laurence316
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giovedì 9 febbraio 2017
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la retorica patriottica alla michael bay
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La cronaca tipicamente da blockbuster hollywoodiano degli attacchi al compund americano a Bengasi, Libia, l’11 settembre 2012 e, successivamente, la notte stessa, al vicino avamposto della CIA, si trasforma in un action movie forsennato (come c'era da aspettarsi da Michael Bay) dalla durata spropositata. E’ un film superficiale in cui non sempre la retorica patriottica è tenuta a freno (ma, d’altra parte, erano ben chiari gli intenti del film sin da prima della sua uscita, essendo basato su di un libro, 13 Hours, per l’appunto, che non è altro che un semplice resoconto dei fatti dal punto di vista dei difensori dell’avamposto e che, pertanto, non si addentra in particolari riflessioni sociologiche né affronta alcuna delle controversie politiche riguardanti gli attacchi stessi).
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La cronaca tipicamente da blockbuster hollywoodiano degli attacchi al compund americano a Bengasi, Libia, l’11 settembre 2012 e, successivamente, la notte stessa, al vicino avamposto della CIA, si trasforma in un action movie forsennato (come c'era da aspettarsi da Michael Bay) dalla durata spropositata. E’ un film superficiale in cui non sempre la retorica patriottica è tenuta a freno (ma, d’altra parte, erano ben chiari gli intenti del film sin da prima della sua uscita, essendo basato su di un libro, 13 Hours, per l’appunto, che non è altro che un semplice resoconto dei fatti dal punto di vista dei difensori dell’avamposto e che, pertanto, non si addentra in particolari riflessioni sociologiche né affronta alcuna delle controversie politiche riguardanti gli attacchi stessi).
Ma le sequenze d’azione sono ben realizzate e occupano gran parte della durata (comunque esagerata e francamente estenuante) e, per fortuna, sono poche invece le scene in cui i protagonisti conversano, mettendo in luce il proprio punto di vista da contractors ex-Navy SEALs, o ex-Marines o ex-Rangers. Ovvio il rispetto per i caduti (oltre all’ambasciatore J. Christopher Stevens, Sean Smith, Glen Doherty e Tyrone S. Woods), ma è comunque bene ricordare che i contractors (letteralmente, appaltatori) sono sostanzialmente dei mercenari, e come tali vengono riconosciuti da una convenzione delle Nazioni Unite di cui però gli Stati Uniti, tra gli altri (come ad esempio Regno Unito, Russia e Cina), non sono firmatari. E che certe battute (come quella, sul finale, ridicolmente semplicistica, di Kris "Tanto" Paronto rivolta ad Amahl, l’interprete, in cui dice “Il tuo paese deve risolverlo questo casino”) potevano sinceramente essere risparmiate. E avvicinano questo 13 Hours: The Secret Soldiers of Benghazi alla retorica guerrafondaia e patriottarda dell’indecente Pearl Harbor del 2001, sempre diretto da Bay.
Ma è comunque vero che il “risultato è molto meno reazionario di quanto ci si potesse aspettare da Bay” (Mereghetti), nonostante lo scarso spessore narrativo e nonostante i già citati momenti fortemente enfatici e declamatori (in particolare sul finale). In molti aspetti ricorda più un horror che un war movie tradizionale (è il caso, ad esempio, dell’avanzata dei nemici alla base) e offre due ore e passa di intrattenimento a cui lo spettatore meno esigente potrà anche abbandonarsi senza problemi.
Forte e simbolica per un film del genere l’immagine finale della bandiera americana crivellata di colpi e gettata tra i detriti. Anche per questo motivo, probabilmente, il film non ha ottenuto un grande successo di pubblico, nemmeno in patria e, costato 50 milioni di dollari, ne ha incassati appena 70 al box-office: è il minor incasso nella carriera del regista.
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giess
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martedì 20 marzo 2018
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sottovalutato
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Se ci limitiamo ad analizzare la pellicola per quello che è, senza addentrarsi troppo in riflessioni di politica estera americana, credo che Michael Bay abbia fatto davvero un ottimo lavoro. Non è un docu-film, è una ricostruzione dei fatti davvero avvincente che trasmette allo spettatore tutto quel vortice di emozioni che prova un uomo quando si ritrova a dover fronteggiare un nemico imprevedibile e spesso indecifrabile. Nel film c'è tensione, paura, angoscia, terrore e la consapevolezza di essere in un Paese fuori controllo, il che rende tutto piuttosto surreale, quasi ci si trovasse in uno scenario post-apocalittico dove sono gruppi di guerriglieri armati a dettare legge lungo le strade.
