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Questo è un film in bianco e nero del 1949 di Gianni Franciolini (I giugno 1910-I gennaio 1960), un piccolo gioiello alla René Clair. Anselmo (Gino Cervi) deve sposarsi con Donata (Gina Lollobrigida) ed è atteso alla cerimonia, ma lungo la strada ha investito una ragazza in attesa di un figlio, la soccorre e la porta con la sua auto in un convento di suore, dove la lascia, sottoponendosi al fuoco di fila dei sospetti e degli equivoci delle sorelle, preoccupandosi comunque di mandare il suo miglior amico, Giovanni (il compianto Giacomo Furia, recentemente scomparso) a chiamare la levatrice. Anselmo arriva in chiesa con due ore di ritardo, fronteggiando il naturale nervosismo di Donata, del padre di lei e della zia (Ave Ninchi, sempre spiritosa e in tema, in ogni film dei tantissimi cui ha partecipato). La cerimonia si svolge nella norma, poi c’è il ricevimento: siamo in un’azienda agricola si suppone della bassa padana, ma non ci sono accenti dialettali, potrebbe essere anche Lazio o Campania, con stalle e poderi amministrati dal padre della sposa, vedovo, che ha cresciuto la figlia con la sorella (la zia della sposa). Anselmo, folgorato sulla via di Damasco, lui che per sua stessa ammissione fino ad allora, ha 40 anni, era stato un avventuriero, tiene un discorso al pranzo allestito all’aperto, in cui sottolinea come l’importante nella vita sia dare e dare, contestato dai nuovi parenti che sono commercianti e gli ribattono che è importante dare ma anche avere. Anselmo però pensa alla ragazza che ha deciso di mettere al mondo un bimbo da sola, senza chiamare in causa il padre e ritiene che quello sia il gesto più generoso cui abbia assistito. Nel frattempo, tramite un ragazzo, Giovanni gli manda a dire di non aver trovato la levatrice; allora, sentendo questo, tutti s’insospettiscono, soprattutto la zia, ma Anselmo risponde che si tratta di un equivoco. Intanto il parto si presenta difficile e le suore vengono al banchetto di nozze per chiamare il medico del paese, seduto proprio accanto ad Anselmo. Il quale si allontana nelle stalle ma i contadini gli dicono che lo cercano finché non viene scovato dal suocero. Quando le suore descrivono l’uomo che ha accompagnato la ragazza al convento, in Donata e nei suoi parenti crescono i sospetti che a inguaiare la ragazza sia stato proprio Anselmo. Il padre cerca di sistemare tutto con una lauta donazione alla partoriente e consola la figlia dicendole che tutti gli uomini hanno un figlio illegittimo. Nel frattempo, Anselmo è diventato, per il suo discorso, una sorta di capopolo: i contadini inalberano cartelli con lo slogan Dare e dare e chiedono un aumento di salario. “Ma tu lo sapevi che era?” chiede il padre al factotum Giovanni “E come potevo saperlo? Veniva in chiesa tutte le domeniche...” gli risponde quello. Arriva la sera e gli sposi hanno un chiarimento in camera da letto: Donata non vuol perdonare Anselmo e lui, grande retore, le dice che se lo amasse non solo gli crederebbe, che non è lui il padre del bimbo, non solo sentirebbe le campane come in un film che hanno visto (un film americano molto bello anche questo) ma se le dicesse che il bicchiere che le mostra fosse una colomnba, lei in nome dell’amore gli crederebbe e quindi, di fronte al silenzio di lei, se ne va. Torna al convento, Anselmo e si chiarisce con la ragazza che lo ritiene un uomo davvero buono. Ma Anselmo sa come si è comportato negli anni passati e nega di esserlo o perlomeno di esserlo stato prima d’incontrare la ragazza, la quale lo invita a far pace con la sua sposa. Infatti Donata non aspetta altro: quando Anselmo torna a casa, al bacio ecco le campane e il bicchiere sul comò si trasforma davvero in una colomba che vola sulla parola Fine. Del film, ma non della vita felice di Anselmo e Donata. Immenso Gino Cervi, grande e spiritoso il regista Gianni Franciolini, ma tutto il cast recita davvero in uno stato di grazia.
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