Appare,ripresa dall’alto,la prora di una “carretta del mare” piena di emigranti.
Vengono dalla Corea del Sud e lo sky line di ciminiere di Osaka è il loro orizzonte,la terra promessa,mentre gli archi della partitura di Taroh Iwashiro aprono un tema sonoro di forte presa,amaro negli assolo di violino, leggero e triste nel pieno orchestrale,una musica che dà spessore allo spazio angusto delle scene del film,ambienti logori negli interni e negli esterni,inquadrati da riprese ampie che comunicano distacco,senso di impotenza,irreparabilità.
La "camera" mantiene sempre la distanza dal suo oggetto,si muove orizzontalmente con millimetrica lentezza o resta fissa, in un susseguirsi di scene piatte, dalla prospettiva dichiaratamente illusoria.
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Appare,ripresa dall’alto,la prora di una “carretta del mare” piena di emigranti.
Vengono dalla Corea del Sud e lo sky line di ciminiere di Osaka è il loro orizzonte,la terra promessa,mentre gli archi della partitura di Taroh Iwashiro aprono un tema sonoro di forte presa,amaro negli assolo di violino, leggero e triste nel pieno orchestrale,una musica che dà spessore allo spazio angusto delle scene del film,ambienti logori negli interni e negli esterni,inquadrati da riprese ampie che comunicano distacco,senso di impotenza,irreparabilità.
La "camera" mantiene sempre la distanza dal suo oggetto,si muove orizzontalmente con millimetrica lentezza o resta fissa, in un susseguirsi di scene piatte, dalla prospettiva dichiaratamente illusoria.
Kim Shunpei (Kitano) arriva ad Osaka nel 1920.
E’ su quella barca e lo racconta la voce di Masao,uno dei numerosi figli disseminati in giro nei sessant’anni successivi all’arrivo in Giappone dalla sua incontenibile forza procreatrice.
Yoichi Sai gira il film sul romanzo autobiografico di Sugiro Yan,scorrono sessantanni di storia a partire dagli anni venti,e leggiamo in filigrana, dietro la performance dominante del protagonista,la storia della colonia coreana nel Giappone imperiale,del caos seguito alla sconfitta nella seconda guerra mondiale,della miseria e delle frustrazioni di immigrati che vedranno nel comunismo cinese una possibilità di riscatto da cui saranno ben presto delusi.
Dopo la guerra e un lungo periodo di latitanza Shunpei torna dalla moglie e riesce,con caparbia determinazione, violenza e ferocia,a diventare imprenditore di successo e aprire una fabbrica di kamaboko (involtini di pesce).
Si dedicherà col cinismo necessario anche all’usura e il successo economico ne farà un leader nella comunità coreana.Ma Shunpei non è il povero immigrato che è riuscito dove altri falliscono,è molto di più,è l’incarnazione della volontà di potenza che si esercita sui deboli,che schiaccia i sentimenti umani,è il padre-padrone,l’uomo che violenta e umilia mogli e amanti,il boss avido che guarda solo al guadagno.
Il suo cinismo è talmente sterminato, la sua mancanza di pietà così totale, che definirlo mostro sembra inevitabile,perfino gli yakuza lo guardano perplessi chiamandolo “demonio”.
Ma Shun-pei è un demonio assolutamente umano, in questo consiste il suo status di eccezione, è puro istinto animale, mosso solo dalla ricerca del proprio piacere, il suo è un inferno solitario nell’orbita del quale chiunque sia attratto è distrutto.
La sua è una vita da bassifondi,non c’è riscatto sociale neppure nella crescita economica,l’abiezione morale dell’uomo che regola ogni suo gesto con la violenza non prevede prospettive,si alimenta di sé stessa e delle sue vittime e lo lascia sul fondo della scala sociale a vivere una vita miserabile.
Kitano dà alla figura di Shunpei una carica espressiva potente,è l’energia pura dell’uomo delle caverne proiettato nel futuro senza tappe intermedie,vive allo stato brado una vita di infamie che si manifesta nell’esercizio della forza fisica.
Un limite del film è la sua staticità,manca una dimensione psicologica,quasi annichilita dalla predominanza di una brutalità primaria che nega i rapporti umani,mai esplorati veramente in profondità.
Resta però un film su cui è difficile dare un giudizio di qualità.
C’è una forza anche in questo limite, quasi che il ritrarre un panorama così desolante dell'egoismo e dell’abiezione umana avesse volutamente annichilito tutto il resto.
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