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Un trio di canaglie in cerca un tesoro da recuperare accompagnati da un severo e apparentemente incorruttibile ufficiale si avventurano in un lungo viaggio pieno di trabocchetti e situazioni enigmatiche. In Professionisti per un massacro la violenza tipica del western all'italiana tocca vertici di grande efferatezza ma si alterna con situazioni diverse, quasi volesse cominciare a esplorare nuove strade per un genere che nel 1968 comincia a dare qualche segno di stanchezza. Nel viaggio dei tre sudisti scampati per caso alla fucilazione e del graduato che li accompagna, per esempio, non vince praticamente mai chi estrae per primo la pistola ma chi fa lavorare il cervello. Muscoli e polvere da sparo sono del tutto aggiuntivi e non costituiscono più l'essenza del racconto. In qualche caso è la narrazione stessa a renderli del tutto inutili e figurativi come quando Primero fa sparare i suoi uomini al nulla perché il rumore degli spari lo aiuta a vincere la paura dei nemici. In generale il film non si muove ancora troppo al di fuori dei codici di genere più classicamente "leoniani", ma comincia ad anticiparne alcune evoluzioni successive. I tre protagonisti sono antieroi a tutto tondo, cinici e violenti al punto da utilizzare con una certa frequenza e facilità la dinamite anche quando il suo uso assume l'aspetto di un'inutile crudeltà nei confronti di avversari già battuti o in procinto di abbandonare il campo, ma il tratteggio dei personaggi comincia ad aprire consistenti varchi a una scanzonata ironia.
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