Totò e i re di Roma

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Un film di Steno, Mario Monicelli. Con Totò, Alberto Sordi, Anna Carena, Giovanna Pala, Giulio Stival.
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Comico, b/n durata 95 min. - Italia 1952. MYMONETRO Totò e i re di Roma * * * 1/2 - valutazione media: 3,50 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
   
   
   

Film che meriterebbe più considerazione. Valutazione 4 stelle su cinque

di GreatSteven


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lunedì 8 gennaio 2018

 TOTò E I RE DI ROMA (IT, 1951-52) di STENO & MARIO MONICELLI. Con TOTò, ANNA CARENA, ALBERTO SORDI, AROLDO TIERI, GIOVANNA PALA, GIULIO STIVAL, PIETRO CARLONI, ANNA VITA, ERNESTO ALMIRANTE
Ercole Pappalardo è un archivista capo di un ministero romano che fatica a sbarcare il lunario, pur sperando da tanto tempo in una promozione a Cavaliere che però non giunge. L’impiego l’ha in realtà ottenuto, trent’anni prima (siamo nel 1952), per la raccomandazione di un cugino gerarca che fece la marcia su Roma. È sposato con Armida e deve mantenere una famiglia di cinque figlie, di cui non sopporta il fidanzato motociclista-meccanico di una fra esse. Come se non bastasse, entra in scena il leccapiedi Palocco, insegnante di scuola elementare che fin da subito conquista i favori di Langherozzi, il direttore di Ercole. Dopo uno spiacevole episodio a teatro e un pappagallo canterino morto sostituito con un altro privo di doti canore ma di apprendimento di scurrilità, Langherozzi convince Ercole a dare l’esame di quinta elementare che non ha mai sostenuto. Il povero impiegato fa del suo meglio per rimpinguare le entrate famigliari, ma all’esame viene bocciato, pur prendendosi una rivincita con Palocco, presente nella commissione, che più volte l’aveva umiliato. Affranto e deluso, Ercole non vede altra soluzione che quella di andare a morire da solo, persuadendo la famiglia a seguire il corteo di un economico funerale, e morire per un colpo al cuore, di cui soffre: avendo avuto da sempre il pallino del lotto, dall’Olimpo in cui viene mandato ottiene da un ricettatore-angelo i numeri vincenti, e in sogno li comunica ad Armida. Le cinque donne vincono alla lotteria e diventano ricche. Dati i trent’anni di servizio come impiegato ministeriale, Ercole viene premiato dal Padreterno in persona col trasferimento in Paradiso. Alla base vi sono un atto unico di Peppino De Filippo (Quale onore!) e due racconti di Anton Čechov (La morte di un impiegato ed Esami di promozione), da cui i due registi, quasi in concomitanza con l’ottimo Guardie e ladri, su soggetto di Dino Risi ed Ennio De Concini, han tratto un film un po’ in bilico fra l’incertezza stilistica e la tristezza inespressa, ma che prende di mira la burocrazia, le sue storture e le magagne sul mondo del lavoro italiano degli anni ’50 con un piglio lucido che non manca mai di sdrammatizzare, pur non perdendo di vista l’acidità di fondo che ne permea la struttura di denuncia. Questa pellicola rappresenta anche l’unica occasione che Totò e Sordi ebbero per lavorare assieme, in un virulento scambio che spesso si trasforma in duelli conditi da battute e colluttazioni. Il mondo patetico e graffiante voluto dagli autori non viene mai disatteso, e le lacrime non piante e invisibili fanno capolino in un divertimento che non perde un colpo nei cento minuti di durata e non ha cadute di tono, malgrado la sua essenza anomala e la sua schizofrenia leggera che ne altera pacatamente gli umori di recitazione. Ottima prova del Principe della Risata, coadiuvato da un giovane Sordi ormai in prodigiosa ascesa, da un A. Tieri nei panni dell’esuberante e propositivo collega e dirimpettaio e da A. Carena nei panni della paziente ma pur sempre riprovevole moglie Armida, divisa tra affetto e risentimento per il consorte. Una caterva di gag (il pappagallo, lo sputo, la derattizzazione, il funerale dell’efficiente impiegato Filippini, l’esame cui Totò sbaglia perfino le risposte più elementari, la promozione tanto sospirata e mai ottenuta, la fissazione con i numeri del lotto) che s’incastrano meravigliosamente fra loro in un insieme che si  tiene unito da sé e diverte lo spettatore ricorrendo ad una comicità così semplice e genuina che nel cinema di oggi, almeno quello nostrano, non esiste più. Memorabile la sequenza in cui Totò è conducente lui stesso del suo corteo funebre a piedi, con tanto di fazzoletto bianco avvolto in testa. Il finale ha risvolti pressoché felliniani, ambientato in un Olimpo ferocemente burocratizzato e popolato da funzionari maldisposti in cui Almirante, in chiusura di carriera, recita nientemeno che la parte dell’Onnipotente. Il finale del sogno fu imposto dalla censura, che attaccò il film e lo fece distribuire nelle sale solo dopo un anno dalla fine delle riprese. Uno dei film migliori dell’attore protagonista napoletano, sebbene non figuri (purtroppo e a torto) fra le sue opere più celebri. 

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