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La Festa del cinema "Into the Inferno"

Werner Herzog ha presentato ieri alla Festa del cinema di Roma un documentario magmatico che ci invita ad emozionarci come bambini davanti al fuoco. Dal 28 ottobre su Netflix.
di Paola Casella

lunedì 17 ottobre 2016 - Netflix

La fascinazione di Werner Herzog per i vulcani, cinematograficamente parlando, risale al documentario La Soufriére del lontano 1977, e non è mai diminuita. Into the inferno è una summa delle sue varie riprese attraverso il mondo - dall'Australia all'Indonesia, dalla Corea del Nord all'Islanda - alla ricerca dei vulcani più impressionanti del mondo, raccontati non solo nella loro valenza scientifica, ma soprattutto nella loro dimensione magica, e nella loro straordinaria capacità di informare la visione del mondo delle comunità circostanti.
Il narratore, oltre alla consueta voce fuori campo di Herzog, è Clive Oppenheimer, un vulcanologo inglese autore del saggio cui è ispirato Into the inferno. E davvero il regista tedesco non avrebbe potuto scegliere un Virgilio migliore, dal punto di vista dell'accessibilità del racconto: Oppenheimer è una sorta di Danny Kaye di grande calore umano e ancor più grande capacità divulgativa nel veicolare la sua immensa conoscenza scientifica.

Fin dalla prima scena, che ci fa precipitare dall'alto di una montagna dentro l'inferno di uno dei pochi vulcani in cui il magma terrestre è direttamente esposto (senza l'"aiutino" del 3D), si capisce che questo è Werner Herzog al suo meglio.
Paola Casella

Del regista viene a galla la curiosità caleidoscopica, la sua capacità di individuare (e raccontare) personaggi fuori dagli schemi più interessanti di tanti eroi partoriti dalla fiction, l'empatia con cui si accosta ai suoi soggetti (mai oggetti) creando quell'intimità che apre la possibilità a incontri umani pregnanti e a piccole e grandi sorprese narrative, contribuiscono a creare la storia di una manifestazione naturale primordiale che ha un suo battito del cuore, e una potente eco nella contemporaneità.


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Come nel suo straordinario documentario Lo and Behold (anch'esso uscito nelle sale quest'anno, a riprova che l'ultrasettantenne Herzog è inesauribile nel suo desiderio e capacità di raccontare il mondo) anche in Into the inferno il regista approccia i vulcani da mille angolazioni diverse, alcune davvero imprevedibili, e torna a parlare dei suoi argomenti preferiti: la percezione relativa del tempo, in questo caso scandito dalle catastrofi generate dal sisma; l'instabilità della nostra esistenza su una terra che non smette di muoversi; la spiritualità, che fa credere agli indigeni che nel cratere vivano gli spiriti dei defunti ma anche i demoni da cui è necessario tenersi a rispettosa distanza perché "la lava esprime la rabbia dei diavoli", e che i vulcani stessi possano creare una cosmologia, dunque chi si appropria della loro valenza simbolica può assumere caratteri divini, con tutto il rischio che questo comporta.

Che Herzog tratti materia incandescente è evidente non solo nelle riprese ravvicinate del magma ma anche nel lungo excursus dedicato alla Corea del Nord dominata dal regime totalitario e alla propaganda entro la quale il dittatore ha incapsulato la metafora superomistica del vulcano riferendola a sé, e nella chiusa dedicata alla volontà di una comunità isolana a ovest della costa Australiana di accostare alla potenza del vulcano la seduzione fatta di promesse consumistiche del capitalismo yankee.
Paola Casella

Non manca la consueta ironia del regista, che caratterizza tanto Oppenheimer quanto alcuni dei personaggi che Herzog incontra nella sua ricerca teutonicamente capillare e nella sua risalita vertiginosa alle radici dell'uomo: in particolare un antropologo statunitense che fa sembrare Indiana Jones un dilettante sia come scienziato che come entertainer. Ma sono eminentemente cinematografici anche altri personaggi, come lo storico e il cacciatore di fossili etiopi, o il capo villaggio dell'isola di Ambrym: la loro gravitas corrisponde al peso del mondo.
Alla curiosità bulimica Herzog abbina quella prospettiva decennale che gli deriva tanto dall'età anagrafica quanto dalla vastità della sua esperienza di cineasta e viaggiatore. Il risultato è un documentario magmatico (è il caso di dirlo) che apre continue finestre (o voragini) sulla nostra Weltanschauung, ma contiene anche un esplicito invito ad emozionarci come bambini davanti al fuoco e alla sua potenza creatrice e distruttrice, per respirare, ancora e ancora, la poesia del creato.


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