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Interviste Carlo Verdone |
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Un corto, un film, una serie tv per Beppe Fiorello. La sfida di un esordio come produttore cinematografico, e quella di raccontare – per il grande pubblico televisivo – il dramma dei padri separati. Infine, il ritorno al cinema, con il film di Emanuele Crialese Terraferma.
Fiorello, iniziamo dal tuo esordio come produttore. Il corto Domani, due minuti su uno dei principi della Costituzione italiana. Come è nato tutto?
In modo molto semplice. Giovanni Bufalini, un regista che da tempo lavora con me, mi ha proposto l'idea. C'era un concorso, per il quale potevano partecipare corti di due minuti, ispirati a princìpi della Costituzione. Abbiamo scelto il più semplice: la bandiera italiana è composta di tre rettangoli di eguale dimensione, bianco, rosso e verde. E ci abbiamo composto sopra una storia, breve e – spero – poetica.
Perché fare il produttore?
Per affrancarmi dai soliti meccanismi burocratici, dalle lungaggini, dai voleri di quelli più grandi di te. Quando c'è una buona idea, vorrei poterla realizzare, senza dover dipendere dai voleri di altri. In questo primo tentativo mi ha aiutato moltissimo mio fratello, Rosario. Gli ho detto: 'Rosa', damme una mano'. E lui non si è tirato indietro. Ci ha messo i suoi consigli, il suo entusiasmo, la sua società di produzione.
Ma sono state le prove generali per un film "lungo", da produrre in proprio?
Beh, in qualche modo sì. Produrre un film corto significa affrontare le stesse difficoltà che incontri nel produrre un film vero e proprio: cercare i permessi per girare, tutta la burocrazia, gestire un budget, gestire una troupe, curare che tutto sia professionale. Tutta esperienza che spero ci sia utile per affrontare un lungometraggio. L'idea c'è, abbiamo iniziato a scrivere la settimana scorsa. Sarà una commedia sul tema della famiglia, da girare il prossimo autunno, o nella primavera 2012. E mi piacerebbe che fosse lo stesso regista del corto, Giovanni Bufalini, ad affrontare l'impegno.
E il cinema degli altri, il cinema italiano degli "autori", che rapporto ha con te?
Sono sincero. Io non ho fatto parte del cinema italiano degli ultimi anni, e non è stato per mia volontà. Anzi, ne ho sofferto. Perché il cinema italiano l'ho sempre seguito, e apprezzato, e amato. Avevo esordito con Marco Risi ne L'ultimo compleanno, insieme a Claudio Santamaria, e poi avevo proseguito con Carlo Verdone, un'esperienza straordinaria, in C'era un cinese in coma. Poi, più niente, praticamente. Ma non sono stato io a volerlo.
Adesso, però, un film importante c'è.
Sì: e sono stato molto felice che un regista come Emanuele Crialese, che ha talento da vendere, si sia ricordato di me. Mi ha dato un ruolo in Terraferma, e mi è sembrato in qualche modo di rinascere, al cinema. Abbiamo girato a Linosa, con un cast di attori e di non attori: con me c'erano Donatella Finocchiaro, Mimmo Cuticchio, Filippo Pucillo, ma anche pescatori veri.
Qual è il tuo ruolo in Terraferma?
Sono Nino, un pescatore che non crede più in quello che hanno fatto i suoi padri, la sua gente, per generazioni. E che vuole usare la barca di suo padre per portarci su i turisti. É il crollo di un mondo, la trasformazione di un'economia. Io spero che il film di Crialese sia un modo, per me, per riaffacciarmi ad un mondo, quello del cinema italiano, che mi ha messo un po' da parte, senza che io lo volessi.
In compenso, per anni la televisione ti ha dato un ruolo centrale. Lo rinneghi?
No, niente affatto! La televisione mi ha permesso di diventare, per tanti italiani, un narratore di storie. Mi ha permesso anche di raccontare cose che forse il cinema non ha avuto il coraggio di raccontare. Come quando abbiamo fatto La vita rubata, su un omicidio di mafia, una storia rimasta insabbiata per vent'anni. Io credo che in molti casi la televisione abbia avuto più coraggio del cinema, nell'affrontare la nostra storia.
E ora quale storia vorresti raccontare?
