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Midnight Diner: Tokyo Stories

I clienti di un ristorante apparentemente ordinario creano rapporti semplici ma profondi condividendo la passione per piatti particolari.
di Emanuele Sacchi

lunedì 21 novembre 2016 - Netflix

È il plurale nel titolo, stories anziché story, a sottolineare con pudore la vicinanza e insieme la lontananza dal "racconto di Tokyo" per eccellenza, il capolavoro di Yasujiro Ozu (Viaggio a Tokyo il titolo italiano del film). Ma la filosofia di fondo, lo sguardo amorevole e comprensivo verso le debolezze umane, resta il medesimo del grande regista.

Quelli della serie giapponese prodotta da Netlix, più umilmente, sono "dei racconti di Tokyo", tante piccole storie di vita, semplici e comuni come i piatti preparati dal "maestro", l'oste senza nome che gestisce il ristorante.
Emanuele Sacchi

Midnight Diner: Tokyo Stories è una serie di dieci episodi autoconclusivi, tratta da un manga di Yaro Abe che ha venduto più di 5 milioni di copie nel mondo e che approda ora su Netflix, dopo essere stata trasmessa dalla tv giapponese dal 2009 a oggi. In patria il successo ha condotto anche a una filiazione cinematografica, dal titolo sempre di Midnight Diner: Tokyo Stories, uscita in patria nel 2015 (e qui da noi transitata al Far East Film Festival). In un certo senso quella del canale in streaming - seconda produzione giapponese per Netflix dopo Hibana, incentrata sulle vite di due comici - è la quarta stagione della serie, benché il conto riparta da 1 e non ci siano richiami di sorta a personaggi delle puntate precedenti.


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Midnight Diner: Tokyo Stories si fa forte di quella semplicità che in Occidente abbiamo conosciuto con serie come Cin Cin o Innamorati pazzi: la rassicurante reiterazione del quotidiano, il balsamo ineguagliabile del telespettatore mentre combatte contro il "logorio della vita moderna".

I piatti caldi, i sorrisi e i luoghi comuni smerciati come saggezza sono tutti ingredienti che contribuiscono a questo elogio della medietas sotto forma di episodi da 20 minuti.
Emanuele Sacchi

Lo schema è sempre il medesimo e suddiviso in tre atti: dapprima l'oste scopre cosa divide o perturba dei clienti; senza quasi proferire parola, li aiuta a relazionarsi con essi; infine si ha la ricomposizione, quasi sempre a lieto fine. Una struttura rigida, che però lascia spazio al colore di dettagli minuscoli, ma essenziali.
Nonostante la "food stylist" Iijima Nami, novità introdotta da Netflix, aggiunga un indubbio appeal ai piatti serviti (e mangiati) nella serie, la sensazione di rustico rimane intatta. I titoli degli episodi corrispondono ad altrettanti piatti differenti: perché nel ristorante di Midnight Diner tutto si può cucinare, a patto di portare gli ingredienti con sé. E se la zuppa di miso - unico piatto fisso nel menu dell'oste - rappresenta il minimalismo di una serie che rinuncia o ogni tipo di choc artificioso, gli ingredienti "personalizzati" rappresentano la libertà di cui gode un simile contenitore di storie. La locanda ricorre infatti nella letteratura e al cinema come crocevia di ospiti e di narrazioni. Da "I racconti di Canterbury" di Chaucer fino a Ashes of Time di Wong Kar-wai la locanda rappresenta una via di fuga dalla realtà, il punto di incontro, anche fugace, di sconosciuti accomunati dal destino. Non fa eccezione il ristorante notturno di Midnight Diner, aperto da mezzanotte alle sette del mattino, da cui transitano fisici, prostitute, attori, scommettitori e persino fantasmi.


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In genere quasi claustrofobica e girata esclusivamente in studio, nella stagione di Netflix Midnight Diner si affaccia in più occasioni al mondo esterno. Specie in uno degli episodi migliori, Frittata di riso, in cui un timido scienziato giapponese si innamora della coreana Yoo-na, finendo per seguirla fino a Seoul. A dare vita alla ragazza è Go Ah-sung, attrice emergente in Corea grazie a Bong Joon-ho, che l'ha voluta con sé sia in The Host che in Snowpiercer. Nello stesso episodio c'è anche il ritorno di un personaggio del film tratto dalla serie, interpretato dalla star del cinema nipponico come Odagiri Joe: un eccentrico avventore, a metà tra il vagabondo e il guru profetico.

Tante le citazioni dalla poliedrica cultura nipponica, ma sempre gestite con la discrezione e il tatto che contraddistinguono la serie.
Emanuele Sacchi

Come i super sentai - eroi di serie per ragazzi, di cui i Power Rangers costituiscono la compagine più famosa - del primo episodio. O il genere yakuza eiga, gangster movie spesso ambientati in sale dove si pratica il gioco d'azzardo, che viene tangenzialmente sfiorato dall'episodio Tofu all'uovo. E ancora la figura di martire amorosa senza speranza, che fabbrica maglioni per destinatari disinteressati, o la tragedia di un comico che non ha più un pubblico, clown triste in lotta con un mondo che non capisce. Topoi del cinema nipponico già visitati, da Ozu a Kurosawa, fino ai Koreeda Hirokazu e Takita Yojiro di Father and Son o Departures, trattati alla stregua di ottimi ingredienti da riutilizzare. E dosati con il medesimo, giapponesissimo, rispetto.


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