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Se ci limitiamo ad analizzare la pellicola per quello che è, senza addentrarsi troppo in riflessioni di politica estera americana, credo che Michael Bay abbia fatto davvero un ottimo lavoro. Non è un docu-film, è una ricostruzione dei fatti davvero avvincente che trasmette allo spettatore tutto quel vortice di emozioni che prova un uomo quando si ritrova a dover fronteggiare un nemico imprevedibile e spesso indecifrabile. Nel film c'è tensione, paura, angoscia, terrore e la consapevolezza di essere in un Paese fuori controllo, il che rende tutto piuttosto surreale, quasi ci si trovasse in uno scenario post-apocalittico dove sono gruppi di guerriglieri armati a dettare legge lungo le strade. Scene d'azione e soprattutto fotografia di altissimo livello, meno esaltante la parte narrativa ma non è su questo aspetto che vuole puntare il film. Una menzione va però fatta per ciò che riguarda la figura del mercenario moderno, il "contractor". Il film fa riflettere anche su questo aspetto: cosa spinge un uomo ad amare una cosa orribile come la guerra? In definitiva consiglio assolutamente la visione anche ai non amanti del genere
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wolvie
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domenica 21 marzo 2021
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la guerra estetica
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Le immagini di M. Bay spesso sono, nella sua filmografia, potenti, colossali, dove volenti o nolenti, bisogna farci i conti con la sua "ideologia" all-american. Anche in questo real-story movie ci presenta corpi attoriali che già si erano sviluppati in uno dei capitoli dei "Trasformers", dove le truppe, si aggiravano nella devastazione bellica cittadina, quindi, non sembra vero al regista di poterci presentare forze militari specializzate ( da dopo "Zero Dark Thirty" rigorosamente barbudos) a difesa e protezione degli imbelli burocrati americani, analizzatori di dati in quel di Bengasi dopo l' uccisione di Gheddafi.
Corpi e facce dure, da western, infatti è l' ennesimo film dove un gruppo di eroi è asseragliato in uno pseudo-fortino, assediato dalle orde dei "pellirosse", non importa se buoni o cattivi, comunque devono essere assoggettati alla potente democrazia della potenza di fuoco U.
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Le immagini di M. Bay spesso sono, nella sua filmografia, potenti, colossali, dove volenti o nolenti, bisogna farci i conti con la sua "ideologia" all-american. Anche in questo real-story movie ci presenta corpi attoriali che già si erano sviluppati in uno dei capitoli dei "Trasformers", dove le truppe, si aggiravano nella devastazione bellica cittadina, quindi, non sembra vero al regista di poterci presentare forze militari specializzate ( da dopo "Zero Dark Thirty" rigorosamente barbudos) a difesa e protezione degli imbelli burocrati americani, analizzatori di dati in quel di Bengasi dopo l' uccisione di Gheddafi.
Corpi e facce dure, da western, infatti è l' ennesimo film dove un gruppo di eroi è asseragliato in uno pseudo-fortino, assediato dalle orde dei "pellirosse", non importa se buoni o cattivi, comunque devono essere assoggettati alla potente democrazia della potenza di fuoco U.S.A.
Film d' assedio ne ho visti tanti e anche di meglio, il rallenti è sempre abusato ed iconografico, come già in "Armageddon", ma i combattimenti notturni con i visori e I traccianti sono discretamente emozionanti.
Nel solco di "Black Hawk Down" questo survivor war movie si distingue per il pacchetto di lusso, anche estetico, non certo per il reazionario testo politico.
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ashtray_bliss
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lunedì 10 ottobre 2016
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la retorica dell'eroismo soffoca la storia vera.
