Mario Cioni è un sottoproletario, prigioniero della figura della mamma dalla quale non riesce a staccarsi (quasicché fosse in preda a complesso edipico) e schiavo di una società miserabile dalla quale subisce modelli di comportamento, sfruttamenti e ideologie.
Cerca di evadere da una vita povera e culturalmente piatta sempre passata a cercare fugaci avventure sessuali e a sproloquiare sulla rivoluzione.
La rivoluzione è aspettata e raccontata ma non riesce mai ad essere messa in atto (trasformare il pensiero in prassi) e alla fine rimane solo nelle parole.
Linguaggio gergale e assolutamente volgare, comicità ai limiti della tollerabilità, un Benigni molto diverso da come siamo abituati a vederlo, agli inizi della carriera, quando si è imposto al grande pubblico.
Non è un film comico ne una commedia leggera, è un film agrodolce, molto malinconico e a volte ci si ritrova immedesimati nel personaggio, intenti a pensare di agire e cambiare ma impossibilitati a farlo. Intanto intorno il mondo si muove e la rivoluzione o la fai o la subisci, rischiando che anche quel poco che avevi e che tanto disprezzavi sparisca, lasciandoti solo un immenso vuoto.
Bellissima la metafora che paragona in maniera ardita il comunismo con la prima eiaculazione.
Esprime tutto il talento e la forza comica e tragica di Benigni, come diceva egli stesso, dietro ogni grande comico c'è la morte, qui dietro ogni risata c'è l'angoscia che la smorza.
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