Lo scopone scientifico

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Un film di Luigi Comencini. Con Joseph Cotten, Alberto Sordi, Bette Davis, Silvana Mangano, Mario Carotenuto.
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Commedia, durata 116 min. - Italia 1972. MYMONETRO Lo scopone scientifico * * * - - valutazione media: 3,44 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
   
   
   

Coppia di borgatari contro una vecchia miliardaria Valutazione 4 stelle su cinque

di Great Steven


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giovedì 22 gennaio 2015

LO SCOPONE SCIENTIFICO (IT, 1972) diretto da LUIGI COMENCINI. Interpretato da ALBERTO SORDI, SILVANA MANGANO, BETTE DAVIS, JOSEPH COTTEN, MARIO CAROTENUTO, DOMENICO MODUGNO
Protagonisti della vicenda sono i coniugi Peppino e Antonia, lui uno straccivendolo romano e lei una lucidatrice in una concessionaria di automobili; entrambi vivono in una borgata-baraccopoli della periferia della capitale abitata da individui molto poveri che se la cavano come meglio possono, a forza di stenti e sacrifici. Poco distante dal quartiere c’è una sontuosa villa, circondata da un meraviglioso giardino, in cui risiede una vecchia miliardaria americana appassionata del gioco dello scopone scientifico. Poiché anche Peppino e Antonia dimostrano una certa abilità nel giocare a carte, ogni anno sfidano la vecchia, in coppia col suo segretario George che la serve da trentasette anni, in interminabili partite a scopone. Inizialmente la posta in ballo è fittizia, ma poi si comincia a fare sul serio: il premio per chi vince è costituito da tutti i risparmi della borgata. Se si aggiunge, poi, che Antonia è insidiata da un vecchio pretendente, Righetto er baro, che vorrebbe fare coppia con lei allo scopone e che le consiglia di mollare il marito Peppino, ritenuto un imbecille, la situazione si complica ulteriormente, tanto più che Peppino è obbligato a chiedere prestiti alla sorella battona e a non mantenere le allettanti promesse fatte ai cinque figli avuti con la moglie. L’anziana magnate li lascia praticamente a becco asciutto, intascandosi tonnellate di denaro con cui ampliare la capienza della propria cassaforte. È un romanzo popolare con ottime cadenze agresti e una morale amara che ne riscatta il pessimismo di fondo: a giocare con i ricchi, con chi tiene il banco, si perde sempre. Non c’è distinzione fra poveri (buoni) e ricchi (cattivi): il gioco corteggia come la dipendenza dagli stupefacenti, e attira sia chi ha bisogno della pecunia per sopravvivere materialmente sia chi ne è già provvisto abbondantemente ma non riesce a placare la sua sete inesauribile di ricchezza e sfrontato benessere. Comencini conosce quello di cui parla e dirige quest’opera eccellente e mirabolante col tocco di un regista consumato che trova, in un angolo espressivo non poi così recondito, un discorso da sfoderare a unghie scoperte per affrontare una storia al cui fulcro ci sono la miseria, il tentativo di riscossa, il vivere nella bambagia, il tema della fortuna “ballerina” e l’impudenza del caso, che favorisce chi vuole lui, a suo completo piacimento. Il film è recitato da attori infallibili: Sordi accentua le sue indimenticabili espressioni da imbambolato cronico, o meglio, da uomo rattristato e sconfitto, con la sua infallibile mistura di umorismo agrodolce e romanità di prima categoria; la Mangano (che finalmente parla con la sua vera voce) appare molto a suo agio, e sferra sassate di saggezza, impazienza e arguzia tipiche di una consorte che crede nel matrimonio e che desidera affermarsi socialmente; a B. Davis è affidato il ruolo dell’antagonista, che curiosamente è amica dei due attori principali, e lo fa tirando fuori un’arrogante civetteria e una prepotenza sottile che sfiora l’enigmatico; J. Cotten è un eccelso attendente, con velleità da artista fallito, che tutto sommato tifa per i due borgatari, ma che continua inconsapevolmente ad appoggiare la finanziera perché ne è segretamente innamorato; Carotenuto è un professore che, durante una cena in casa dei protagonisti, spiega loro le regole dello scopone spiegate brillantemente in un tomo e che risponde alle telefonate a lui indirizzate quando si trova al circolo del quartiere, dove si riuniscono tutti i borgatari; infine, D. Modugno esce per un paio d’ore dalle vesti di cantautore per cimentarsi nella recitazione, e il suo personaggio ha il giusto spazio espressivo e gli consente di mostrarsi birichino, furbastro, manipolatore ma anche subdolamente vigliacco. Una pellicola che merita di essere rivista più volte per apprezzarne perfino i dettagli più nascosti, e che rivaleggia con la commedia all’italiana degli anni 1970 sprizzando tutt’intorno un’aria drammatica di catastrofismo e disillusione, senza per questo ridursi a resa.

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