É un tema che ho in mente da tanti anni. E che riguarda milioni di italiani. Il dramma dei padri separati. In Italia sono quattro milioni, i padri separati. E quasi un milione di loro vive sotto la soglia della povertà. Non è una cosa da niente. Perché? Perché quando una coppia si separa, è sempre lui a dover abbandonare il tetto coniugale, e quindi a doversi cercare una casa, e pagare gli alimenti. E molti non sono in grado di affrontare questo impegno.
Stai per iniziare a girare una serie su questo tema?
Sì: iniziamo a girare l'11 aprile. É una miniserie per Raiuno, due puntate che andranno in onda probabilmente in autunno. La regia è di Lodovico Gasparini. E ci saranno Ana Caterina Morariu, Rodolfo Laganà, Angelo Orlando e Gioia Spaziani. Il titolo provvisorio è Sarò sempre tuo padre.
Che cosa racconterete, esattamente?
Per esempio, che cosa succede, quando una coppia si separa, a un padre cui non viene data la possibilità di vedere suo figlio, che viene buttato fuori di casa, che non sa più dove andare a mangiare e a dormire... Quando gli sceneggiatori mi hanno fatto leggere la storia, ho detto loro: ma non avete esagerato? Mi hanno consigliato di visitare alcuni siti di assistenza a padri separati. Ho conosciuto storie che mi hanno messo i brividi. Ho scoperto situazioni addirittura tragiche. Gente che non sa come mangiare, dove dormire, che si adatta a dormire sotto i ponti. E tutto questo, in un'Italia apparentemente 'normale'.
Com’è stato avere De Niro sul set? Beh, alla fine non ce stavamo tanto a pensare: vero Michè?”. Accanto a Carlo Verdone, nel treno che lo porta a Roma, per la presentazione di Manuale d'amore 3 alla stampa, c’è Michele Placido. “Michè” annuisce. Nun ce stavano tanto a pensà, alla fine.
De Niro sembra già, in qualche modo, l’ospite venuto da lontano, quello per cui si mette la tovaglia buona, e si porta in tavola il buon vino. Ma la famiglia, sono loro. Michè, per esempio, che è passato da Genitori & figli a Manuale d'amore. O Carlo, che solo a Giovanni Veronesi concede il privilegio di impiegarlo come attore puro. È accaduto già altre tre volte: nei primi due Manuali d'amore e in Italians. E non era, praticamente, mai accaduto prima.
Eccolo, insomma, il "Ma(nua)le d’amore". Manuale d’amore, male d’amore. Perché l’amore fa male, perché le donne del film, quelle che bussano alla porta degli uomini, quelle che fanno innamorare, hanno sempre addosso un male, un tarlo nella mente, il tic tac di una bomba che sta per scoppiare. O semplicemente, una pace da tempo perduta.
Ma torniamo al film. Placido è il portiere del palazzo dove De Niro, americano a Roma, ha preso casa. Lui, professore di anticaglie, uno che ha trasformato tutta la sua rabbia in calma, per poi trasformare di nuovo tutto in amore. Carlo Verdone incontrerà l’attore feticcio del cinema americano soltanto in una scena, una specie di passaggio del testimone tra un episodio e l’altro.
"Però, durante le riprese abbiamo passato qualche sera insieme”, dice Verdone. “De Niro aveva visto i primi due Manuali d’amore, e quando mi ha fatto i complimenti per l’umanità del mio personaggio, mi è sembrato veramente qualcosa di straordinario. Non me lo sarei mai immaginato, nella vita”.
Parliamo del tuo personaggio in Manuale d’amore 3. Chi è? Cosa fa? Qual è il suo “male d’amore”?
"È un anchorman, un conduttore televisivo. Un mezzobusto molto tronfio, perbenista, vigliacco. Tutto gli va bene, finché non incontra una donna che lo fa svalvolare. E ci casca con tutte le scarpe, in questo rapporto”.
E il problema qual è?
"Il problema è che lui, innamorandosi, abbassa le sue difese immunitarie, le difese immunitarie della sua ragione. Solo perché una persona lo lusinga. E perde la sua dignità, col rischio di finire come un miserabile”.
C’è più di un’attinenza con il presente…
“Ma no, non c’è nessun riferimento preciso alla cronaca. È solo la tragedia di un uomo che perde la dignità”.
La morale?
“Che bisogna stare attenti, quando ci si innamora. O forse, che non si riesce mai a stare attenti abbastanza. E che ci innamoriamo di chi ci può distruggere la vita”.
