ryukyu
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mercoledì 7 ottobre 2009
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le imposte come simbolo dell'educazione
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Pellicola fortemente realista ma al tempo stesso capace di un'incredibile ricchezza di metafore e simboli che rendono il film aperto ad innumerevoli interpretazioni, che variano a seconda della sensibilità dello spettatore e dalla disponibilità dello stesso a fermarsi a riflettere sui contenuti, nonostante ciò è stupefacente come la critica abbia una chiave di lettura quasi univoca.
Il film non mi sembra contenga un esplicito riferimento sul bisogno di cambiare un ordine vecchio con un ordine nuovo ma, anzi, mostri come ad una difficoltà di fondo nella comunicazione intergenerazionale tra vecchi, adulti e bambini (nella quale le principali responsabilità sembrano ricadere sugli adulti), possa giocare un ruolo fondamentale la tradizione, racchiusa nelle figure del nonno di Ahmad e del vecchio di Poshteh.
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Pellicola fortemente realista ma al tempo stesso capace di un'incredibile ricchezza di metafore e simboli che rendono il film aperto ad innumerevoli interpretazioni, che variano a seconda della sensibilità dello spettatore e dalla disponibilità dello stesso a fermarsi a riflettere sui contenuti, nonostante ciò è stupefacente come la critica abbia una chiave di lettura quasi univoca.
Il film non mi sembra contenga un esplicito riferimento sul bisogno di cambiare un ordine vecchio con un ordine nuovo ma, anzi, mostri come ad una difficoltà di fondo nella comunicazione intergenerazionale tra vecchi, adulti e bambini (nella quale le principali responsabilità sembrano ricadere sugli adulti), possa giocare un ruolo fondamentale la tradizione, racchiusa nelle figure del nonno di Ahmad e del vecchio di Poshteh. Le vecchie imposte, si ergono a simbolo della tradizionale educazione, non hanno bisogno di essere cambiate ed è doloroso vedere come vengano abbandonate o sostituite dai giovani e come le nuove non vengano bene come le vecchie (v. dialogo del falegname "adulto" di Poshteh) e ripetute sono le metafore riferite alle imposte durante tutto il film, dalla porta della scuola all'inizio, il maestro che serra o apre la finestra, le porte delle case di Poshteh o ancora alla porta di casa di Ahmad che al soffio del vento si spalanca improvvisamente.
Altrettanto significativa è l'immagine dell'anziano del paese di Nemattzadeh che non riesce a stare dietro alla fretta di Ahmad, il quale, tuttavia, non è in grado proseguire lungo la strada di casa da solo, per timore dei cani, senza che l'anziano lo accompagni e lo segua anche solo con lo sguardo. Illuminante è anche la scena in cui il vecchio si ferma a lavarsi il volto alla sorgente, simbolo della conosceza e della saggezza, e presso la quale trova e dona un fiore al bambino.
Un film che ribadisce tutta la profondità di Kiarostami che si presenta in definitiva sostanzialmente semplice e realista ed essenzialmente innafferrabile nella sua complessa profondità simbolica.
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paola di giuseppe
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martedì 26 aprile 2011
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un film ad altezza di bambino
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Il bambino è Ahmad, e vive in uno sperduto paese dell'Iran vicino ad un intrico di altri villaggi dai nomi improponibili, dovei cerca disperatamente la casa del compagno di scuola di cui ha preso per sbaglio il quaderno, il mattino, alla fine delle lezioni.
L’amico non potrà fare i compiti, era già stato rimproverato dal maestro per aver fatto male il suo lavoro, aveva pianto davanti a tutti e poi, fuori, era anche caduto sporcandosi i pantaloni arancione, quelli che tante speranze daranno alla lunga ricerca di Ahmad quando li vedrà pendere, lavati, nel cortiletto di una casa.
Ahimè, non sono quelli dell’amico, però.
Il maestro stavolta lo punirà severamente, ha detto che bisogna imparare la disciplina, essere educati e rispettosi, fare i compiti prima di ogni altra cosa e prima ancora di lavorare col padre a tirar su legna o pesanti bidoni di latte, i doveri sono tanti per questi ragazzetti tutt’altro che obesi come vitelli all’ingrasso, tutt’altro che rumorosi e strafottenti come certa fauna infantile attualmente in circolazione in Occidente.
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Il bambino è Ahmad, e vive in uno sperduto paese dell'Iran vicino ad un intrico di altri villaggi dai nomi improponibili, dovei cerca disperatamente la casa del compagno di scuola di cui ha preso per sbaglio il quaderno, il mattino, alla fine delle lezioni.
