paola di giuseppe
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venerdì 15 ottobre 2010
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cine-occhio per un cine-poema
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Frammenti di luce nell’acqua, case dai tetti aguzzi, una nave scivola nel canale, strade di Amsterdam, un carretto della frutta, gioco di luci, ombre sul selciato, c’è il sole, una finestra si chiude per un colpo di vento, facciate ridenti di finestre ordinate si allineano.
Cielo, nuvole sempre più nere stringono un aereo in volo, il vento si alza, la biancheria stesa svolazza, c’è battaglia tra nuvole nere e spazi di luce, uno stormo di uccelli in fuga, le prime gocce nel canale, piccoli cerchi concentrici, si allargano, più veloci.
Le case si specchiano nel selciato lucido, gli alberi nel canale, il cielo è di un grigio uniforme
Un passante apre la mano, la tende, sente le prime gocce, guarda il cielo con gesto consueto, tira su il bavero, prevede e si affretta, un ombrello si apre e una finestra di mansarda si chiude, un uccello bianco svolazza sull’acqua, ha le ali arruffate, non sa decidersi.
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Frammenti di luce nell’acqua, case dai tetti aguzzi, una nave scivola nel canale, strade di Amsterdam, un carretto della frutta, gioco di luci, ombre sul selciato, c’è il sole, una finestra si chiude per un colpo di vento, facciate ridenti di finestre ordinate si allineano.
Cielo, nuvole sempre più nere stringono un aereo in volo, il vento si alza, la biancheria stesa svolazza, c’è battaglia tra nuvole nere e spazi di luce, uno stormo di uccelli in fuga, le prime gocce nel canale, piccoli cerchi concentrici, si allargano, più veloci.
Le case si specchiano nel selciato lucido, gli alberi nel canale, il cielo è di un grigio uniforme
Un passante apre la mano, la tende, sente le prime gocce, guarda il cielo con gesto consueto, tira su il bavero, prevede e si affretta, un ombrello si apre e una finestra di mansarda si chiude, un uccello bianco svolazza sull’acqua, ha le ali arruffate, non sa decidersi.
Pozzanghere sui bordi della strada, la vita si riflette a rovescio, le ruote lasciano lunghe strisce sull’asfalto, ombrelli neri, uno, due, una fila, la piazza gremita di ombrelli neri, uguali, lucidi, una bicicletta corre capovolta in una pozza d’acqua.
Qualche ombrello si chiude, passeggeri salgono sul tram, le gocce scorrono a righe sui finestrini, getti d’acqua schiumosa dai canali di scolo, grondaie sgocciolano allineando gocce ben separate fra loro, le strade si svuotano.
Lame di luce nel cielo, la pioggia rallenta, smette, l’acqua nelle pozzanghere ora è ferma.
Quindici minuti per un racconto visivo, dal sole alla pioggia e poi di nuovo al sole, un’avventura dello sguardo che trasmette al pensiero il suo ritmo e il suo umore, ne segna la gradazione e il tempo, un cine-poema di percezioni tattili, eppure solo apparentemente naturalistiche.
Joris Ivens e Mannus Franken girarono riprese per due anni, la pioggia di quindici minuti è la sintesi di tanti rovesci in tutti i punti della città, una costruzione dell’occhio che crea una realtà nuova, altra, non distinguibile da quella naturale.
Joris Ivens strizza da lontano il suo cine-occhio al compagno sovietico Dziga Vertov (“Io sono un occhio. Un occhio meccanico e sono in costante movimento!” ) che gira nello stesso anno, siamo nel ’29, L'uomo con la macchina da presa, la giornata di un cineoperatore per le strade di Mosca.
L’occhio che guarda attraverso l’obiettivo inventa la realtà da osservare, lo spettatore la percepisce come vera e l’accetta, anche se ne conosce l’artificio.
Il commento sonoro di Lou Lichtveld, aggiunto tre anni più tardi, si affianca all’immagine, il suono e la forma dell’acqua in uno spazio urbano diventano occasione per la creazione di uno spazio acustico e visivo globale, l’occhio vi si immerge, fa la sua esperienza percettiva, ne esce col suo ricordo prevalente, nel gioco della visione sempre mutevole.