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Come ho già ampiamente spiegato in altre recensioni, è sbalorditivo quanto l'America del 2016 sia tutt'oggi ancorata alla retorica dell'eroismo a stelle e strisce, come si compiaccia di tenere alta la bandiera di questo mito vivente dell'eroe americano che si sacrifica per la sua nazione ed è pronto a tutto pur di difenderla da vere o presunte minaccie. Il patriottismo americano è una componente che forse non perderà mai del tutto il suo fascino, sopratutto non quando si tratta di confezionare pellicole come questa, che trattano di soldati, marine, navy seal o qualsiasi altra divisione militare e paramilitare made in USA.
Ecco allora che non ci stupisce trovare in 13 Hours tutti gli elementi già descritti dal utente minleo: testosterone a profusione, muscoli super palestrati, uno spiccato senso di patriottismo unito a coraggio e disprezzo della morte (ma anche della vita umana) e un amore incondizionato per gli ambienti bellici, le situazioni di pericolo, l'artiglieria pesante che supera quello per le proprie famiglie che li attendono indietro.
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Come ho già ampiamente spiegato in altre recensioni, è sbalorditivo quanto l'America del 2016 sia tutt'oggi ancorata alla retorica dell'eroismo a stelle e strisce, come si compiaccia di tenere alta la bandiera di questo mito vivente dell'eroe americano che si sacrifica per la sua nazione ed è pronto a tutto pur di difenderla da vere o presunte minaccie. Il patriottismo americano è una componente che forse non perderà mai del tutto il suo fascino, sopratutto non quando si tratta di confezionare pellicole come questa, che trattano di soldati, marine, navy seal o qualsiasi altra divisione militare e paramilitare made in USA.
Ecco allora che non ci stupisce trovare in 13 Hours tutti gli elementi già descritti dal utente minleo: testosterone a profusione, muscoli super palestrati, uno spiccato senso di patriottismo unito a coraggio e disprezzo della morte (ma anche della vita umana) e un amore incondizionato per gli ambienti bellici, le situazioni di pericolo, l'artiglieria pesante che supera quello per le proprie famiglie che li attendono indietro. Di come questa passione possa diventare una fonte di assuefazione se ne parla soltanto alla fine, con uno scambio di battute tra Rone e Jack, i due principali protagonisti, ma il film di Bay non ha le intenzioni o la forza narrativa della Bigelow in The Hurt Locker e nemmeno il palese messaggio antibellico sulla dipendenza che la guerra può creare in questi individui; un messaggio che poi verrà ribadito da Clint Eastwood nel suo finissimo ma controverso American Sniper.
Bay, pare mettere da parte le importanti considerazioni etico-morali sugli effetti della guerra in questi veterani che continuano a cercare il rischio e il pericolo, intrappolati mentalmente in un limbo che non gli consente più di frenarsi davanti alla necessità di ripartire in missione. Ecco dunque che il regista mette in scena un serratissimo action movie (che a tratti ricorda il più riuscito Act of Valor del 2012), con personaggi abbastanza stereotipati ma funzionali al racconto, puntando il tutto sulla spettacolarizzazione delle scene d'assalto, nello scontro tra 'noi' e 'loro', tra i buoni e i cattivi come semplicisticamente ribadiscono i personaggi principali.
Certamente non manca una buona resa, realistica e tragica, della realtà libica post-Gheddafi: quella d'una nazione frantumata, piegata da una guerra civile che si dispiega su tutto il territorio favorendo l'ascesa del gruppo terroristico più violento e temuto degli ultimi anni, l'ISIS.
Tuttavia Bay non approfondisce mai questo aspetto sociale e prudentemente evita di addentrarsi nelle acque territoriali di un altro stato raccontando per conto loro l'aftermath post-Gheddafi. Soffermandosi dunque a raccontare nel modo più nitido e realistico possibile tutto ciò che gravita attorno ai suoi contractor giunti in Libia, nel pieno di una guerra civile, per aiutare in caso di pericolo l'ambasciatore USA. Collocati in una dependance a circa due km di distanza dalla casa del ambasciatore, insieme ad una ventina di agenti e dipendenti federali, si ritroveranno sotto attacco la notte dell'11 settembre e allora gli ex soldati saranno chiamati a resistere e difendere la dependance (e i suoi operatori) per 13 ore senza alcun altro aiuto, nè dai loro connazionali e nemmeno dai gruppi di ribelli locali, alleati, denominati 17 febbraio.
