C'era una volta in Anatolia

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Un film di Nuri Bilge Ceylan. Con Yilmaz Erdogan, Taner Birsel, Ahmet Mümtaz Taylan, Muhammet Uzuner, Firat Tanis Titolo originale Bir zamanlar Anadolu'da. Drammatico, durata 150 min. - Turchia 2011. - Parthénos uscita venerdì 15 giugno 2012. MYMONETRO C'era una volta in Anatolia * * * 1/2 - valutazione media: 3,55 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari. Acquista »
   
   
   

C'era una volta... ma la vita non è una favola Valutazione 4 stelle su cinque

di donni romani


Feedback: 23283 | altri commenti e recensioni di donni romani
venerdì 8 giugno 2012

Nuri Bilge Ceylan, già autore del bellissimo "Tre scimmie" torna a mettere in scena le più profonde emozioni umane con questa pellicola, Gran Prix della Giuria al Festival di Cannes 2011. E lo fa attraverso un meccanismo a matrioska, perchè ogni scena ne contiene un'altra, ogni dialogo è propedeutico al successivo, ogni rivelazione contiene i germogli per la rivelazione successiva, che a volte arriva anche dopo un'ora dalla prima. La trama apparentemente è quella di un poliziesco e ci presenta un commissario di polizia, un procuratore e un medico legale che con altri agenti scortano un assassino confesso nel luogo dove dice di aver sepolto il cadavere della vittima. Viaggeranno tutta la notte e dopo aver alla fine scoperto il luogo di sepoltura torneranno in città per l'autopsia. Ma la parte poliziesca finisce qui, perchè non sapremo mai fino in fondo le ragioni dell'omicidio, nè ci saranno interrogatori (a parte una sola scena, nel buio della notte, in cui il colpevole viene maltrattato dal commissario esasperato) nè indagini. Ci saranno invece tutta una serie di dialoghi fra i tre protagonisti, il dottore, il commissario e i procuratore, che ci racconteranno le loro vite, le loro delusioni, i loro drammi. Sono dialoghi lenti, fra persone stanche (fisicamente per la lunga notte di ricerche ed emotivamente, ognuno per ragioni diverse e lontane, ma sempre presenti) dialoghi che svelano e raccontano, e contemporaneamente spiazzano, noi e i protagonisti stessi. Perchè nel raccontare loro stessi si confrontano col passato, con il presente, e si scoprono fragili, e sconfitti. E nel giudicare l'assassino, apatico, freddo, distante, hanno mille dubbi a livello umano, e sociale. Lo scambio di parole avviene spesso in macchina, o durante le soste, e Ceylan non ha paura ad accostare tematiche alte e profonde ad altre banali e quotidiane, perciò si passa con disinvoltura dalle considerazioni sulla qualità dello yogurt fatto con latte di bufala alle riflessioni sul mistero della vita e della morte, dalle puntigliose misurazioni per stabilire se il cadavere è seppellito in una regione piuttosto che in altra alla considerazione che a volte si va ancora a lavorare ben oltre l'età della pensione solo perchè ciò che si vive in casa è troppo doloroso (come nel caso del commissario che assiste da anni un figlio malato), dalle battute riguardo la somiglianza del procuratore con Clark Gable di cui ha gli stesi baffi (che si accarezza con vanità lontana dal suo ruolo) alla consapevolezza che il suicidio è una estrema forma di punizione per chi resta. La scena finale dell'autopsia, di un corpo violato e sezionato mentre fuori dalla finestra un gruppo di ragazzini gioca a pallone e la vedova del morto si allontana stancamente con il figlioletto sono ancora una volta testimonianza della volontà del regista di mettere in scena la vita in tutte le sue forme, di mettere a nudo i sentimenti degli uomini, di svelarli fragili al di là dei loro ruoli sociali. La semplice eleganza con cui fa tutto ciò lo rende un coreografo dell'esistenza, artefice di una danza imperfetta in cui ognuno sbaglia i passi, ma proprio nel far questo rende magnifica l'intera rappresentazione scenica. E la vita, così imperfetta, e per questo affascinante - al punto da diventare "Once upon a time...", "C'era una volta..." - è una favola lontana e misteriosa che tutto contiene e tutto restituisce.

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goldy domenica 17 giugno 2012
cornuti e mazziati
65%
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35%

La sua recensione, precisa e puntuele, sembra in verità scritta per alieni che vogliono conoscere come si svolge la vita sulla terra. L'intento didattico del regista è quello di consapevolizzare lo spettatore sulla universalità della banalità del quotidiano dal quale lo spettatore tenta di difendersi proprio recandosi al cinema. Gli si propone una storia costruita secondo le strategie narrative del giallo salvo poi punirlo privandolo di una conclusione coerente. Inoltre lo umilia per non aver saputo operare un secondo livello di lettura, ben più elevato e ricco di significati come lo scoprire che la banalità del quotidiano non risparmia nessuno, Umiliati e offesi.

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