La mia vita da zucchina
(Ma vie de Courgette)
RATING

UN FILM DI
Claude Barras
CON
Gaspard Schlatter, Sixtine Murat, Paulin Jaccoud, Michel Vuillermoz, Raul Ribera
GENERE
Animation, Comedy, Coming of age, Family
RATINGS PUBBLICO
11-14
DURATA
90’
PAESE-ANNO
Svizzera, Francia
2016

DISTRIBUZIONE INTERNAZIONALE
Teodora Film






KEYWORDS
Solidarietà, genitorialità, resilienza, famiglia


“Siamo tutti uguali qui, non c’è più nessuno che ci ami”

Erede dei grandi personaggi dickensiani, siano Pip od Oliver Twist, Icare detto Zucchina è un bambino di 9 anni involontariamente colpevole della morte della madre ubriacona. È un bambino di plastilina con grandi occhi blu, che catturano immediatamente la nostra empatia, occhiaie blu e capelli blu. Gioca da solo con barattoli vuoti di birra in una soffitta disordinata, ma piena di disegni bellissimi e molto colorati che Zucchina fa continuamente, invasa costantemente dalla voce della televisione e da quella della madre che impreca contro i protagonisti dei film d’amore. Dopo la morte della madre, Zucchina viene portato in commissariato dove incontra Raymond, un poliziotto buono che dopo aver raccolto la sua deposizione lo porta in una Casa-Famiglia. Qui incontra altri bambini in simile condizione di solitudine e dolore: Simon (che inizialmente lo prende in giro ma di cui diventa presto amico), Ahmed, Jujube, Alice e Béatrice, tutti con storie di sofferenza alle spalle. E infine arriva Camille, la bambina dagli occhi tristi che ha visto morire la madre per mano del padre che poi si è suicidato, e che suscita in lui una diversa attenzione. Se si hanno nove anni, degli amici e si scopre per la prima volta l'amore, forse la vita può rivelarsi diversa rispetto alle attese e alle apparenze.

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Ernest & Celestine

COMMENTO
a cura di
Hamelin

Ormai il cinema d’animazione sembra finalmente aver infranto quel pregiudizio che lo considerava un prodotto solo per bambini, semplicistici e banalizzanti, puro intrattenimento per un giovane pubblico incapace raccontare storie profonde e complesse. Le produzioni americane della Pixar o quelle provenienti dal Giappone hanno saputo invece rivolgersi a un pubblico molto più ampio, riuscendo spesso a catturare l’attenzione di bambini e adulti. Ma se spesso, soprattutto nelle proposte statunitensi, questo avviene con una intensificazione della spettacolarità e una stratificazione di allusioni e citazioni comprensibili per lo più dai più grandi, qui la scelta è opposta. La mia vita da zucchina è un film semplice e delicato, che riduce con grande coraggio situazioni ed eventi a piccoli episodi quotidiani, seppure di una quotidianità tragica, rifiutando ogni clamore e dando spazio al comportamento dei personaggi, ai piccoli gesti e ai silenzi, al rigore di un’ottima sceneggiatura. La stilizzazione anche visiva dei personaggi, figure di plastilina dalle forme semplici ma estremamente espressive, sono la conferma di questa scelta d poetica.
Tre i veri protagonisti di questo film: innanzitutto Gilles Paris che nel lontano 2002 scrisse Autobiographie d’une courgette, edito da noi da Piemme nel 2006 e ripubblicato oggi con l’uscita del film; il regista Claude Barras che ha trovato nella sceneggiatrice Celine Sciamma, una voce perfetta. Il grande rispetto per l’infanzia e una grande capacità nel raccontarla accomuna questi tre autori, che si allontanano, decisamente, da tanta produzione che nell’infanzia vede solo un privilegiato target per il consumo.
Il romanzo di Paris è lievemente diverso dal film: già all’inizio regista e sceneggiatrice scelgono una strada più lieve e meno diretta. Modificano così la causa della morte della madre di Zucchina, che rimane comunque indiretto responsabile: l’incidente casalingo della pellicola sostituisce un colpo di pistola sfuggito al bambino. Ma al di là di queste differenze, lo sguardo dell’autore è ben rispettato, come la sua capacità nel dare voce e vita a bambini e bambine molto più sfortunati di quelli che abitano le nostre case.
Né d’altra parte il film si maschera di candidi lieti fine o della retorica dei buoni sentimenti, ma rimane fiaba amara, dall’inizio dickensiano di un’infanzia non ancora orfana ma non meno dolorosa, al finale che non è per tutti felice: qualcuno si salva, per qualcuno l’amore vince, ma per tanti altri la vita continua con tutti i suoi dolori. Tutto questo viene raccontato con grande perizia di stile, grazie alla cura dei particolari, all’uso sapiente dei silenzi, a dialoghi in cui non viene detto niente di troppo, o spiegato didascalicamente; tutto è lasciato alle immagini, al ritmo perfetto dell’animazione.

PREMI E FESTIVAL

Premi Oscar 2017
Candidatura per il miglior
film d'animazione

Golden Globe 2017
Candidatura per il miglior
film d'animazione

film review

Il suo nome è Icare ma vuole essere chiamato come faceva sua mamma: Zucchina. Ha nove anni, una gran testa rotonda, due occhi altrettanto tondi e grandi e i capelli blu. Al poliziotto che lo interroga, risponde che la madre beveva molto ma faceva anche un purè molto buono...

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dicono del film
Monsieur Arkadin
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Orfanezza, infanzia colpita, abbandonata ma senza alcun ricatto patetico. I personaggi del film, pur con un passato doloroso, restano bambini e bambine che hanno voglia di ridere, di amare, di giocare, di prendersi in giro: sono e restano comunque bambini non si trasformano in vittime. Bravissimi gli autori a tenere lontani da queste storie drammatiche la pietà, il buonismo, la compassione. Non si cerca di provocare nel film e negli sguardi degli spettatori questi elementi. Una sfida non facile, ottenuta oltre che con la secchezza dei dialoghi, anche grazie alla distanza che creano figure fatte di plastilina. Ne esce un film che provoca un sorriso a suo modo mailinconico, ma sempre sorriso, lontano da una facile commozione.

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