Peggy Sue si è sposata |
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Un film di Francis Ford Coppola.
Con Kathleen Turner, Barry Miller, Nicolas Cage, Jim Carrey.
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Titolo originale Peggy Sue got married.
Commedia,
durata 103 min.
- USA 1986.
MYMONETRO
Peggy Sue si è sposata
valutazione media:
3,33
su
-1
recensioni di critica, pubblico e dizionari.
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La tenerezza della mortalitàdi hollygoliFeedback: 1372 | altri commenti e recensioni di hollygoli |
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venerdì 16 luglio 2010 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Un film di delicatezza ed intensità quasi insostenibili, che nello spettatore "giusto" può far scattare uno straziante processo di identificazione con Peggy Sue. Una storiella da cinema tipicamente americano che nelle mani del mostro sacro Francis Ford Coppola diventa un'opera d'arte, un gioco di specchi (non solo figurato), non surrealista ma iperrealista, ricco di sottotesti, ambiguità, inquietudini, simile a certi sogni lucidi che fondono realtà vissute e proiezioni dell'inconscio che in Shakespeare assurgono a folgorante metafora della vita in Misura per Misura: "tu non hai né giovinezza né vecchiaia, ma un sonnellino pomeridiano nel quale sogni di entrambe". Peggy Sue si ritrova proprio così, non più diciottenne né quarantenne, sospesa in un "sonnellino" a metà tra il bel sogno e l'incubo, in cui cammina, abita e sfiora la vita di persone di cui è consapevole che non sono più così, o non sono più affatto. Lungi dall'apparentarsi minimamente ai banali classici dell'operazione nostalgia, il film non scivola però nemmeno in una sorta di dramma parapsicologico grazie ad un'intrinseca sincerità sentimentale, che è di Peggy Sue - una mai più così grande Kathleen Turner -, il cui amore struggente, ma venato di ironia e per ciò mai patetico, per le cose e le persone della sua memoria, ma soprattutto per la se stessa diciottenne, è l'energia che anima il teatrino della sua rappresentazione onirica, insieme ad un sottilmente sotteso senso di incertezza sulla sua condizione, sospesa tra l'essere ancora viva e momentaneamente intrappolata nei ricordi o, viceversa, esser morta e divenuta lei stessa ombra tra le ombre; ma prima ancora è di Coppola, qui autenticamente commosso ed ispirato forse dai propri drammi personali, che compie egli per primo il viaggio di Peggy Sue e che, per trovare scampo e sollievo ad un grande dolore, si rifugia, non col sogno ma con il magico mezzo del cinema, in un mitico eden perduto, quando ancora il futuro era tutto da scrivere, gravido delle ingenue speranze della giovinezza, consapevole però, nel momento stesso in cui attua il suo gioco, della vanità di esso. Peggy Sue non non riesce a modificare il tracciato della sua vita di ragazza, perché sa di non averne la possibilità: non è davvero la Peggy Sue di allora, è un'abusiva che non vive, ma fantastica solo di un passato che non esiste più, se non come impronta nel suo cuore, eco pulsante di qualcosa che è finito, come la scia di luce delle stelle spente milioni di anni fa sul firmamento del cielo; e perché infine comprende che nel riuscire ad accettare questa fatalità di esseri mortali, effimeri, sta la tenerezza dell'essere umano. Per questo "Peggy Sue got married", tra immagini di raggelante bellezza e un'opprimente, a tratti, sensazione di deja vu ai limiti della claustrofobia, è, alla fine, uno di quei film da cui si emerge diversi da come ci si era entrati, intristiti, ma illuminati dalla condivisione di una smagliante serenità superiore, luminosa come la luce che pervade tutta la pellicola. Non un capolavoro, ma certo un piccolo gioiello.
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