L’amico non potrà fare i compiti, era già stato rimproverato dal maestro per aver fatto male il suo lavoro, aveva pianto davanti a tutti e poi, fuori, era anche caduto sporcandosi i pantaloni arancione, quelli che tante speranze daranno alla lunga ricerca di Ahmad quando li vedrà pendere, lavati, nel cortiletto di una casa.
Ahimè, non sono quelli dell’amico, però.
Il maestro stavolta lo punirà severamente, ha detto che bisogna imparare la disciplina, essere educati e rispettosi, fare i compiti prima di ogni altra cosa e prima ancora di lavorare col padre a tirar su legna o pesanti bidoni di latte, i doveri sono tanti per questi ragazzetti tutt’altro che obesi come vitelli all’ingrasso, tutt’altro che rumorosi e strafottenti come certa fauna infantile attualmente in circolazione in Occidente.
Sono piccoli, docili, guardano con occhi sgranati, sembrano incapaci di dire una parola di troppo…eppure quanta umanità, freschezza, serietà, amicizia riescono ad esprimere!
Amehd pensa che deve a tutti i costi trovare la casa dell’amico nel distretto di vattelapesca per riportargli il quaderno.
Corre, corre, corre…doveva comprare il pane, gli aveva detto la mamma alle prese col piccolo da allattare, e allora via fuori col quaderno, magari riesce a far tutto e tornare in tempo…e corre.
“C’è una collina tra i due villaggi – dice Kiarostami – e sulla cima della collina un albero, che nella nostra letteratura è simbolo di amicizia; il continuo correre di Ahmad rappresenta le difficoltà per poterla raggiungere”.
E’ un correre che sa quasi di sovrumano, quello di Ahmed, con le sue gambette veloci e il maglioncino rosso, la calottina nera di capelli serrati e gli occhioni seri, col quaderno sotto il braccio e questa casa che non si trova mai.
E gli adulti, i vecchi, niente da fare, se mai lo ostacolano, i discorsi del nonno sull’educazione quasi ci ricordano gli Adelphoe di Terenzio, il maestro è di una petulanza che non ha confini, e i bambini tacciono.
Ma guardano, pensano, nella loro mitezza, quando s’incontrano e si scambiano poche parole, si respira un’aria diversa.
C’è un ritmo nelle riprese che sbalordisce, è poesia che si trasforma in immagine, è una storia dalle Mille e una notte che rimbalza fino a noi, sceglie Ahmed come piccolo eroe e ci racconta di una cultura diversa, lontana nei modi, rituali, lingua e costumi, eppure così vicina per quella vicinanza tra mondi che ci rende tutti uguali sotto lo stesso cielo.
Un film sull’incomunicabilità? In un certo senso sì, ma anche altro,
Sohrab Sepehri è un poeta iraniano citato nei titoli di testa.
Tu andrai in fondo a questo viale//
che emergerà oltre l'adolescenza, //
poi ti volterai verso il fiore della solitudine.//
A due passi dal fiore, ti fermerai //
ai piedi della fontana da dove sgorgano i miti della terra... //
Tu vedrai un bambino arrampicato in cima a un pino sottile,//
desideroso di rapire la covata del nido della luce//
e gli domanderai: dov'è la dimora dell'Amico?__________
Forse è un film sul mondo salvato dai bambini, da quei bambini.
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stefano capasso
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domenica 1 marzo 2020
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un percorso di crescita
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In un villaggio dell’Iran la condizione scolastica per i bambini è molto difficile a causa della durezza del maestro. Quando Ahmad si accorge di aver preso con se il quaderno del suo compagno di banco, che non potrà dunque fare i compiti, per evitargli la cacciata dalla scuola pensa di andare nel vicino villaggio dove vive e restituirglielo. Nonostante il divieto della madre, scappa di casa e comincia un lungo pellegrinaggio alla ricerca del compagno.
Uno dei primi film di narrazione di Abbas Kiarostami, quello che gli ha dato anche notorietà internazionale, Dov’è la casa del mio amico è una storia centrata sul percorso di crescita del bambino, con una esile narrazione e alternando momenti di realismo ad altri in cui sembra emergere l’aspetto fiabesco.
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In un villaggio dell’Iran la condizione scolastica per i bambini è molto difficile a causa della durezza del maestro. Quando Ahmad si accorge di aver preso con se il quaderno del suo compagno di banco, che non potrà dunque fare i compiti, per evitargli la cacciata dalla scuola pensa di andare nel vicino villaggio dove vive e restituirglielo. Nonostante il divieto della madre, scappa di casa e comincia un lungo pellegrinaggio alla ricerca del compagno.