Ecco allora che il regista seguendo uno script e uno schema semplice e lineare, tipico dei film d'azione, riesce abilmente a mettere in piedi un buon prodotto di genere che intrattiene e si concede a qualche fugace momento di riflessione, pur senza snaturarsi o tentare di essere quello che non è. Ovviamente la caratterizzazione dei personaggi locali non è esente da stereotipi, tuttavia Bay riesce a schivare le critiche razziste dato che implementa personaggi locali positivi rappresentati dai 17 febbraio, gli agganci degli operatori e da Hamal, il quale è dichiaratamente un loro alleato, si presta ad aiutarli anche quando potrebbe farsi indietro e il suo personaggio si mantiene intransigente per tutta la durata del film. Ovviamente a questi personaggi manca un'adeguata caratterizzazione psicologica approfondita ma tutti i personaggi presenti risultano alquanto superficiali. Questi elementi comunque riscattano, almeno in parte, la rappresentazione tout-court degli 'altri' come cattivi a priori. Anche alla fine, Bay si concede a rappresentare la scena delle madri che piangono i loro figli, gli stessi che poche ore prima scambiavano colpi di arma da fuoco con i soldati americani. Questa è una scena simbolica che ristabilisce minimamente l'equilibrio e rievoca una sorta di umanità precedentemente sepolta sotto macerie, rpg e cadaveri provenienti da entrambe le schiere.
Rimanendo dunque fermi sul fatto che il cinema di Bay non è un cinema politico o sociale ma sensazionalistico e spettacolare, dove la trama e le considerazioni etiche lasciano il più spazio possibile all'immagine e all'azione, possiamo ammettere che Bay firma un buon prodotto intriso di autocelebrazione, di eroismo e coraggio a profusione, impersonificate dai maschi alfa, con una rappresentazione stereotipata ma non del tutto scontata dei suoi personaggi. Non è destinato a entrare nella storia ma rappresenta un buon action movie, con effetti speciali molto curati, che si colloca a testa alta tra gli altri film del genere. Potremmo dire che rappresenta tutto quello che stereotipicamente ci aspettiamo di vedere da una pellicola a stelle e strisce di serie b ma qui il tutto si amalgama e funziona alla perfezione risultando gradevole da seguire. Fermo restando che la retorica dell'eroismo soffoca questa storia vera, palesemente romanzata ai fini di renderla un appetibile prodotto d'azione. 2,5/5.
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max scia
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sabato 10 dicembre 2016
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al peggio non c'è mai limite
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2012, nella libia del post gheddafi un manipolo di contractors si trova nel mezzo di una guerra civile a difendere un base segreta americana, ultimo avamposto della democrazia a bengasi, dall'attacco dei terroristi dell'isis.- sappiamo tutti che tipo di regista sia michael bay, ma il fatto che il film fosse tratto da una storia vera mi ha dato una certa speranza.- speranza destinata a spegnersi già dopo il primo quarto d'ora, per poi tramutarsi in noia disperata, ed infine in indignazione, nei confronti del film e del regista, che per quasi due ore ha offeso il cinema come arte cinematografica, oltre che la nostra pur minima intelligenza.- le scene dei combattimenti notturni, nelle sue diverse fasi, nonostante le imponenti locations e i mezzi a disposizione, risultano stranamente noiose, invece che drammatiche e realistiche come vorrebbero essere.