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davide chiappetta
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domenica 4 agosto 2013
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quando le cose svaniscono
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Come un archeologo che ricostruisca un'ipotesi di vita organica a partire dalle tracce fossili, il regista indaga la pioggia seguendone le impronte evanescenti, la evoca nel frullare del fogliame, nel movimento di una finestra che sbatte, nell'ingrossarsi dei tendaggi, la intuisce nelle onde circolari che si allargano sui canali, nel gesto di un passante sorpreso dalle prime gocce, nella rapida schiusa degli ombrelli, nell'affrettarsi dei carrettieri, nelle tracce fangose degli pneumatici. Non è l'evento in sé a suscitare interesse, piuttosto il tessuto di relazioni in cui è implicato; non è sulla pioggia che si concentra la partecipazione dello sguardo cinematografico, ma sulla sua espressione figurativa, che è, per natura, variegata, mutevole.
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Come un archeologo che ricostruisca un'ipotesi di vita organica a partire dalle tracce fossili, il regista indaga la pioggia seguendone le impronte evanescenti, la evoca nel frullare del fogliame, nel movimento di una finestra che sbatte, nell'ingrossarsi dei tendaggi, la intuisce nelle onde circolari che si allargano sui canali, nel gesto di un passante sorpreso dalle prime gocce, nella rapida schiusa degli ombrelli, nell'affrettarsi dei carrettieri, nelle tracce fangose degli pneumatici. Non è l'evento in sé a suscitare interesse, piuttosto il tessuto di relazioni in cui è implicato; non è sulla pioggia che si concentra la partecipazione dello sguardo cinematografico, ma sulla sua espressione figurativa, che è, per natura, variegata, mutevole.
Come dice Bela Balasz (Estetica del film, 1931) le cose non si vedono più, svaniscono. La pioggia di Ivens non è la pioggia che racconta lo spazio e che lo riempe. Non comunicano una realtà ma sono espressioni figurative. E’ l’inizio del cinema documentario ma anche un cinema sperimentale. La vista in questo caso non serve per avvicinarsi alla realtà ma per costruirne un’altra.
Nel corso degli anni "Pioggia" ha condiviso il destino delle grandi opere d'arte, mantenendo intatto il proprio valore comunicativo, malgrado le sbarre oltre cui certa critica, mossa dal tentativo malcelato di individuare un movente politico come filo conduttore dell'intera opera di Ivens, ha tentato invano di forzarlo.
Per nostro conto preferiamo l'impeto filologico alle parole in libertà e ci limitiamo a ricordare le parole rivolte nel 1974 dallo stesso Ivens agli studenti dell'Accademia tedesca del cinema e della televisione di Berlino Ovest: "Regen era veramente il film di un formalista convinto. Si trattava semplicemente di prendere un oggetto ed imparare a filmare, senza considerarlo assolutamente da un punto di vista sociale".
Nato come uno scherzo o una scommessa con l'amico scrittore Mannus Franken durante le riprese di "Branding" (precedente film a soggetto sull'amore tragico di due giovani indigenti), "Pioggia" seppe farsi strada nel mare delle pellicole d'avanguardia sino ad affermarsi come fulgido esempio di un cinema documentario capace di relazionarsi in modo inedito con i fatti e gli oggetti del mondo, di cogliere il dettaglio, il riflesso, l'attimo in cui il quotidiano svela la propria bellezza; un cinema teorico nei presupposti, ma saldamente calato nella prassi della rappresentazione, capace di intercettare il bisogno di meraviglia del pubblico e scoprendolo nelle piccole cose della vita di tutti i giorni.
Una nota a margine: del film esiste anche una versione musicata da Lou Lichtveld e risalente al 1932. Ciò nonostante continuiamo a preferire la versione originale muta, in cui la forma sonora scaturisce direttamente dalla successione dei quadri e lo spettatore attento, pervaso dal ritmo delle immagini, può persino riuscire a sentire i refoli di vento o i rintocchi delle gocce sulle cupole degli ombrelli.
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