L'anatra all'arancia

L'ANATRA ALL'ARANCIA (IT, 1975) diretto da LUCIANO SALCE. Interpretato da UGO TOGNAZZI, MONICA VITTI, JOHN RICHARDSON, BARBARA BOUCHET, SABINA DE GUIDA, ANTONIO ALLOCCA

Livio e Lisa sono due coniugi, facenti parte di una ricca e benestante coppia borghese, e il loro matrimonio prosegue sereno e felice da un decennio. Ma quando lei gli rivela di aver avuto un flirt con Jean-Paul, attore-ballerino francese, la crisi si profila minacciosa all’orizzonte. Ma Livio non è uomo da farsi prendere gioco di sé con troppa facilità, quindi prende subito la situazione in mano e decide di rendere pan per focaccia alla moglie imbastendo un gioco erotico-sentimentale estremamente furbo e malizioso, invitando lo stesso Jean-Paul e la sua avvenente segretaria inglese (lui lavora come pubblicitario) Patty nella loro residenza estiva sul lago, in modo da mettere in atto uno scambio di coppie il cui obiettivo è quello di far ricredere Lisa sulle sue decisioni amorose e al contempo di gettare nel ridicolo Jean-Paul. Il week-end trascorso assieme dai quattro si trasforma in un simpatico e imprevedibile carosello di equivoci, condito da amplessi mimati nelle camere da letto, pranzi consumati allo stesso tavolo (con tanto di consumo di una deliziosa anatra all’arancia, preparata da Livio con le sue mani), bagni nell’acqua fresca del lago, partite a tennis e a biliardo e passeggiate nel piccolo boschetto, dove Livio ha installato una registrazione di rumori che riproducono i versi di alcuni animali. Alla fine Jean-Paul, avendo compreso l’intento di Livio di ridicolizzarlo e metterlo fuori gioco, convince Lisa a lasciarlo per venire con lui in Spagna; dopo qualche tira e molla, la donna accetta, ma dopo un po’ che è salita sul barcone diretto all’aeroporto, vede Livio che la sta inseguendo col motoscafo, si getta in acqua e raggiunge il marito a nuoto. La loro storia si conclude felicemente, dal momento che il loro matrimonio è salvo ed entrambi hanno deciso di accantonare i vecchi rancori per tornare assieme con la consueta tranquillità e affettuosità. Ispirato ad una commedia di William Douglas Home e Marc-Gilbert Sauvajon, tipico esempio di teatro di consumo. Pur essendo nel complesso un filmetto recitato sotto le righe, si distingue per costituire, a proprio modo, un panegirico della famiglia e del matrimonio sacro e indissolubile. Gli attori, e in particolar modo i due fedifraghi protagonisti, non vengono pienamente valorizzati, e le loro doti innate e stupefacenti non ricevono la giusta valorizzazione, necessaria per alzare la media del film e renderlo magari una gustosa commedia degli equivoci con una struttura accurata, una sceneggiatura ricca di battute che avrebbero meritato un’attenzione più precisa e un’ambientazione che pecca anch’essa di distrazioni scenografiche. Ciononostante, una qualche lode non si può negare a Tognazzi e alla Vitti, il cui gioco comico, incentrato su un botta-e-risposta e su una recitazione di coppia abbastanza efficiente, regala risate che per fortuna non vengono strappate a viva forza e convince per come i due interpreti, capaci anche di inclinazioni drammatiche, scadono raramente nella volgarità ed evitino di autocompiacersi d’un contesto sarcastico che poteva dar luogo a rivendicazioni di dubbia qualità. Non altrettanto validi e bravi Richardson e la Bouchet, ma mostrano di sicuro un’ottima capacità di adattamento e un minimo di vena comica che riesce a divertire e ad imbastire qualche sketch spassoso che non deborda completamente nel fallimento. Peccato che la sceneggiatura infiocchetti troppo la trama di insite e sottili volgarità e che perda di vista la storia, puntando maggiormente sull’effetto estemporaneo delle gag e sulla prevalenza, che dopo la prima mezz’ora di proiezione prende con decisione il sopravvento, dell’ambiente circostante sui personaggi, il che rovina il contesto complessivo e fa perdere credibilità alla costruzione, almeno per quanto riguarda gli obiettivi che ogni commedia dovrebbe porsi. Ovvero: raccontare una storia d’amore non troppo languida o smancerosa, e far ridere sfruttandone appieno, ma senza retorica, gli aspetti divertenti e innestando alcune sane e sagge riflessioni nei confronti dello spettatore. L. Salce, con questa sua opera secondaria e piuttosto malfatta, non centra il bersaglio, dimenticandosi di prestare la debita attenzione ad uno spessore narrativo che andava esaltato, invece che represso tramite un accumulo di battute comunque efficaci e una ricerca ossessiva del finale che poi, come abbiamo visto, si risolve bene, ma appare alquanto forzato e compromesso. Un fallimento che poteva senz’altro brillare e trasformarsi in un prodotto assai appetibile e delizioso, come l’anatra all’arancia che i quattro mattacchioni degustano, uniti intorno allo stesso tavolo durante una cena al lume di candela.