Io sono un istrione e la genialità è nata insieme a me … cantava Aznavour, e lo può ben dire anche Sorrentino. Ha regalato alla giovinezza (Youth) un film su due vecchi, Michael Caine e Harvey Keitel, esilarante e irresistibile in molti tratti, onirico e lugubre in altri, solenne ed elegante come il grande albergo sulle Alpi svizzere – Wiesen si chiama il villaggio e ci passa il trenino dei Ghiacciai – dove i due s’incontrano durante un mese da vent’anni. Si interrogano su cosa succeda ai ricordi col tempo, su ciò che si vede da vecchi, tutto molto lontano e rimpicciolito, mentre da giovani è tutto molto vicino, a portata di mano, ma anche su quante gocce di pipì hanno fatto quel giorno, se più o meno di quattro. In fondo l’albergo ha più l’aria di una casa di riposo per anziani, Marco Travaglio la descrive così: l'hotel per super-ricchi immerso nelle Alpi diventa una friggitoria e un bollitore di carni flaccide, tette cadenti, trippe sballonzolanti, peni avvizziti ormai pronti per la dipartita ... .
Ma è una casa di riposo dove vanno pure membra giovani e levigate, come quelle di una miss Universo stellare (nella locandina del film c’è un sedere in primo piano coi due che guardano estasiati), qualcosa di molto vicino a Dio, dice Keitel, e all’età dei due protagonisti un magnifico corpo di donna è destinatario della più pura celebrazione, che non può venir sporcata da “cattive” intenzioni. Keitel stesso paga una giovane prostituta che frequenta l’albergo, solo una volta … perché lo accompagni ad una passeggiata.
Caine è un ex direttore di concerti - abbastanza cacasenno come Jep Gambardella e come Geremia de’ Geremei di due precedenti film di Sorrentino - che di concerti non vuole più saperne, neanche per la regina d’Inghilterra. Keitel è un regista di cinema tuttora in attività, che però s’interroga sul senso del suo mestiere e a cui compaiono di colpo su un prato di montagna tutte le sue interpreti femminili: La vita va avanti anche senza questa stronzata del cinema. Eppure stava girando il suo L’ultimo giorno della vita, film a cui è arduo dare un finale e che non si concluderà per l’improvvisa defezione della perfida protagonista (la tv è il futuro!), Jane Fonda, e perché Keitel si butterà dalla terrazza dell’albergo, proprio come Monicelli (sarà un tributo anche questo, come quello della dedica del film che Sorrentino fa a Francesco Rosi). Geniacci che si interrogano sul fare cinema: Turturro, o Moretti, in Mia madre diceva, Basta cinema, fatemi uscire dalla finzione, ridatemi la realtà, mentre noi cinefili ci interroghiamo sul perché vederli: sogni, vite degli altri, “materiale di consumo” che suscita emozioni, e le emozioni sono tutto quello che abbiamo, lo dice Keitel.
Caine un concerto davanti alla regina lo dirigerà, in onore dell’amico che se ne è andato, ma la sua direzione è sciatta e molle, sembra una ginnastica lieve per anziani, migliore è quella che ha immaginato nei pascoli, solo e con le mucche, i muggiti e i campanacci. Riandrà a Venezia dove ha diretto per tanti anni, a rivedere la tomba di Stravinskij e a trovare la moglie in ospizio, quella per cui non aveva mai avuto abbastanza tempo per via delle sue necessarie sperimentazioni in materia sessuale con altre donne. Moltissime le comparse, più o meno significative o importanti, un numero ubriacante di presenze che Sorrentino è solito portare. Peccato: i 17 minuti di applausi alla proiezione pubblica di Cannes 2015 non sono bastati per alcuna statuetta.
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