Il portaborse

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Triste presagio della Seconda Repubblica Valutazione 3 stelle su cinque

di gianleo67


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giovedì 4 aprile 2013

Giovane e brillante professore di lettere (Silvio Orlando), già prolifico autore su commissione di saggi e romanzi per scrittori in crisi creativa, viene cooptato nello staff di un politico rampante , potente ministro delle partecipazioni statali (Nanni Moretti). Il suo strenuo ed ingenuo idealismo verrà messo duramente alla prova dallo spietato cinismo e dalla corruzione imperanti nell'agone di un'arena politica di 'rapaci signori feudali' e servili comparse del potere. Convinto dall'intraprendenza di un coraggioso giornalista e dalle sempre più evidenti manifestazione della protervia e delle pratiche clientelari di cui il politico è responsabile, cercherà di opprorsi alla sua imminente rielezione. Finale di amara ironia.
Il film di Luchetti,che già alla sua uscita suscitò molte polemiche per la sua stingente aderenza al contesto sociale e politico che descrive (siamo nel 1991), è diventato col tempo un esemplare paradigma cinematografico che riassume ed anticipa con profetica lungimiranza, l'epoca di strisciante trasformismo che,di lì a poco, avrebbe portato allo stravolgimento giudiziario istituzionale di una Repubblica ormai giunta ad una drammatica resa dei conti e che pure avrebbe visto rinascere dalle proprie ceneri nuovi assetti di potere ed una nuova classe dirigente con gli stessi vizi (molti) e le stesse virtù (poche) di quella spazzata via dal ciclone 'Mani Pulite' (siamo nel 1992). Prodotto dalla Sacher film di Nanni Moretti e scritto dall'autore insieme a Rulli e Petraglia, nasce sotto l'egida di una ideale continuazione del 'discorso morettiano' sulla realtà italiana e sulla perdita di innocenza della società civile (La messa è finita,Palombella Rossa), pur privilegiando una rappresentazione esplicita di alcune tematiche (la retorica imperante nel mondo della scuola, la dilagante corruzione politica,lo sviluppo della televisione come fondamentale mezzo di controllo del consenso,etc) al di fuori di una marchiana estetica del grottesco e del paradosso che pure ne costituiscono l'apparente cifra formale. Dunque un film più politico e realistico di quello che lascerebbe intendere il ricorso ad una caratterizzazione esasperata (spesso sopra le righe) di personaggi ridotti alla monodimensionalità del loro ruolo sociale (il professorino idealista e un pò ingenuo, il politico cinico e dispotico, il segretario rozzo ed efficiente, l'anziano funzionario usato come 'testa di legno', perfino il giornalista spregiudicato e vendicativo succube di un facile ricatto professionale) che animano il ridicolo palcoscenico di una realtà deformata in un gioco di specchi di cui è facile tuttavia ricostruirne morfologie e prototitipi riconoscibili, la tangibile verosimiglianza di un'esperienza comune. Pur con questi limiti formali e ideologici è un film apprezzabile per la sua pungente ironia, la brillante esuberanza di protagonisti che si cimentano in una gara di bravura (Silvio Orlando sta una spanna sopra il piglio impettito di un Moretti che esaspera la caricatura di un personaggio di luciferina doppiezza) e il suo indubbio valore simbolico nel prefigurare un chiara antitesi tra l'insinuante  corruzione del potere e il candore acerbo di menti giovani e brillanti che si piegano alla sua fascinazione, come metafora di una irreversibile malattia etica del Paese in grado di asservire le nuove generazioni al giogo di una avvilente subalternità (Zollo che traduce Senofonte 'all'impronta' è ridotto al ruolo di 'azzeccagarbugli' d'un crudele e spietato Signore del Male). Chiara anticipazione di figuri che si materializzeranno presto sulla scena politica italiana, il Botero di Moretti rappresenta il trasformismo di una classe politica gattopardesca in grado di soppiantare l'immagine cadente e decrepita di una politica confessionale attraverso il rampastismo neoliberista e qualunquista (vi ricorda qualcuno?). Finale forse troppo precipitoso di amaro disincanto con la scena, ormai celebre, dei due intellettuali sconfitti che sfogano la loro inutile frustrazione nella distruzione di un effimero simbolo del potere. Triste presagio della Seconda Repubblica.

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