontare la mia storia. Domandai: <<E lei? Ha le idee chiare?>>. <<Chiarissime>>. <<Cos’ha da chiedere?>>. Elvira guardò altrove e non rispose. Mi svegliò una voce maschile. Il comandante avvertiva che stavamo sorvolando Creta. Guardai in basso e vidi l’isola, la grande altezza permetteva una visione completa. Avevo dormito e anche la mia vicina. Disse: <<Mi ero assopita, che strano... ma lei mi aveva fatto una domanda... ah sì cos’ho da chiedere>>. Raccolse le idee. <<Per carattere e per lavoro ho sempre dedicato molta attenzione alla lettura dei fatti. Mi creda, bisogna farlo, non è una banalità. Leggere la storia e la famiglia. lo ho sei figli, ventidue nipoti e undici pronipoti. Una famiglia felice. Sospettosamente felice...>>. <<Sospettosamente?>>. <<Sì, è la parola giusta. Tutti sani, nessuna brutta vicenda. Per esempio non c’è fra i miei figli una pecora nera. Tutti bravi, chi più chi meno è naturale. Lei è certamente uno che sa leggere i numeri. Sei figli quattro maschi e due femmine, tutti sposati, nemmeno una separazione. Conosciamo le statistiche. E nessun disguido economico. La salute: hanno qualche normale acciacco... ho figli che hanno superato i sessanta, ma niente di davvero grave. Niente al cuore, niente... tumori, anche in questo caso conosciamo le percentuali, drammatiche. Un uomo, un occidentale ha cinquantadue probabilità su cento di contrarre il cancro. Figuriamoci sei. Ma parlo di cose più banali... un piccolo esempio: siamo tutti sciatori e neppure una frattura. Lo stesso per i nipoti, tutto a posto, niente di grave, sì, il morbillo, roba del genere. Tutti ragazzi... regolari diciamo, e sappiamo quanto sia difficile. Niente droga, o cose simili. Insomma nessun vero dolore. Credo di essermi spiegata>>. <<È stata fortunata>>. <<Sì, troppo. È questo il punto. Ma è solo la prima parte della storia. C’è quella della mia generazione. Eravamo in sei fratelli e sono l’unica sopravvissuta>>. Le dissi che non era poi così strano essere l’unica sopravvissuta a ottantanove anni. <<E no. Non è andata così. Ero l’unica quando avevo trent’anni. Uno morì di spagnola... sembra l’inizio dei tempi vero?>>. <<So cos’è la spagnola>>. <<Uno morì cadendo dall’impalcatura di un palazzo alla periferia di Parigi. Due morirono in guerra e due di malattia. Nessuno arrivò ai cinquant’anni>>. Forse avevo qualche piccola percezione. <<Comincio a capire. Una bella differenza di destino, fra padri e figli>>. <<Appunto. E non parlo solo di morti premature. Niente di buono per i miei fratelli, e per le loro famiglie. Disgrazie. Solo disgrazie>>. <<Lei parlava di numeri, statistiche>>. <<Appunto. Lei ha detto destino. Comunque sia, c’è da meditare>>. Richiuse gli occhi e io assecondai il suo silenzio, o la sua concentrazione, o stanchezza. Quando li riaprì disse: <<Sia chiaro: la mia vita non è stata facile, e non lo è. Quanto ho ragionato su quelle differenze. Poi ho capito. L’ago della bilancia ero io. Reggevo tutto io. Soprattutto da quando sono rimasta sola. Sono più di quarant’anni che mio marito è morto. Ho cercato di agire bene. Ho cercato gli equilibri. E li ho trovati. Se agivo male con qualcuno, qualcuno agiva male con me. Finché ho imparato. E so di essermi ben comportata. Nessuno ha sofferto per causa mia. E ne ho avuto il riscontro. Troppo riscontro>>. Le toccai la mano. <<Lei è una che non ha paura, eppure adesso ha paura>>. <<Sì, perché non ho una faccia da scrutare e interrogare. Non c’è un interlocutore che risponda, che menta magari, lo capirei. Ci sono fatti precisi. lo li leggo e li capisco. Ma non me li spiego. E ho paura. È vero>>. Chiuse ancora gli occhi e io la guardai bene. Sorrisi pensando a cosa c’era dietro quella fronte. Si sentì osservata, riaprì gli occhi e sorrise a sua volta. <<Non sono matta>>. <<No. Proprio non lo è Elvira>>. <<Ho parlato di equilibri. Cosa succederà allora al miei nipoti?>>. Cercai di usare il tono giusto, serio ma non del tutto. <<Terne il ricorso delle tragedie? Una generazione felice e una disperata? Nessuno la convincerà mai che è stato un caso vero?>>. <<No. E mi creda, non sono neppure i vaneggiamenti di una novantenne in piena sclerosi>>. <<Credo non lo pensi nessuno. Lei ha sufficienti crediti. Se vuole un riscontro esterno glielo do. Le dico che ha ragione a essere qui e a sospettare e a temere qualcosa di misterioso e non controllabile. Stia attenta e si muova bene. Parlava di cosa chiedere e quale contropartita dare. Sono certo che lei è ben attrezzata>>. Ebbe un leggero calo di tensione. Era stanca. <<Sa, Alessandro, che nessuno mi ha ma, parlato così? E nessuno mi ha mai capito così... sì, forse dovevo incontrarla>>. Chiuse di nuovo gli occhi ma solo per qualche secondo. Disse: <<Non vuole raccontare un po’ lei adesso?