Donna di sabbia

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Un film di Hiroshi Teshigahara. Con Kyoko Kishida, Eiji Okada, Koji Mitsui, Hicoko Ito Titolo originale Suna no onna. Drammatico, b/n durata 127 min. - Giappone 1964.
   
   
   

Nient'altro che sabbia? Valutazione 5 stelle su cinque

di arnaco


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giovedì 25 febbraio 2016

 Blogpost.it fa una descrizione molto efficace: “Sabbia. Sabbia. Nient’altro che sabbia. Sabbia che entra nei calzini, sabbia che insinua tra le pieghe della pelle, sabbia negli occhi e sotto la lingua. Sabbia. Sabbia. Sabbia. Paesaggio ostile, crudele, deforme. Sabbia, inconsistente nella sua unità di misura infinitesimale, ma mostruosamente consistente nella sua interezza. Dune di sabbia, instabili e soggette ai capricci del vento ma anche muri inamovibili, prigioni angoscianti, addirittura ossessive nella loro maestosità.”
Il regista ci dice fin dall’inizio di non aspettarci imprese eroiche o eventi straordinari; sembra volerci mettere in guardia dalla ricerca di esaltanti identificazioni con questo o quel personaggio o di moralistiche indignazioni per una delle tante nefandezze umane. No, ci dice, i protagonisti potreste essere voi, ma fuori da qualsiasi tempo e luogo, ideologia, religione o costrutto filosofico.
Infatti lui è un semplice impiegato con il pallino dell’entomologia, e lei una giovane donna il cui unico scopo è la preservazione della propria casa dall’aggressività della sabbia. “In un bianco e nero accecante (e non avrebbe potuto essere altrimenti) il regista si sofferma sui corpi, con primi piani intensi dei particolari, lunghe soggettive. Corpi avvinghiati, coperti di sabbia, pelle sbiancata, labbra impallidite dal caldo e dalla sete, pori, finanche i più piccoli orifizi, invasi dalla sabbia. E poi il sudore che scende copioso e, alimentandosi di sabbia, si trasforma in cemento, incollando tra loro i due corpi. Immagini forti, fastidiose, a volte insopportabili. E rapidamente si passa dai primi piani ai campi lunghi, quasi a voler sottolineare l’ineluttabilità dell’umana condizione, paragonandola all’esistenza umile propria degli insetti, quegli stessi insetti che hanno trovato nella sabbia il loro habitat naturale.”
È in una prigione di questo tipo che finisce il nostro protagonista, in un’enorme fossa scavata nella sabbia, dalle pareti inaccessibili, all’interno della quale la sua ospite-amante-carceriera vive un’esistenza ai limiti del surreale. Il suo unico scopo è scavare, scavare, scavare. Liberare il proprio spazio vitale (mortale?) dall’inevitabile collasso delle pareti di sabbia. Solo scavando continuamente ella ottiene il suo scopo, la salvezza della propria abitazione (una misera capanna di legno) e un modesto salario, rappresentato da pochi generi di prima necessità “generosamente” offerti dagli abitanti di un vicino villaggio in cambio della sabbia scavata e a loro quotidianamente consegnata. Lei stessa non può né tantomeno vuole sottrarsi al suo destino: la sabbia è la sua vita e la sua punizione. La sabbia che le ha già sepolto un marito e un figlio.
Inizialmente lui tenta di ribellarsi al destino che ancora non accetta come inevitabile, alla vita nella buca che potrebbe sembrare la morte dell’intelletto: poco più che mangiare, scavare, dormire.
Successivamente in lui sopraggiunge la consapevolezza che fino ad allora aveva solo sognato di elevarsi sopra la massa anonima degli altri facendo scrivere il suo nome in un trattato di entomologia, somigliando così ad un insetto che esce dalla sabbia e magari vola. Scopre che ci sono inestimabili tesori racchiusi in quel limitato perimetro: l’amore di una donna, l’emozione dell’alternarsi del giorno e della notte, la bellezza di sentirsi vivi, le piccole cose quotidiane. Poi scopre che può rendersi utile alla primitiva comunità del villaggio vicino, ricavando acqua dalla sabbia umida, con un processo di osmosi. Scrive su una pergamena i calcoli della quantità d’acqua necessaria, ma quei numeri non sono che la rappresentazione simbolica del vero bilancio della vita di ognuno di noi: il rapporto tra la felicità e l’infelicità donata agli altri.
Infine decide di non fuggire da quel buco, anche se ne ha la possibilità; se è vero che la libertà sta nella possibilità di scelta, egli è tornato finalmente libero.

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