Hunger |
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Un film di Steve McQueen (II).
Con Michael Fassbender, Liam Cunningham, Stuart Graham, Brian Milligan, Liam McMahon.
continua»
Drammatico,
durata 96 min.
- Gran Bretagna, Irlanda 2008.
- Bim Distribuzione
uscita venerdì 27 aprile 2012.
MYMONETRO
Hunger
valutazione media:
4,25
su
-1
recensioni di critica, pubblico e dizionari.
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Thatcher e i suoi misfattidi pepito1948Feedback: 125 | altri commenti e recensioni di pepito1948 |
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giovedì 3 maggio 2012 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Un carceriere della prigione di Maze in Ulster conduce una vita normale, tra celie con i compagni, ordinari atti quotidiani in famiglia, qualche misura di autodifesa (il controllo sotto la propria macchina), ma ha un problema; le sue nocche sanguinano perennemente, le ferite non si chiudono, come quelle delle vittime delle sue violenze, finchè qualcuno decide che è arrivata la sua ora. Questa volta è lui la vittima, ed il suo sangue inonda come in una tragedia greca il corpo inerte della madre. Questo il prologo che svela il vero protagonista del racconto, il sangue, quello che sgorga inesorabile dal corpo martoriato dalla violenza. A Maze i prigionieri irlandesi dell’IRA sono corpi nudi avvolti in una coperta in balia della brutalità senza limiti del Potere (del Governo Thatcher come dei carcerieri degli H Blocks, la sezione di massima sicurezza); corpi piagati, torturati, che tuttavia non rinunciano ad azioni di protesta anche terribilmente forti (come l’uso dimostrativo dello sporco) per riottenere lo status di prigioniero politico con gli annessi diritti. Nella lotta si inserisce uno dei loro capi, Bobby, scrittore, giornalista, cattolico, che, visto l’insuccesso delle iniziative messe in atto, passa alla strategia del digiuno ad oltranza coinvolgendo ad intervalli regolari gli altri compagni. Da questo momento il corpo, da impotente oggetto di azioni altrui, diventa strumento aggressivo di lotta attraverso l’autoannientamento, la violenza verso se stessi per una causa in nome della quale non sono più ammesse alternative, pause, scrupoli morali, possibilità di ripensamento. I detenuti attaccano, il Potere è impotente, gli indipendentisti rifiutando ogni alimentazione affondano la lama giorno dopo giorno, le piaghe si estendono fuori e dentro, la pelle, ultimo baluardo di difesa, si assottiglia, il Potere, spiazzato, non colpisce più, attende, controlla, barcolla nell’inazione. Bobby muore, e dopo di lui altri 9 attivisti, e con essi muore l’inamovibilità pregiudiziale del Potere e l’ostilità o il cauto distacco della pubblica opinione. Da quei corpi martoriati e dalle reazioni del mondo nascerà un nuovo negoziato che porterà entro pochi anni alla fine della guerra e ad un travagliato processo di pace. Bobby il primo martire di Maze divenne mito, eroe di libertà, come era stato Jan Palach e come tanti altri che verranno dopo. Tutto questo McQueen ci racconta nel suo film di esordio con stile personale, asciutto, senza divagazioni che possano distrarre dallo scorrere degli eventi: niente musica di fondo, pochi esterni, niente colori forti, massima attenzione ai particolari per cogliere ogni piccolo frammento emotivamente rilevante, dialoghi essenziali che si attenuano man mano che la tragedia si avvicina. Tutto converge e riparte dal confronto centrale, ombelico significante del racconto, in cui lo scontro dialettico tra opzione estremistica e quella razionale, morale e filonegoziale all’interno del perimetro del pensiero cattolico spiega le posizioni in campo e pone gli interrogativi intorno a cui orbita il tema di fondo del film: ne valeva la pena? Era una lotta giusta? Fu vera gloria libertaria o piuttosto esaltazione politico/religiosa di un gruppo di giovani estremisti? Belli alcuni richiami iconografici , come la “deposizione” del Cristo ravvisabile nel corpo inerte di Bobby portato a mano dall’infermiere dopo il suo svenimento, come interessanti sono le frequenti inquadrature anticonvenzionali alla “Lars von Trier”. Insomma un’opera di alto spessore artistico ed emotivo, di ben altro livello del deludente Shame, che mette nel dovuto risalto tanto il talento del regista quanto la buona prova recitativa di Fassbender, qui all’altezza della sua improvvisa fama.
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