Racconto crudele della giovinezza

Un film di Nagisa Ôshima. Con Yusuke Kawazu, Miyuki Kuwano, Yoshiko Kuga, Fumio Watanabe, Kei Satô.
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Titolo originale Se ishun zankoku monogatari. Drammatico, durata 97 min. - Giappone 1960.
   
   
   

L’innocenza sconfitta di una generazione “crudele” Valutazione 4 stelle su cinque

di Paola Di Giuseppe


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mercoledì 20 ottobre 2010

Nel ’60 Oshima ha 28 anni, è al secondo film e questo rappresenta la tappa giusta.Il successo clamoroso,dopo l’accoglienza tiepida di Ai to kibo no machi (Il quartiere dell’amore e della speranza)ne fa la bandiera del Nuovo Cinema Giapponese. La critica alla società è ormai senza quartiere,mettere il dito nelle piaghe nascoste dietro la facciata di nazione tranquilla,laboriosa e florida è impegno irrinunciabile e il tema centrale,quello giovanile,è quel grumo irrisolto di contraddizioni e tensioni che, nel grande sincretismo culturale oggi rintracciabile,a ritroso, attraversò la cinematografia mondiale di quegli anni. La gioventù crudele di Oshima,o,meglio,la crudeltà di quella giovinezza,che non si offre a pietà né a prospettive salvifiche di alcun tipo,fa pensare infatti al mondo di Accattone e Mamma Roma di Pasolini. Con tutte le differenze sul piano delle scelte di stile,fatti salvi i rimandi ad altri autori, e non solo di cinema, che si avvertono nel background culturale di Oshima,quei giovani, che “non vengono presentati né come tristi vittime della società né come coraggiosi ribelli” (Tadao Sato) hanno la stessa capacità dei borgatari romani di respingere. “In una società cattiva come questa -continua Sato- la loro ribellione assume semplicemente la forma di delinquenza gratuita, ed è questo l’elemento “crudele” della loro giovinezza”. Kiyoshi e Makoto sono studenti di Osaka,lui universitario,lei più giovane,ma dei loro studi quasi nulla trapela,sono indifferenti a tutto, guardano distratti la sfilata del primo maggio, “no, Beethoven no….” è l’esclamazione annoiata quando uno accende la radio vivono di notte fra bar equivoci e autostop su macchine di anziani danarosi,una stanzetta dove entra solo il letto è lo spazio in cui convivere dopo che lui l’ha sedotta,ma con una violenza che non suscita orrore, è insita nelle cose stesse, e Oshima la fa percepire in modo disturbante,è una trama così sottilmente impregnata di violenza che tutto diventa coerente,normale,e l’epilogo tragico non produce alterazioni di rilievo. La cinepresa a mano segue i due protagonisti,è l’interesse dell’entomologo unita alla rabbia dei pugni in tasca,Kiyoshi e Makoto sono belli,ma non suscitano attrazione né identificazione, non hanno linguaggio,sembano catatonici,vivono una traversata tragica (risse, stupro, adescamento, aborto, famiglia assente, la precarietà eretta a sistema,la violenza come leit motiv)con incoscienza volubile,in un mondo di padri e maestri da cui si può solo fuggire,punti di appoggio inesistenti,stringono tra loro un legame mal imbastito,come bambini fatti crescere in fretta e mollati a sé stessi. Non hanno consapevolezza del male e del bene,sono il prodotto coerente di una società e di una storia che Oshima attacca dal suo interno,con critica incendiaria. Le scelte stilistiche sono conseguenti, in totale controtendenza rispetto al passato, e forse oggi possono risultare per qualche aspetto datate o ancora in fase di maturazione, ma c’è già il tocco dei capolavori successivi, come nel silenzio immobile di Makoto dopo l’aborto, contrappuntato da Kiyoshi che sgranocchia una mela o in quel sole che non c’è mai, ma c’è tanto rosso, è il colore che prevale e sembra assorbire gli altri, in una fusione cromatica luciferina. E’ la denuncia di una generazione sconfitta che ancora non sapeva di esserlo,la lettura di Oshima è rigorosa,tesa senza enfasi nè commozione,non concede nulla,così come la vita vera,

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