Per te come è stato affrontare il terzo Manuale d’amore?
"Devo dire la verità: mentre con i miei film sono costretto a fare insieme il regista e il protagonista, quando faccio i Manuali con Giovanni mi sento molto libero, molto leggero. Non dico che sia una vacanza, ma certo non mi sento addosso il peso della regia. Riesco a pensare solo alla psicologia del personaggio”.
Ma che cos’è che fa, nel film, la donna di cui ti innamori, per far perdere la dignità al tuo personaggio?
"È bipolare. All’inizio pare dolce, intelligente, ironica, brava, buona. Poi rivela l’altra parte di sé. Si rivela praticamente una stalker, e… beh, il resto lo devi vedere ”.
A te è mai capitato un amore di quel genere?
“Mi sono capitati incontri del genere. E non è una passeggiata. Il disturbo bipolare è grave, nei casi più estremi sfocia in un comportamento ossessivo compulsivo. È una malattia pericolosissima”.
Il tuo episodio è, in pratica, un lungo “a tu per tu” con Donatella Finocchiaro. Che cosa hai scoperto di lei?
"È stata sorprendente. La conoscevo come attrice drammatica, ma è stata una vera sorpresa nella commedia. È un’attrice completa: una tra le migliori con cui ho lavorato”.
Arriva in sala il terzo e attesissimo capitolo di Manuale d’amore, impreziosito dalla carismatica presenza di Robert De Niro, che parla italiano, pensa in inglese e innamora la bella Viola di Monica Bellucci. Tre episodi, corrispondenti a tre stagioni dell’amore (Giovinezza, Maturità, Oltre), compongono questa volta le ‘istruzioni per l’uso’ di Giovanni Veronesi, che offre nuovi campioni rappresentativi di una più ricca sociologia del comportamento sentimentale. Matrimonio e adulterio per Riccardo Scamarcio, conteso dalla mediterranea Valeria Solarino e dalla bionda Laura Chiatti in terra toscana e a due passi dal mare. Tradimento anche per Carlo Verdone, affermato anchorman televisivo, sedotto e ricattato in città da un'avvenente e ‘bipolare’ Donatella Finocchiaro. Corteggiamento e tanto sentimento invece per il professore americano di Robert De Niro, stregato in terrazza dalla bellezza di Monica Bellucci, figlia emigrata (a Parigi) di Michele Placido. A raccordare gli sguardi e le vite dei tanti protagonisti ci pensa addirittura Cupido, interpretato da Emanuele Propizio, che arco alla mano scocca frecce e infatua i cuori.
A Roma per presentare il suo film, Giovanni Veronesi promette di girare altri capitoli del suo prontuario sentimentale: “Non ho nessuna intenzione di fermarmi qui, sogno di realizzare un pentagono perché sull’amore continuo ad essere confuso. È un argomento inesauribile e misterioso, per questa ragione i miei manuali non danno risposte piuttosto suggeriscono delle domande”. Domande che si pongono confusi tutti i protagonisti, accompagnati nelle loro vicende sentimentali dalle note remote di Luigi Tenco, quelle introverse di Morgan e quelle jazzate di Raphael Gualazzi, che con “Follia d’amore” ha travolto una manciata di giorni fa il palco dell’Ariston e ha battuto la concorrenza, aggiudicandosi il premio del pubblico e quello della critica. “Siamo contenti”, dice Aurelio De Laurentiis, “di aver portato fortuna a questo ragazzo che a soli ventisette anni compone, suona, canta e gira il mondo con la sua musica straordinaria. Adesso spero sarà lui a portarla a noi. È stata Caterina Caselli a proporcelo, si è presentata un giorno sul set e ci ha invitati ad ascoltare questo giovane artista che ha impreziosito la nostra commedia con la versione in lingua inglese della canzone sanremese”.