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2012, nella libia del post gheddafi un manipolo di contractors si trova nel mezzo di una guerra civile a difendere un base segreta americana, ultimo avamposto della democrazia a bengasi, dall'attacco dei terroristi dell'isis.- sappiamo tutti che tipo di regista sia michael bay, ma il fatto che il film fosse tratto da una storia vera mi ha dato una certa speranza.- speranza destinata a spegnersi già dopo il primo quarto d'ora, per poi tramutarsi in noia disperata, ed infine in indignazione, nei confronti del film e del regista, che per quasi due ore ha offeso il cinema come arte cinematografica, oltre che la nostra pur minima intelligenza.- le scene dei combattimenti notturni, nelle sue diverse fasi, nonostante le imponenti locations e i mezzi a disposizione, risultano stranamente noiose, invece che drammatiche e realistiche come vorrebbero essere.- ma sono proprio i protagonisti, ossia gli eroici contractors, che in mancanza di truppe americane ufficialmente spiegate, decidono di difendere la base ed i suoi impiegati come fecero i coloni americani di fort alamo, che rendono il film oltre che noioso anche insopportabile.- dotati di armi ed equipaggiamenti all'ultima moda stendono orde di terroristi come fossero birilli, alternando, tra una uccisione e l'altra, frasi del tenore - gli abbiamo rotto il culo - oppure - vorrei un f16 che insegnasse loro il timore di dio e degli stati uniti- per non parlare delle inquadrature in soggettiva con il fucile spianato che richiamano ovviamente quei videogames sparatutto.- questo basterebbe a far capire a quale tipo di pubblico è destinato questo film, se si può definire tale.- ma non basta.- al peggio non c'è mai limite.- il film ci vorrebbe far credere che da una parte ci siano i buoni, ossia gli americani, mentre dall'altra non sarebbe facile distinguere gli amici dai nemici, poichè nessuno indossa una uniforme.- questo sarebbe uno spunto interessante da sviluppare, considerando le mutevoli forme che il terrorismo può assumere.- ma in realtà quello che il film fa è quello di descrivere gli americani come i più buoni, i più competenti e i più coraggiosi, i nemici come il male assoluto, e gli amici come codardi, servili o incompetenti.- alla fine del film, quando il povero spettatore è oramai allo stremo, un paio di contractors vengono uccisi dai terroristi dalle bombe lanciate da un mortaio.- onore alle armi, considerato il fatto che il film è ispirato ad una storia vera.- segue poi l'inquadratura dei numerosi terroristi morti intorno al forte in una scena oramai illuminata a giorno, su cui i parenti piangono disperati.- finalmente la guerrà assume la sua tragicità, pensa il povero spettatore.- no, l'incanto è subito rovinato da uno dei contractors - dovete risolvere la situazione del vostro paese- dice ad un ragazzo in strada.- come se fosse colpa loro.- no, questo non è un film, è solo un prodotto destinato ad un certo tipo di pubblico, che invece di andare al luna park a sparare alle bottigliette decide di andare al cinema, e considerati gli incassi americani, non bisogna stupirsi se certi personaggi vengono eletti presidenti.-
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minleo
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sabato 2 aprile 2016
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imbarazzante
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Un film imbarazzante come solo i peggiori film americani sanno essere. I protagonisti sono un manipolo di machi pieni di muscoli che, nella Libia del 2012, sono sul campo a rischiare la vita per fare da guardie del corpo ai soliti burocrati inetti, che, pare, si trovano in Africa quasi per caso. I nostri eroi, invece, uomini veri e veri duri, si sono fatti già le ossa in Iraq e risolvono tutto sparando ai 'cattivi'. Maschilismo, razzismo, muscoli e testosterone offendono la nostra intelligenza per tutta la durata del (lunghissimo) film. Le bombe e le sparatorie (continue) offendono le nostre orecchie non meno che il compione banale, che si snoda tra battutine da maschi alfa e grandi lamentazioni sentimentali per la famiglia lontana.
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Un film imbarazzante come solo i peggiori film americani sanno essere. I protagonisti sono un manipolo di machi pieni di muscoli che, nella Libia del 2012, sono sul campo a rischiare la vita per fare da guardie del corpo ai soliti burocrati inetti, che, pare, si trovano in Africa quasi per caso. I nostri eroi, invece, uomini veri e veri duri, si sono fatti già le ossa in Iraq e risolvono tutto sparando ai 'cattivi'. Maschilismo, razzismo, muscoli e testosterone offendono la nostra intelligenza per tutta la durata del (lunghissimo) film. Le bombe e le sparatorie (continue) offendono le nostre orecchie non meno che il compione banale, che si snoda tra battutine da maschi alfa e grandi lamentazioni sentimentali per la famiglia lontana. Per non parlare della raffigurazione che la pellicola dà dei libici, sempre piccoli, sciancati, bruttissimi, una spanna più bassi degli eroi e anche mezzi scemi. Film indegno anche del peggior Eastwood. Siamo usciti dalla sala prima che finisse.
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