Uno dei primi film di narrazione di Abbas Kiarostami, quello che gli ha dato anche notorietà internazionale, Dov’è la casa del mio amico è una storia centrata sul percorso di crescita del bambino, con una esile narrazione e alternando momenti di realismo ad altri in cui sembra emergere l’aspetto fiabesco. La traiettoria del piccolo protagonista è quella che indica una ribellione, verso lo status quo familiare e verso le istituzioni. Un mondo che pur “occupandosi” di lui non è capace di ascoltarne i bisogni costringendolo a schierarsi. E Ahmad si schiera dalla parte di chi non accetta questo mondo in cui non sembra esserci posto per i sentimenti. Un film decisamente politico che mimetizza bene, salvandosi dalla censura, il suo intento mettendo in primo piano una storia che è solo in apparenza quella di un’amicizia tra bambini.
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carloalberto
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sabato 6 novembre 2021
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la bellezza in un fiore appassito
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Una serie di quadretti bucolici compongono una storia minimalista, simile per l’estremo verismo ad un episodio del L’albero degli zoccoli di Olmi, che sfocia in un finale che sembra ispirato al neorealismo lirico zavattiniano. Cinema verità, al contempo racconto moraleggiante, in cui si avverte forse anche, suggestivamente, un’eco lontana della fiaba rimaneggiata di Collodi. Il protagonista è un pinocchio alla rovescia, che incontra alla fine il suo Geppetto. Film denuncia del lavoro minorile nelle campagne. Colpa dei padri, che sottraggono i figli allo studio per farsi aiutare nelle loro faccende. Kiarostami sovrappone ed intreccia temi diversi, rende con la narrazione lineare di una piccola storia la complessità della vita.
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Una serie di quadretti bucolici compongono una storia minimalista, simile per l’estremo verismo ad un episodio del L’albero degli zoccoli di Olmi, che sfocia in un finale che sembra ispirato al neorealismo lirico zavattiniano. Cinema verità, al contempo racconto moraleggiante, in cui si avverte forse anche, suggestivamente, un’eco lontana della fiaba rimaneggiata di Collodi. Il protagonista è un pinocchio alla rovescia, che incontra alla fine il suo Geppetto. Film denuncia del lavoro minorile nelle campagne. Colpa dei padri, che sottraggono i figli allo studio per farsi aiutare nelle loro faccende. Kiarostami sovrappone ed intreccia temi diversi, rende con la narrazione lineare di una piccola storia la complessità della vita.
Nel piccolo borgo, quei pochi rimasti, dopo l’esodo nella città, sostituiscono le porte di legno con quelle di ferro, che durano una vita. Metaforicamente, la chiusura totale e perenne agli altri.
Primo quadretto. Una classe in subbuglio, probabile sia la quinta elementare, entra un maestro, in ritardo, pedante e burbero, ma in fondo è un buono. Secondo quadretto. Il cortile di una casa di paese. Una donna che lava i panni alla fontana mentre un neonato piange nella culla ed una vecchia annaffia i fiori nei vasi. Terzo quadretto. Discorsi di due vecchi all’angolo di una strada, sulla educazione da dare ai ragazzi per formarli alla vita sociale, con punizioni immotivate e cadenzate nel tempo per incutere il timore dell’autorità, il senso della disciplina prima di tutto. E così via.
La trama si riassume in una frase. Un quaderno da restituire all’amico che vive in un altro paese, che altrimenti il giorno dopo verrà espulso. Il periodo racchiude il gesto spontaneo di quella solidarietà primordiale che rende l’uomo diverso dalle bestie, dimenticato, invece, dagli adulti, persi nei loro affari, nelle occupazioni domestiche, nella quotidiana insoddisfazione di vivere per lavorare, di esserci per sopravvivere.
Nel finale, il piccolo protagonista trova la casa dell’amico, tanto vanamente cercata durante tutto il film, non lontano da sé, nel sacrificio di una notte insonne in cui ha fatto i compiti per l’altro.
Resta il fiore, donatogli dal falegname, che si scopre improvviso allo sguardo nell’ultima immagine, conservato tra le pagine del quaderno consunto dell’amico, a testimoniare il miracolo della bellezza, che si tramanda di generazione in generazione grazie alla sensibilità di pochi individui, forse i poeti, simbolicamente rappresentati dal vecchio artigiano, in un mondo altrimenti condannato all’abbrutimento e alla desertificazione morale.
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