Manuale d’amore ricomincia da tre e riconferma immancabilmente Carlo Verdone, maschera comica graditissima al pubblico italiano che il regista toscano ama (letteralmente) mettere a nudo: “Nella vita non sto mai così tanto in mutande come nelle commedie di Veronesi, che in ogni capitolo si diverte a maltrattarmi. Anche questa volta sono vittima di una donna che ha deciso a suo modo di farmela pagare. Nel terzo Manuale interpreto un uomo di successo che lavora in televisione e vive in adorazione di se stesso. Un emerito ruffiano che merita assolutamente di cadere in miseria per mano di una donna che non è affatto chi dice di essere. È funzionale al racconto che io ceda al suo fascino e alla sua autorità con le conseguenze disastrose che vedrete sullo schermo”. A corteggiare il bellimbusto e mezzobusto di Carlo Verdone è la finta psichiatra di Donatella Finocchiaro, soddisfatta del suo debutto comico a fianco dell’attore romano: “Quando Giovanni mi ha proposto il ruolo di Eliana ero terrorizzata, fino a quel momento avevo interpretato soltanto dei drammoni e temevo per questo di non essere all’altezza delle aspettative. Poi invece tutto è andato magnificamente. Esordire nella commedia accanto a Carlo Verdone era un sogno che si realizzava. Carlo sul set è un ciclone, è avvolgente, è un’esplosione di idee, un grande improvvisatore alla continua ricerca di qualcosa di speciale".
Mentre la Finocchiaro è occupata a vessare il marito traditore di Verdone, a Monica Bellucci spetta il privilegio di irretire il cuore trapiantato del professore di De Niro: “Sono davvero felice di aver preso parte a questo progetto e di aver lavorato con due attori del calibro di Michele Placido e Robert De Niro, che nonostante l’età mantiene intatto il suo fascino. Tutte le donne sul set erano innamorate di lui come il mio personaggio. Baciarlo certo è stata una bella emozione ma lo è stata anche per lui…”. Ma non di soli baci ha vissuto Bob De Niro, che ha stretto una bella amicizia col portiere di Placido, personale pusher di mozzarelle: “Bob è strepitoso, un vero professionista. Ogni mattina si presentava preparatissimo, non ha mai perso una battuta, né ha mai avuto bisogno di suggerimenti, l’unica cosa che veramente riusciva a confonderlo era la mozzarella di Battipaglia, ne va matto. Mi ha fatto promettere di garantirgli a Cannes un carico quotidiano”. Confessate pene e gioie d’amore, consumati amplessi e mozzarelle, Veronesi e cast ci danno appuntamento al manuale prossimo venturo.
La prossima apparizione sul grande schermo è per il prossimo 25 febbraio, in occasione dell'uscita dell'ultimo capitolo di Manuale d'amore 3 di Giovanni Veronesi. Il ritorno sul set, invece, è previsto per fine aprile, con il primo ciak del suo nuovo film Posti in piedi in paradiso. Carlo Verdone parla della sua nuova fatica, e non solo, al Bif&est , dove ieri sera gli è stato consegnato il Premio Fellini 8 e ½. E nel corso di un'affollata lezione di cinema al festival barese, si racconta al pubblico. Le domande si succedono velocemente, come immediate e spontanee sono le risposte dell'attore e regista romano che spazia vorticosamente dal cinema, alla politica, dalla televisione alla società.
Verdone, i suoi film si sono sempre focalizzati su vizi e virtù degli italiani. Che stagione sta vivendo la nostra società?
Stiamo vivendo un'epoca votata all'individualismo più sfrenato. Sui giornali non si parla mai della società in quanto tale, nel senso di comunità. L'attenzione è sempre diretta sui singoli. È un qualcosa di insostenibile. È chiaro che stiamo vivendo un momento di confusione, in cui i valori sono deragliati. C'è una nevrosi da continuo aggiornamento che ci rende superficiali. Nel mio piccolo, provo a guardare a temi odierni, come quello al centro del mio prossimo film. Voglio parlare dei mariti e padri divorziati che, nonostante posizioni di un certo tipo, devono vivere da miserabili, dovendo dare tutto per sostenere la famiglia d'origine. Cercherò di affrontare il tema nel modo migliore possibile, mostrando la tragicità del fenomeno, senza dimenticare il lato ironico. Alla fine è un tipo di lavoro che ho cercato sempre di fare: anticipare nei miei film quelle tematiche che l'Italia avrebbe poi imparato a conoscere più da vicino . Prendete Perdiamoci di vista. Trattai il tema della tv della sofferenza. Ho visto il programma di Barbara D'Urso e come è stato trattato il mio amico Francesco Nuti. È stato assurdo, non mi è piaciuto.
La televisione ha gravi colpe?
