Buffalo '66 |
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Un film di Vincent Gallo.
Con Ben Gazzara, Christina Ricci, Vincent Gallo, Anjelica Huston, Rosanna Arquette
Drammatico,
durata 112 min.
- USA 1998.
MYMONETRO
Buffalo '66
valutazione media:
3,77
su
-1
recensioni di critica, pubblico e dizionari.
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gallo '66di readcarpetFeedback: 0 |
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giovedì 4 settembre 2008 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Dico che il fine ultimo di un regista dovrebbe sempre essere quello di dare alle proprie immagini la funzione di linguaggio parallelo rispetto alle parole: sta a lui, poi, dare loro più o meno importanza e significati, o metterle più o meno in contrasto con il “parlato”. Ma quando parola e immagini sono “semplicemente” riunite al servizio di una storia, l’appiattimento è quasi garantito. Non è il caso di Buffalo ’66, esordio alla regia di Vincent Gallo: freddo, anomalo, ma infinitamente delicato. E’ una storia di perdenti, di uomini e donne destinati a rimanere sempre ai margini: niente ricevono dal mondo che hanno attorno, ma tanto avrebbero da dare. Billy Brown è un ragazzo che ha perso una scommessa sui Buffalo vincenti al Superbowl, ma non ha i soldi per pagarla: gli viene offerta una condanna al carcere da scontare al posto di un altro, per avere risparmiata la vita. Uscito di prigione vuole vendicarsi sul giocatore che ha compromesso la sua vittoria. Ma incontrerà Layla. Dà un’impressione strana, Buffalo ’66: sembra, in certi momenti, un “diario del fallito” che non potrà che finir male. Non solo Billy è disperato, ma tutti quelli che incontra, da Layla fino a Tonto, passando per i genitori. E inizialmente Gallo non li risparmia. Prende anche un po’ in giro i loro sogni (il padre che canta e Layla che balla al bowling), ma lo fa con una delicatezza inaspettata, in un crescendo di tenerezza mai patetica che porta a un finale “nuovo”: nuovo perché non è il finale che ci aspetteremmo nelle prime scene di solitudine e instabilità. Buffalo ’66 è il potere dell’immagine , cui i dialoghi fanno solo da contorno. Immagini irreali (saturate in maniera spaventosa, ogni colore tende quasi al bianco!), “incorniciate” (split screen a manciate), sovrapposte (anche troppo), che raccontano molto più di quello che viene detto (basti pensare alla scena del bowling, quando Layla si mette a ballare). E buffalo ’66 è un esempio di pudore, e allo stesso tempo di violenza: la verosimiglianza senza perdere mai di vista le persone, come se il regista le conoscesse e non volesse infierire. Non un capolavoro, certamente un ottimo film.
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