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Marco Polo, la seconda stagione è ora su Netflix


di Gabriele Niola

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venerdì 1 luglio 2016 - Netflix

Quello di Marco Polo era un racconto troppo cinematografico per non diventare una serie tv. Il viaggio, l'esotismo, terre sconosciute, i regni, gli intrighi e via dicendo. Questa serie che arriva adesso con la sua seconda stagione su Netflix, è il gioiello per il piccolo schermo di casa Weinstein, i due fratelli terribili del mondo di Hollywood cne ne hanno fatto un prodotto perfettamente in linea con il catalogo Netflix: dura, estrema, appassionante e contemporanea. Marco Polo, ovvero Lorenzo Richelmy, più che uno studioso è un avventuriero nel mondo del kung fu, un protagonista più da Salgari che da Il Milione.

È così che si entra nel salotto buono della tv passando per la porta principale: senza proibirsi nulla. Abbiamo da tempo imparato che il passato per la televisione è un coacervo di sesso spregiudicato, corruzione e violenza. Mentre il cinema ha diversi modi di declinare il film in costume, la serialità d'ambito storico è indirizzata in un canale chiarissimo.
Gabriele Niola

Da I Borgia fino a Il trono di spade (con tutte le concessioni di fantasia del caso), passando per Da Vinci's Demons, Spartacus e I Tudors, i secoli che ci precedono somigliano ad una versione spregiudicata del nostro presente, una in cui tutto ciò che noi nascondiamo è invece esposto. Pedofilia, incesto, tradimento e intrigo, siamo disposti ad accettare i personaggi peggiori e le violazioni più ingiuste se queste esistono in un luogo e un tempo che riteniamo più selvaggi dei nostri.


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La materia prima di un racconto appassionante

È molto facile in tutto questo farsi delle domande sul realismo storico, sulla plausibilità o ancora sull'aderenza del Marco Polo di Lorenzo Richelmy a quello che abbiamo conosciuto dagli studi scolastici. Forse però è la maniera peggiore di approcciare la serie.

Se un film romanza, una serie tv stravolge. Il realismo storico mal si adatta ad un racconto di finzione così lungo. Se si eccettuano la ricostruzione, i costumi e le scenografie, Marco Polo utilizza le cronache storiche come canovaccio, enfatizzandone veri elementi fino a renderli irriconoscibili, materia per un racconto appassionante.
Gabriele Niola

La sola scelta di avere un protagonista molto giovane e non molto maturo è significativa in questo senso (anche Da Vinci's Demons faceva lo stesso), porta tutto il racconto su un terreno istintivo e d'azione maggiore, porta tutti gli eventi a risoluzioni più sbrigative lasciando un tempo diverso e separato all'intrigo. Tanto quanto il protagonista che dà il titolo alla serie conta infatti il Kublai Khan di Benedict Wong, vera guida del tono della serie, un regnante spietato ma dotato di una profondità ideologica.


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L'arma in più: il rapporto con la Cina

Non a caso l'arma in più della serie, rispetto alle sue concorrenti, è un rapporto con l'altro, cioè con la Cina. Il che significa sia una concreta interazione tra razze e mondi diversi nella trama, che un rapporto particolare tra generi.

La serialità d'epoca appartiene quasi sempre al genere d'azione, ma in questo caso si va un passo più avanti, la scrittura di John Fusco cerca di contaminare lo svolgimento occidentale con il cinema di kung fu orientale.
Gabriele Niola

Questo passa soprattutto per il recupero di figure tipiche di quel mondo, come il maestro d'arti marziali cieco, l'equivalente asiatico del pistolero solitario. Nell'andare a prendere l'universo narrativo che fiorisce a margine della via della seta, come del resto ora al cinema vogliono fare anche Jackie Chan e John Cusack in Dragon Blade, Marco Polo dunque sposa anche il cinema cinese, le sue esagerazioni, la sua filosofia delle arti marziali e la sua maniera di proiettare valori molto semplici su uno scenario grandioso, affinchè la loro ombra sia la più grande possibile.


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