C'è una brutta televisione. Vedo personaggi ed esempi negativi in prima serata. Si è imposto un culto dell'apparenza, dei falsi miti che sta facendo danni. Ormai passa il messaggio, in tv, che se sei bona e spregiudicata vai avanti. Confido però nelle giovani generazioni che avranno le scatole piene e proveranno a cambiare le cose veramente. Devono avere idee chiare, rigore e tanta indignazione, che forse è la cosa che manca di più oggi. Anche i giovani attori, o gli aspiranti tali, devono ispirarsi ad un certo rigore per affrontare al meglio questo mestiere. Una volta mi telefonò Gianni Agnelli, innervosito perché non avevo accettato di fare la pubblicità della Uno, mi sembra. Sentivo che per il mio percorso non andava bene. Aspettai circa tre ore e gli dissi di no. Poco dopo mi chiamò Massimo Troisi, a cui era stata fatta la stessa proposta. Lui non aspettò neanche le mie tre ore: disse di no subito.
Cosa pensa degli incassi record del secondo film di Checco Zalone?
Un film carino, con un personaggio nuovo che raccoglie il consenso popolare, mette tutti d'accordo. Un film bello, invece, necessariamente divide, sarà sempre un po' di nicchia. Ci sono film meravigliosi, tipo American Beauty, che non hanno avuto il successo di Zalone. Ma non lo critico, anzi è un mio amico. Nel suo film sono tutti "buoni": i terroristi, il Vaticano, il maresciallo traffichino. Ma gli italiani forse in questo momento hanno bisogno anche di questo, diciamo che è una pillola antidepressiva senza effetti collaterali.
Comunque è un fenomeno che, ciclicamente, si registra nel nostro cinema: il boom improvviso di un comico. Era successo con Leonardo Pieraccioni. Troisi, che anche veniva dalla tv era, invece, diverso. Aveva una cultura teatrale napoletana, costruiva un personaggio complesso, non andava sulle cose facili. Massimo era una persona raffinata. Zalone, però, è un ragazzo intelligente. E riuscirà ad evolvere e a fare anche cose diverse.
E il cinema? La frequentazione delle sale? I gusti del pubblico?
Ciò che mi preoccupa è la fuga da un certo tipo di film. Io faccio commedie e non ne sono toccato. Ma appena al pubblico parli di dramma, si allontana. E così non vengono visti film bellissimi, come l'ultimo di Antonio Capuano, un grande regista. Poi c'è il problema dei tagli al Fus. Io sono un privilegiato, ma la sperimentazione sta soffrendo e senza sperimentazione non si evolve. Guardate i casi di Matteo Garrone e Paolo Sorrentino: benedetto Fus che ce li ha fatti conoscere. Sorrentino, in particolare, è il regista che stimo più di tutti. Farei di tutto con lui. Magari potrebbe far conoscere delle tonalità mie diverse.
Sarà un caso che, dopo un (non)giovane di nome Dante (Francesco Mandelli) e un disc-jockey interpretato da Claudio Bisio, il narratore che sfoglierà per noi i nuovi capitoli del compendio amoroso di Giovanni Veronesi sia un tassista chiamato Cupido (Emanuele Propizio)? Forse no, considerando che il protagonista di Manuale d'amore 3 è il taxi driver per eccellenza della storia del cinema, l'uomo più emulato da varie generazioni di attori posti davanti a uno specchio in cerca di uno sguardo paranoico ed esaltato. C'è voluta una conferenza stampa allestita durante una pausa di lavorazione per vedere e credere ciò che era stato già da tempo annunciato: Robert De Niro protagonista dell'ultima delle ricette sentimentali di Giovanni Veronesi e Aurelio De Laurentiis. I quali, dopo le "appendici" sugli italiani all'estero (Italians) e sul gap generazionale (Genitori & Figli), tornano così alla manualistica più rodata (35 milioni di euro gli incassi complessivi dei primi due film) con un terzo tomo che si porta dietro molti degli attori delle puntate precedenti (Verdone, Scamarcio, Bellucci) più qualche nuova entrata (Michele Placido, Donatella Finocchiaro, Laura Chiatti e Valeria Solarino), tutti uniti a sostenere e controbilanciare la mole del mostro sacro newyorkese.
