Nel reparto ginecologia di un ospedale, donne dai vissuti più diversi sono in attesa di partorire e si confrontano secondo le loro diverse modalità con la vita che sta per nascere, con la loro stessa vita, con il suo stesso senso, con le miserie, i sogni e le ridicolaggini che sempre ne sono il sottofondo. Dalla donna che ha perso il bambino (una delle bellissime muse di Bergman, Ingrid Thulin) che in bellissimo monologo-delirio si auto-incolpa per l’accaduto e allo stesso tempo lo fa risalire al suo matrimonio fondato sul dis-amore, alla ragazza madre che vuole abortire(Bibi Andersson) e che invece troverà proprio lì in quelle stanze piene di dolore e speranza la forza per affermarla la vita, fino all’altra madre che perderà il bambino e la cui reazione sarà di solo dolore e chiusura al mondo.
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Nel reparto ginecologia di un ospedale, donne dai vissuti più diversi sono in attesa di partorire e si confrontano secondo le loro diverse modalità con la vita che sta per nascere, con la loro stessa vita, con il suo stesso senso, con le miserie, i sogni e le ridicolaggini che sempre ne sono il sottofondo. Dalla donna che ha perso il bambino (una delle bellissime muse di Bergman, Ingrid Thulin) che in bellissimo monologo-delirio si auto-incolpa per l’accaduto e allo stesso tempo lo fa risalire al suo matrimonio fondato sul dis-amore, alla ragazza madre che vuole abortire(Bibi Andersson) e che invece troverà proprio lì in quelle stanze piene di dolore e speranza la forza per affermarla la vita, fino all’altra madre che perderà il bambino e la cui reazione sarà di solo dolore e chiusura al mondo. Il sempre sottile e profondo tratteggio psicologico sui personaggi del maestro Bergman scandisce il tempo di un film che con apparente leggerezza affronta temi universali e fondanti.
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