Arancia meccanica

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La (a)moralità dello spettacolo Valutazione 5 stelle su cinque

di Paolo 67


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venerdì 4 novembre 2011

Dallo sconvolgente romanzo di Anthony Burgess Kubrick ha tratto uno dei suoi film più sconcertanti, raccontato dallo straordinario punto di vista di un protagonista che è in realtà una rappresentazione dell'inconscio (A-lex, cioè l'uomo senza legge) e per questo risulta stranamente familiare, ingiustamente simpatico oltre che perversamente attraente. Attraverso continue metamorfosi dello stile che attraversa tutte le possibilità fotografiche e sintetizza tutti i tipi di spettacolo, quella cultura popolare di cui il film si nutre ed è rappresentazione, e che soprattutto nei primi quaranta minuti rivela una folgorante sapienza spettacolare, il grande regista racconta una storia allegorica che è anche una riflessione sulla Storia chiusa e senza scampo. Il male, che appare il fratello gemello del bene, sembra avere un preciso ruolo nella inesorabile dialettica che regge l'Universo (apparentemente lontano, il film rivela così la sua intima connessione con "2001"). L'ambiguità del finale (l'intelligente Alex è tornato cattivo?; è un docile agnellino sfruttato dai politici o un furbone che sta al gioco pronto a ricattarli?) è il consueto sberleffo di Kubrick, che interrogandosi sulla morale incontra l'ultima parola della Natura, in un film che può anche essere visto come il prolungamento di "2001" nel senso della visione nietzschiana del Superuomo (di cui il protagonista sarebbe una delle possibili manifestazioni al negativo, a cui si può contrapporre quella positiva del bambino dotato della "seconda vista" in "Shining") che ignora la morale (di cui Kubrick mostra ancora una volta l'ipocrisia e la corruzione della società che afferma di detenerla). Con un intuito degno del genio di un Beethoven o di un Rossini che costituiscono gran parte della colonna sonora del film, Kubrick scopre una sgomentevole intima parentela di queste note coi personaggi e le situazioni che contrappuntano, determinandone una forza espressiva di sbalorditiva efficacia. L'interpretazione di Malcolm Mac Dowell, di cui Kubrick registra l'autentico divertimento (che corrisponde al piacere dionisiaco del pervertito protagonista) nel girare il film, ha dell'incredibile. Ma è il genio di Kubrick che, come accade spesso nelle opere "minori" (il film era un ripiego relativamente a basso costo rispetto alla rinuncia del regista a girare il film su Napoleone) brilla in maniera abbagliante, rivelando una lucidità che rimette le cose a posto rispetto alla demagogia e ai falsi umanesimi (nel film le figure politiche di destra e di sinistra sono uno peggiore dell'altro). Come avviene nei grandi capolavori della musica, le arditezze nascondono strutture che le sorreggono che in questo film sono il mito e la fiaba. Un'analisi approfondita ne rivela la costruzione simmetrica, anche nei personaggi (una delle ossessioni kubrickiane) nonchè la precisa raffigurazione come spettacolo dei riti sociali. La funzione dello spettacolo è uno dei temi di fondo del film. Tutta l'opera potrebbe essere una successione di quadri teatrali (Shakespeare colla sua idea del mondo come spettacolo ne sarebbe stato entusiasta). Il tono satirico del film, così appropriato per una forma d'arte antica e nello stesso tempo ultramoderna (nel senso letterale della parola) è probabilmente la causa dei fraintendimenti e delle controversie, anche drammatiche (minacciato di morte, Kubrick ha dovuto ritirare il film dall'Inghilterra), sorte intorno all'opera, su una sua presunta fascinazione per la violenza (che l'autore, che considerava l'opera d'arte una catarsi e non un modello, non si è mai spiegato perchè non chiamasse in causa gran parte dello spettacolo considerato di normale intrattenimento, pieno di violenza anche sadica) attraverso una messa in scena così perversamente efficace. Certo Kubrick ha rischiato, ma è sempre stato uno di quei registi convinto di comunicare con persone intelligenti, credendo nella libertà degli individui adulti, che è il tema di fondo del film (il suo portavoce è dichiaratamente il cappellano del carcere, che anche se celato dietro una maschera satirica porta l'idea importante del diritto alla scelta). Secondo Goffredo Fofi e altri le polemiche su "Arancia meccanica" dimostrerebbero la sovrastima dell'autore rispetto alla mediocrità politica e sociale degli ultimi decenni, ma le dichiarazioni di Kubrick hanno sempre smentito sia il suo presunto pessimismo sia la sfiducia verso il suo tempo: egli anzi citava i tanti riconoscimenti, anche di organizzazioni religiose, che ha avuto il film, tra cui quelle in Italia, colla vittoria del David di Donatello ma anche la dichiarata stima di registi come Fellini, Bunuel (che considerava "Arancia meccanica" il suo film preferito, "l'unico su quello che significa in realtà il mondo moderno") o Kurosawa. In una recente intervista la vedova di Kubrick è tornata sulle reali intenzioni del marito col film, dichiarandosi addolorata per le cattive interpretazioni anche di alcuni sostenitori (il rischio è soprattutto per i giovani), ma Kubrick ha sempre sostenuto che se non si vuole una censura totale e rigida non c'è alternativa alla libertà delle arti che, rimarcava, non hanno mai fatto un danno mentre tanti danni hanno fatto quelli che volevano difendere la società dalle opere d'arte che ritenevano pericolose (per esempio Adolf Hitler). 

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