Ti amerò sempre |
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Un film di Philippe Claudel.
Con Kristin Scott Thomas, Elsa Zylberstein, Serge Hazanavicius, Laurent Grévill, Frédéric Pierrot.
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Titolo originale Il y a longtemps que je t'aime.
Drammatico,
Ratings: Kids+13,
durata 115 min.
- Francia 2008.
- Mikado Film
uscita venerdì 6 febbraio 2009.
MYMONETRO
Ti amerò sempre
valutazione media:
3,33
su
-1
recensioni di critica, pubblico e dizionari.
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un film alla scuola di Bergmandi olgadicomFeedback: 0 |
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venerdì 27 febbraio 2009 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Una specie di thriller etico, con alcuni punti deboli nella sceneggiatura, ma di una tale intensità che ha il suo antecedente solo in alcune analisi di Bergman, raffinate e profonde, emotivamente incalzanti. Infatti è senza tregua il processo di svuotamento di quel pozzo senza fondo che sono le “cose” dell’animo umano, ma il ritmo (specialmente all’inizio) è lento, sembra faticoso e duro come i tentativi di reinserimento che la protagonista deve affrontare. Juliette (una strepitosa Kristin Scott Thomas, senza trucco, di un fascino antico e imperscrutabile) torna dopo quindici anni a Nancy, la sua città d’origine, e reca stampata nel viso la sofferenza di cui è piena. Estranea a tutto, lontana anche da se stessa, quasi selvatica nell’approccio con altri, reincontra qui la sorella Lea (ha il volto mobile e sensibile di Elsa Zylberstein), che la ospita nella sua grande casa. Della famiglia fa parte il marito, un po’ elementare come personaggio, due accattivanti figlie adottive, un suocero che legge sempre ma non può parlare e lo fa con piccoli gesti d’accoglienza o di rifiuto. A questi, via via, si aggiungono vari personaggi: l’anziana madre preda della demenza, i rozzi datori di lavoro, un insegnante collega di Lea, di sensibilità vicina a Juliette, un poliziotto buono e confuso, anche lui in piena crisi. E questo coro si dispone con naturalezza sullo sfondo, ciascuno convincente nella sua piccola parte. Con tutti la protagonista lentamente cerca di confrontarsi, ma non è facile, visto il segreto inconfessabile che si porta dentro e che fa venire a galla, una volta svelato in parte, gli aspetti migliori e peggiori delle relazioni con le persone che incontra. Non solo le donne ma anche gli uomini sono o tristemente consapevoli del dolore connaturato alla vita o superficiali fino a quando non vanno a cozzare contro quello che si rifiutano di vedere; ognuno comunque ha le sue zone d’ombra. Tutti nel racconto conservano emozioni rattenute o abissi psicologici nei quali rischiano di naufragare, perciò si contano “i salvati e i sommersi”. Le donne però sono quelle che attingono dalla loro natura maggior forza per resistere, riadattarsi e (chissà?) rinascere. E il senso vero del film sta in questo come nella capacità del Libro, della Parola e del Silenzio di fare da maieutica alla sofferenza con pari possibilità evocative. Ciò appare evidente al di là della rivelazione shock della fine, per cui tutto quello che si era pensato va rovesciato e rivisto. Il regista Philippe Claudel per la sua opera prima egli sceglie una tessitura di primissimi piani che cattura come poche: scorrono davanti ai nostri occhi le pieghe dei visi, le attaccature del collo, dei capelli, delle orecchie, su su fino agli sguardi che bucano e addolorano. Rimane comunque sottesa ai particolari l’energia rigenerante che la donna sa scavare per sé e per gli altri anche dalla sofferenza peggiore di cui è metafora, in una scena del film, un quadro ottocentesco molto suggestivo, La douleur di Emile Friant. Tra le tante violenze fisiche e morali che si consumano in Italia e nel mondo contro la donna, è dolce ricevere un così bell’omaggio.
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