Con un attore protagonista tanto bravo quanto folle, un budget così ristretto, un ambiente così ostile e selvaggio solo a quella vecchia volpe di Herzog poteva riuscire una tale impresa di produzione. Scevro da ogni possibile disagio l'allora 30enne nato a Monaco ebbe il grande merito di tramutare ogni eventuale difficoltà in un punto di forza: così si ritrovò al suo servizio l'espressività agghiacciante e impavida di Kinski e un background scenografico mozzafiato sebbene sia stato arduo venirne a patti.
Il regista ha raccontato che dopo aver completato la sceneggiatura in appena due giorni, si ritrovò sul pullman di una squadra di calcio uscita vittoriosa da una partita, un giocatore, ubriaco, vomitò senza ritegno su alcune pagine del manoscritto, quello che avrebbe dovuto essere il finale di questo film ormai inutilizzabile andò così gettato dal finestrino di quel pullman e completamente dimeticato.
Un'altra disavventura narrata dal tedesco nel documentario Kinski, mein liebster Feind, prevede che a lavori terminati non venne stato svegliato in orario dagli indios con cui si era raccomandato per prendere l'unico treno utile che avrebbe riportato a casa Werner e il suo prezioso girato. Fu così che egli dovette rincorrerlo con in braccio il materiale di Aguirre.
A suo tempo la critica espresse giudizi molto positivi nonostante l'insuccesso ai botteghini, premiando in particolare la fotografia, determinante. Ad uno spettatore del 2016, abituato ad un effetto più plastico della messa in scena e con una sempre ragguardevole dose di effetti speciali quando si parla di genere d'avventura, un approccio brusco ad un film così datato potrà risultare sconcertante. Mettiamo in chiaro che questo è un film per veri cinefili, colmo di quella imperfezione vintage che ha il sapore di una bellezza proibitiva e artigianale che rende ancor più apprezzabili gli sforzi dell'intera troupe.
Aguirre furore di Dio è la quintessenza del cinema di Werner Herzog, l’impresa che gli avrebbe cambiato la vita e a cui un'infinità di film tentarono vanamente di avvicinarsi, da cui registi come Coppola e Malick (si noti la voce fuori campo) presero più di qualche ispirazione... e poi che dire dell'inizio dello psicotico sodalizio con Kinski, qui in un ruolo cucito su misura per lui, per i suoi occhi pieni di disincanto, che ostentano megalomania.
Anno 1500 ca. E' già chiaro sin dall'inizio quel che sarà della spedizione dei conquistadores spagnoli, quando li si vede discendere una ripida discesa montuosa, metafora di un baratro nel quale si sta irrimediabilmente sconfinando, un percorso angusto, irto di ostacoli, contro un nemico invisibile, avvolto nella foresta amazzonica.
Se lo Stalker di Tarkovskij è un viaggio allegorico sulla sete di conoscenza, Aguirre di Herzog è un viaggio verso una meta che non c'è, e nell'attraversare l'Inesatto, la cupidigia del potere si impossessa dell'uomo ancor più della sete di denaro: "A me non interessa l'oro. L'oro lo lascio ai servi, a me interessa il potere" sentenzia Aguirre dopo aver preso il controllo della spedizione.
L'uomo raccontato da Herzog in questo film è un essere furioso, fuori controllo, uno sciacallo indomabile che medita tradimento, dominato da una brama di potere irrefrenabile, tale da portarlo a sfidare la natura impervia e ignota (sfruttata a pieno la metafora El Dorado) arrivando persino ad accostarsi a Dio.
Una mania di grandezza talmente accecante che sembra non porre limiti nemmeno a quelli che dovrebbero essere i normali rapporti familiari: "Quando regnerò questa terra sposerò mia figlia. Avremo una razza pura"; nè la minima cura delle forme di vita che lo circondano, emblematico è a questo proposito il sacrificio di un cavallo per una futile motivazione.
Non c'è coscienza, non c'è consapevolezza e per quanto sottile possa essere talvolta il divario tra speme ed illusione, la prima pare proprio non avere scampo. La seconda invece, sembra travalicare ogni percezione della realtà, il fallimento, la morte stessa.
Furore di Dio non ha la stessa freschezza e brillantezza nella messa in scena di Nosferatu, capolavoro della maturità di Herzog. E' però uno di quei film pervasi da un pathos speciale, quasi sacro, misterioso, un film atemporale, destinato a conservare il suo fascino un po’ retrò, incurante del tempo che passa, inconsapevolmente, come a me piace immaginare Aguirre perseverare nelle sue gesta, affrontare il Rio delle Amazzoni, inseguendo El Dorado in preda alla sua collera.
VOTO 10
Danko188
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