>>. E raccontai. Sincero e conciso, i puri fatti, nessun commento o interpretazione. <<Alessandro, lei è qui senza un progetto, ma vedrà che salterà fuori. Ci sono troppe, precise premesse. Salterà fuori da solo>>. Riprese dopo una breve pausa. <<Temo per i miei nipoti... certo, non finché ci sarò lo... le dirò qualcosa che le sembrerà strano. Sa che mi sono informata su tutto ciò che riguarda il mistero, il futuro. Non sembrerà in linea con la mia concretezza e la mia storia che mi sia letta Nostradamus, e tutte le storie di illuminazione, e i vangeli apocrifi>>. <<E ha risolto qualcosa?>>. <<Non so. Forse solo suggestioni. Ma so che là dove sto andando certamente troverò l’elemento di connessione di tutto. Ci vado preparata, non a mani vuote>>. Gliela dissi come battuta: <<Lei è un’imprenditrice, sa che su qualsiasi impresa bisogna investire>>. <<Lei la dice come battuta, ma è assolutamente vero...>>. Ci pensò qualche secondo, poi decise di fidarsi del tutto di me. <<In questa borsa c’è l’investimento>>. <<Guardai la borsa che la donna aveva sempre protetto, infilata tra il suo fianco e il bracciolo del sedile>>. Sorrise: <<Qui ci sono doni importanti. Cose preziose>>. <<Per chi?>>. <<Per chiunque, in ogni circostanza>>. <<Cose preziose tipo santini o ex voto?>>. <<Le dirò cosa sono. Ho convocato uno per uno i miei nipoti, le loro mogli e mi sono fatta dare la loro cosa più preziosa. Un orologio, anelli, una spilla antica, anche ricordi di famiglia... meglio se avevano un valore di mercato. Hanno protestato un po’, hanno fatto delle domande, ad alcune ho risposto ad altre no. Poi mi hanno obbedito>>. Mossi la testa convinto. <<Lo credo>>. <<È tutto qui dentro>> disse, e trasse una busta di stoffa dalla borsa. <<Guardi>>. La donna prese a caso un braccialetto, fila semplice di diamanti, e poi una spilla a forma di fagiano, con le pietre colorate: zaffiri, rubini, brillanti. Disse: <<Questa è molto preziosa viene dalla famiglia del mio povero marito>>. <<Davvero un tesoro... dunque lei comprerebbe la salute e la felicità dei suoi. Una volta si chiamavano indulgenze. E non sono una bella memoria>>. <<Lei dice sempre frasi efficaci, e inaspettate, dalle quali mi devo difendere. Noi offriamo ciò che abbiamo di più prezioso, come valore commerciale e come valore affettivo. Lo offriamo a chi di dovere. Un’offerta terrena con una funzione terrena. li resto, il dopo, si vedrà>>. <<Chi sarebbe “chi di dovere”?>>. <<II legittimo mercato di Gesù per cominciare, la Culla, il santo sepolcro, il viaggio a Cafarnao. Un’organizzazione per i fedeli del mondo, gente che viene da lontano, ci crede e riparte più contenta. Un movimento che ha certamente un alto costo>>. <<Come farà Elvira a sapere se la sua offerta sarà accettata?>>. <<Come ho sempre saputo quando si trattava di mercato. La mia intuizione. Questo non mi preoccupa affatto>>. <<E se la sua intuizione le dicesse che l’investimento non funzionerà?>>. <<Allora sì, mi preoccuperei molto>>. <<Preoccupata ma preparata, con un’alternativa>>. Guardò oltre il finestrino alla mia sinistra perché stavamo sorvolando Cipro. L’isola era ben visibile, le strade, il poco verde, stavamo scendendo. <<Sì, preparata... preparatissima>>. Chiuse il capitolo. E chiuse gli occhi. Questa volta l’intervallo fu più lungo. Poi disse: <<Potrei non tornare più>>. Non mostrai alcuno stupore. <<Sarebbe l’alternativa?>>. <<Sì>>. <<Come a dire: se non funziona il mercato, la contropartita sarebbe la vita>>. <<Come al solito lei è brutale ed efficace. Sì>>. <<L’estremo sacrificio, anche questo significa equilibrio>>. Il suo tono salì di nuovo di intensità. <<Sì. Io. In cambio della mia famiglia al sicuro. Qualcuno lo ha già fatto, infinitamente più in grande>>. <<Anche questo lo... “intuirà” al momento opportuno?>>. <<Certamente>>. Volli che Il capitolo si chiudesse su quel “certamente”, anche se avevo altri mille argomenti. Le presi la mano e gliela baciai: <<Lei è magnifica Elvira. Sono stato molto fortunato a incontrarla>>. Mi scrutò e mi sorrise come una donna di molti meno anni, competitiva. Al momento dell’atterraggio le nostre mani si strinsero ancora. Erano già arrivate le mie valigie e aspettavo che il tapis roulant portasse il bagaglio di Elvira. L’aiutai, passammo i controlli, uscimmo insieme. Fuori venne avvicinata da un autista con il cappello in mano, che prese le sue valigie, come se tutto fosse organizzato. La donna disse: <<Io scendo al King David. E lei?>>. <<Si chiama Mount Scopus Hotel. Non è certo il King David>>. <<Le do un passaggio>>. Declinai l’offerta. Non volevo complicarle le cose allungandole il tragitto e affaticandola ulteriormente. <<Grazie, prenderò un taxi>>. Poi dissi: <<Posso esserle utile? Per quella consegna che deve fare. Vuole che l’accompagni?>> Ci pensò un momento. <<Forse ha ragione. Se non le è di troppo disturbo>>. |