Pochi dubbi sul fatto che il compito del giornalista sia quello di ricercare la verità attraverso un'esposizione dei fatti obiettiva, imparziale e completa. Ma prendiamo Frank Bonneville, cronista radiofonico della newyorkese Q365, il classico tipo che non segue in maniera pedissequa il codice deontologico eppure ha sempre una storia da raccontare. È proprio questo a farne una piccola celebrità, dentro e fuori la redazione, lo charme, il decisionismo e la strafottenza, poi, aggiungono il resto. Come tecnico, non di rado, si trova a lavorare con Ian Finch, poco più grande di lui, con una passione per i fumetti e le action figures, un'incapacità cronica a farsi rispettare e una moglie che non lo calcola nemmeno.

Special Correspondents, lungometraggio originale prodotto da Netflix, è innegabilmente un film sul giornalismo, ma non rientra nella categoria di quei titoli che fanno nomi e cognomi, restituiscono il clima della redazione e mostrano i tempi e i modi dell'inchiesta rischiosa.

Questo remake del francese Envoyés trés spèciaux (2009), a ben vedere, ragiona su qualcosa di diverso, forse anche di più importante perché alla base del mestiere stesso: l'inattendibilità della notizia e il suo propagarsi a dismisura.

Con i toni brillanti propri di una star come Ricky Gervais, regista, sceneggiatore e attore nei panni del goffo Ian, Special Correspondents propone una situazione comicissima e, c'è poco da girarci intorno, socialmente tragica, specialmente adesso che bastano i 140 caratteri di un Tweet per far fare il giro del mondo a una bufala qualsiasi.

In breve, i due protagonisti, appunto un cronista e un tecnico del suono, sono in partenza per l'Ecuador dove dovrebbero realizzare dei reportage dal fronte di una sanguinosa rivolta, ma perdono visti e biglietti per una sbadataggine. Più che seguire la strada della verità, tuttavia, preferiscono darsi alla macchia, mentire, rimanendo a New York. Si chiudono allora nella soffitta di un locale proprio davanti alla redazione della radio e comunicano telefonicamente notizie totalmente inventate; Frank arriva a "vedere" la sabbia alzarsi in aria in uno scenario guerresco quando a Quito e dintorni di deserti non ce n'è nemmeno l'ombra.

Altro obbligo del giornalista, poi, sarebbe il controllo della notizia, anche provenisse da una fonte autorevole: qui, e non solo qui, non lo rispetta nessuno, così, il nome, inventato di sana pianta, del presunto capo del fronte di rivolta ecuadoriano fa il giro dei network, creando un caso di stato dal nulla.

Che Frank Bonneville e Ian Finch non siano proprio Hoffman e Redford alle prese col Watergate in Tutti gli uomini del Presidente è già abbastanza chiaro, ma l'alchimia tra alti, bassi, insulti e situazioni al limite è assicurata, anche nelle strettoie di una coppia per niente strana, composta dallo strafottente e bello e dal remissivo e bruttino.

L'australiano Eric Bana, Hulk e Ettore in passato, rispolvera i toni comici d'inizio carriera e non sfigura accanto all'inglese Ricky Gervais, il vero fulcro dell'operazione, al vaglio della consacrazione globale proprio con un titolo come questo.

Padre della serie di culto The Office, due folgoranti stagioni in patria tra il 2001 e il 2002, anche oggetto di un remake americano (con Steve Carell), Gervais ha praticamente riscritto la sceneggiatura dell'originale francese Envoyés trés spèciaux, spingendo più sul versante della brillantezza satirica. Scegliendo come diretto oggetto d'indagine l'inattendibilità dei media come delle politiche americane. Tono disimpegnato a parte, Special Correspondents mette in scena due operatori del settore che poco hanno a che fare con la correttezza professionale, ma i veri sciacalli hanno abiti ben diversi dai loro.