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Into the Herzog: l'uomo, la natura, il suo cinema

Into the Inferno conferma la visione poetica del mondo di Werner Herzog. La resistenza dell'uomo davanti al troppo grande.
di Marzia Gandolfi

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martedì 1 novembre 2016 - Netflix

Autore di film epici, attore carismatico, scrittore occasionale, regista lirico (con una predilezione per Wagner), globetrotter accanito, ex campione di salto con gli sci, fondatore della Werner Herzog's Rogue Film School, agente provocatore del nuovo cinema tedesco (ieri) e franco-tiratore bavarese in esilio a Hollywood (oggi), Werner Herzog ha edificato il proprio mito sotto il segno di Hölderlin e Kleist. Modelli dichiarati che hanno esplorato i confini e i limiti della lingua tedesca.

E ai confini del mondo e a confronto coi limiti umani si muovono da sempre il cinema e i personaggi dell'autore, trionfando su ostacoli immensi o soccombendo alla loro ambizione.
Marzia Gandolfi

Tutta la sua opera è in un certo senso l'illustrazione del mito di Sisifo: una sfida lanciata come un guanto all'impossibile. Con Rainer Werner Fassbinder, Herzog ha reinventato il cinema tedesco, risvegliando una cinematografia moribonda dopo la barbarie nazista e la mediocrità della produzione post bellica. Se Fassbinder 'ha ucciso i padri', Herzog ha recuperato con L'enigma di Kaspar Hauser e Cuore di vetro la grande cultura romantica tedesca che i barbari avevano creduto di distruggere. Figlio della sua epoca, che ha nutrito il suo destino, Herzog dopo la guerra si scopre orfano della propria cultura. Il suo cinema stabilisce allora un ponte, pescando i suoi soggetti nella storia e nella cultura legittima della Germania. Nato in Baviera nel 1942, realizza molto giovane alcuni cortometraggi e a ventiquattro anni il suo primo lungometraggio (Segni di vita), che anticipa tutti gli elementi costitutivi del suo cinema: la follia, la magia dei décor naturali, la natura indifferente alle aspirazioni umane, il desiderio di superare i confini geografici della Germania (il film è girato a Coo, nel Mar Egeo). Comincia qui la sua odissea estetica che converte la semplice bellezza dei piani in qualcosa d'altro: un sentimento fuori norma e prossimo al sublime.


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Antitesi dell'autore cinefilo, sprofondato in una pratica riflessiva e intellettuale, ogni film di Herzog è un'esperienza artistica e fisica. Un dislocamento e un'impresa, i due sensi del viaggio. Un viaggio a piedi perché Herzog è un viaggiatore che cammina fino a stremarsi, fino a raggiungere quello stato di vulnerabilità che fa cadere le sovrastrutture e correre l'immaginazione, quel baleno in cui l'immanente cinema dei corpi diventa un sublime cinema cosmico. Un cinema svolto nelle regioni più selvagge, remote e impraticabili del pianeta. Una lunga marcia, che s'impone qualche volta al di là dei propri limiti fisici, rovesciandola in gesto poetico, affrontando le temperature divoranti dei deserti africani e della giungla amazzonica, dell'Australia e dei vulcani ardenti delle isole di Vanuatu.

Come Malick, Herzog ha compreso il paradosso della creazione, cercando nell'armonia del creato la disarmonia dell'uomo.
Marzia Gandolfi

La galleria di ritratti accumulati dai suoi film traccia un percorso interiore, un viaggio nel paesaggio degli uomini del suo tempo. Ogni persona incontrata diventa per lui un nuovo territorio da esplorare, una terra da attraversare, interrogandosi sulle potenzialità fallite dell'uomo, sulla fine della sua epopea. Inquieto per l'avvenire dell'umanità, prova a comprendere il futuro a partire da quello che sa al presente. La vita dell'uomo per Herzog è come un'avventura, già partita ma ancora da fare e di cui teme la conclusione. L'essere umano e il pianeta innervano la sua imponente filmografia, la sua potente visione poetica, che preferisce la comunione alla comunicazione. Perché se il cinema è un medium, per Herzog non lo è in una logica informativa ma in un senso spirituale.


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Sospeso tra fiction e documentario, ma in Herzog i due generi convivono a meraviglia alimentandosi l'uno con l'altro, il paesaggio cinematografico dell'autore è teatro del confronto impari tra la determinazione dell'uomo e la forza implacabile della natura. Quando Herzog realizza un documentario non si accontenta mai di registrare una situazione ma la mette in scena. Difficile stabilire una distinzione chiara nella sua produzione. Muovendosi lungo il confine, non confeziona verità arrangiate ma infonde un'estasi di verità. Produce una verità propriamente cinematografica, che si tratti di documentario o di finzione. La realtà non è per l'autore l'epicentro delle cose, non lo è certamente del suo cinema che ha compreso straordinariamente che la verità non ha niente a che fare con la realtà.

Dal 28 ottobre su Netflix, Into the Inferno conferma ancora una volta l'attitudine alla sospensione e il viaggio come elemento scatenante di una visione creatrice profondamente estetica che nobilita lo spostamento che l'ha generata.
Marzia Gandolfi

Promenade vulcanica, che riprende la lunga fascinazione dell'autore per le forze telluriche (La Soufrière, Encounters at the End of the World), Into the Inferno avanza attraverso i vulcani attivi del mondo incontrando gli uomini che vivono a fianco e lungo i fianchi, nelle fratture scavate dalla pressione del magma. Dalla Corea del Nord all'Islanda, passando per l'Africa e l'arcipelago di Vanuatu, Herzog e Clive Oppenheimer, vulcanologo britannico, conversano con gli scienziati e le popolazioni autoctone, provando a rintracciare il legame profondo e complesso che l'umanità intrattiene con le 'architetture' instabili del mondo naturale.
Alla ricerca perpetua di nuove immagini, difendendo l'estasi del cinema e la visione del regista contro la banalità del mondo saturo di immagini vuote e già morte, Herzog ha dato prova di un amore autentico e inesauribile per il cinema. È atterrato nel Sahara (Fata Morgana), si è immerso nella giungla peruviana condotto dal conquistador allucinato di Klaus Kinski (Aguirre, furore di dio), ha raggiunto l'Antartide e l'Australia, ha fatto un bagno lisergico in Louisiana con Nicolas Cage (Il cattivo tenente - Ultima chiamata New Orleans), il padre nella periferia americana di Harmony Korine (Julien Donkey-Boy), il villain in barba a Tom Cruise (Jack Reacher). Sperimentatore indefesso, tutto frequenta e tutto gli interessa: condannati a morte, fan di grizzly imprudenti, l'arte preistorica in 3D, la decostruzione del mondo connesso, la sfida insensata ad abbracciare la creazione o il disastro, la poderosità e l'impotenza, l'estasi e la morte, i personaggi marginali e i paesaggi estremi. Ma su tutto, l'uomo in rottura con la società, sulla soglia della follia o in conflitto permanente con la natura. Herzog insegue tutto quello che deborda o si esclude dalla civiltà, raccontando personaggi che resistono davanti al troppo grande. Per questa ragione il suo sguardo non aderisce mai alla natura ma l'affronta, gli resiste, trasformando ogni film in un atto di resistenza, un'esperienza di limiti. Un limite da sperimentare perché il cinema trionfi.


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