Dopo il ricco proprietario terriero di Novecento di Bertolucci e il gangster Noodles di C'era una volta in America di Sergio Leone, De Niro rientra in Italia dopo più di venticinque anni per assecondare il genere che da un po' di tempo gli risulta più congeniale (sta per uscire in America la terza parte di Ti presento i miei) e per interpretare (in italiano!) un maturo professore di storia dell'arte destinato a innamorarsi delle forme giunoniche di Monica Bellucci. L'episodio in questione si intitola "Oltre" (in merito a quella fase del percorso amoroso che segue "Giovinezza" e "Maturità", gli altri due episodi previsti del film), ma è davvero difficile anche per gli altri attori presenti andare "oltre" e parlare liberamente, al di là della presenza di De Niro al loro fianco. Così che anche le loro parole si concentrano sugli aneddoti riguardanti l'attore italo-americano. Il quale, a sua volta, ricambia la stima con molta umiltà e qualche lacrima, a dispetto di un'atmosfera a dir poco festante.
Come è stato coinvolto in questo progetto?
Robert De Niro: Avevo sentito dire che Giovanni Veronesi era interessato a farmi interpretare un ruolo in un suo nuovo film. Per convincermi, mi ha mandato i primi due Manuali. Li ho visti e mi sono piaciuti molto, così come mi è piaciuta l'idea del ruolo scritto per me. Così, mi ha mandato la storia e quando ci siamo incontrati in Sicilia l'estate scorsa, mi sono reso conto che era una persona intelligente e ho deciso di accettare il ruolo.
È stato molto difficile recitare in italiano?
Robert De Niro: Un po' d'italiano lo parlo in realtà, ma la qualità dell'italiano richiesto dalle mie battute era davvero difficile e sofisticato, così ho dovuto imparare a memoria la giusta pronuncia. Non che sia stato difficilissimo, ma devo anche ammettere che non è stato sempre semplice, mi auguro solo di aver recitato con un italiano sufficientemente buono da non dover essere doppiato. Molto dell'umorismo sta anche nel fatto che il mio personaggio deve parlare un accento un po' strano.
Cos'è per lei l'amore?
Robert De Niro: L'amore è sempre lo stesso, a ogni età, ed è sempre meraviglioso: solo che, invecchiando, si è più consapevoli del fatto che tutte le cose hanno una fine. Giovanni Veronesi ha scritto il mio episodio con tanta dolcezza, dando al personaggio una seconda possibilità. D'altronde l'amore è qualcosa di fantastico. Di dolce e di fantastico.
Cosa la attira così tanto nella commedia contemporanea?
Robert De Niro: Le commedie generalmente hanno meno restrizioni. Nella commedia puoi provare su ogni cosa, puoi osare di più. Puoi essere molto più spregiudicato rispetto a un dramma. Mi piace fare commedie e devo dire che recitare in una commedia italiana è stato ancor più piacevole, grazie a una grande tradizione che gli permette in modo unico di coniugare comico e drammatico.
Le tre fasi evolutive dell'amore: Oltre
Giovanni Veronesi: Con "Oltre", volevo parlare di quella fase dell'uomo dopo la maturità, quella fase molto delicata e molto dolce, in cui non si chiede più molto dalla vita. L'idea vincente dell'episodio con Bob è stata quella di affiancargli Michele Placido e Monica Bellucci: assieme li ho resi davvero un trio esplosivo! Standogli vicino, ho imparato molto cercando di osservare la sua dedizione: all'interno di un piccolo film italiano con attori a lui sconosciuti, lui dà il massimo e passa anche ore a imparare una singola battuta. Diciamo che sono andato a scuola e ho imparato abbastanza.
Monica Bellucci: Finalmente un ruolo femminile così bello e due grandi accompagnatori. Inizialmente ero molto stupita dall'idea di lavorare con questi attori: non sapevo cosa poteva venirne fuori. Inoltre eravamo tutti in qualche modo intimiditi dal De Niro star. Fortunatamente siamo presto riusciti a conoscere anche l'uomo e ce ne siamo davvero tutti innamorati. Si tratta davvero di una bellissima esperienza di cinema.
Michele Placido: Credo che siamo a un'età in cui si comunica molto di più fra colleghi parlando della vita e dei nostri piaceri che del nostro lavoro. A casa De Laurentiis, Bob ha rotto il ghiaccio subito facendosi una foto con tutti quanti. Poi abbiamo passato serate intere a dissertare sulla qualità delle mozzarelle del Sud, si è creata una grande atmosfera amichevole.
