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Alison Brie è incantevole, una piccolissima bellezza mitteleuropea (per ascendenza paterna) nata negli USA. È perfettamente a suo agio negli splendidi costumi di una brava ragazza di provincia, vittima dei condizionamenti della piccola città nella quale è sempre vissuta. Suo padre è il sindaco, lei è un'insegnate di arte e tutti sono innamorati di lei, dal primo all'ultimo cittadino, dal più anziano al suo più giovane studente.
Nel salottino della sua incantevole casetta si apre all'improvviso un baratro che inghiotte il suo quasi-amante Clint: quel buco nero è la materializzazione, o meglio la smaterializzazione “dell'assenza” che avverte Lucy. Tutto sembra perfetto nel suo piccolo mondo, ma in realtà manca la cosa più importante, nonostante le smancerie di cui tutti gli abitanti la circonfondono, la fedeltà delle amiche: manca l'anima. Lucy è come un contenitore perfetto, bello, dolce, soave, ma vuoto. È come se nel dipingere un paesaggio dimenticassimo di colorare il cielo…
Cosa vale la vita di Lucy?
È un'esistenza che tanti invidiano o che vorrebbero condividere con lei, ma priva di vita, di spirito, di sapore.
Presto Lucy dovrà fare i conti con questa realtà che la lascia inebetita: l'aiuterà l'incontro con l'ultimo rampollo di una tutt'altro che illustre famiglia di ladri-allibratori-assassini. Lui è un poeta e nasconde in un piccolo diario la sua sensibilità. Anche lui ha raggiunto il punto di rottura: non può più fingere di essere qualcun'altro, di essere chi vuole suo fratello, il boss.
Purtroppo la perfetta ambientazione, la surreale bellezza di Alison Brie, la bravura degli attori non riesce a riempire il vuoto di una sceneggiatura troppo esile e poco strutturata. Peccato: poteva essere una sfida interessante.
Quando Alison Brie potrà finalmente misurarsi con ruoli adeguati al suo talento, potremo scoprire il suo valore. E se Wes Anderson si accorgesse di lei?!
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