Giovinezza
Valeria Solarino: La giovinezza è quella fase in cui non si è ancora presa una direzione, quando ci ferma a pensare e si cerca di crescere oppure si cambia improvvisamente percorso di vita per una svolta esistenziale. Per quanto riguarda me stessa, sento di essermi arricchita molto in questi ultimi anni e anche grazie a questa esperienza.
Riccardo Scamarcio: Interpreto un giovane avvocato, un uomo che si trova in quella fase della vita in cui occorre fare scelte importanti, ma poi per una cosa di lavoro vengo mandato in un paesino di provincia della Toscana. A Castiglion della Pescaia vivrò grazie a una sbandata per il personaggio di Laura Chiatti un ritorno adolescenziale che metterà in crisi le mie prospettive sulla stabilità.
Laura Chiatti: Sono davvero molto onorata di partecipare a questo film, fin dalla prima volta in cui ho conosciuto De Niro non ho avuto il coraggio di dire niente. Tuttora credo di dover ancora realizzare. Il mio personaggio è una ragazza energica e brillante, con un carattere forte. Sono tuttavia il seme della discordia, quello che creerà problemi alla coppia Scamarcio-Solarino.
Maturità
Carlo Verdone: Ho preso parte a Manuale 3 un po' in extremis. Dovevo cominciare a girare il mio nuovo film in questo periodo ma mi sono reso conto che non sarei riuscito a finire di scriverlo per tempo. Così, di comune accordo col produttore De Laurentiis, mi sono preso un po' di tempo e ho trovato qualche spazio libero che ho cercato subito di impiegare chiedendo a Giovanni di poter occupare con una partecipazione al suo film. Mi ha risposto subito sì e ha creato un episodio alla Attrazione fatale con Donatella Finocchiaro, tanto bella e simpatica, quanto pericolosa e compulsiva. Lavorando a stretto contatto con De Niro, abbiamo avuto il privilegio di incontrare un grandissimo attore, una grandissima persona dotata di signorilità e di grande umiltà. Quando l'ho conosciuto avrei voluto parlargli per ore di Taxi Driver o Il cacciatore e invece siamo finiti a mostrarci le foto delle vacanze con la famiglia sul cellulare! Abbiamo creato un legame attraverso il telefonino.
Donatella Finocchiaro: Nell'episodio interpreto una donna affetta da una sindrome bipolare, una tendenza ossessivo-compulsiva. La sua ossessione per Carlo diventa follia vera, finché non divento per lui una minaccia seria. Ma non abbiamo voluto banalmente ridicolizzare una malattia seria, vedrete che l'episodio ha anche una sua complessità.
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Dopo la maturità classica, la laurea in Lettere moderne e il diploma al Centro sperimentale di cinematografia, Carlo esordisce in televisione dove le sue caratterizzazioni fanno la storia di programmi come "Non stop". Debutta alla regia del lungometraggio con Un sacco bello proponendo una galleria di personaggi comici: il coatto Enzo, l'hippie Ruggero, il candido Mimmo, Don Alfio. I cosceneggiatori del film sono Leo Benvenuti e Piero De Bernardi, il produttore nientemeno che Sergio Leone.
"Sergio era convinto che Un sacco bello fosse un piccolo capolavoro. Mi affidai al suo istinto, ed ebbe ragione. Quel film fece piazza pulita della vecchia commedia all'italiana", ha ricordato Verdone. Segue il successo di Bianco, rosso e Verdone, altra collezione di sketch basati su personaggi inventati dal regista-interprete, come Furio Zòccano, o l'emigrato italiano in Germania che torna a casa per votare.
Le sue caratterizzazioni partono sempre dalla voce, un dialetto o un'intonazione particolare, e dall'attenta osservazione dei tic e delle nevrosi piccolo borghesi degli italiani. Il suo talento per l'imitazione, coltivato già sui banchi di scuola, come l'attività svolta presso l'Opera dei Burattini di Maria Signorelli, confluiscono in quella comicità definita superficialmente "cabarettistica", in realtà radicata nella tradizione del varietà.
Il passaggio alla regia di commedie con una trama più tradizionale avviene con Borotalco, che il padre Mario considerava il film migliore del figlio. "Se non ci fosse stato il successo di Borotalco sarei rimasto 'quello che fa i personaggi'", ha detto Verdone. "Invece vinse cinque David di Donatello e una valanga di altri premi".
Borotalco è il primo esempio di centralità della figura femminile nella cinematografia di Verdone. "Con il femminismo la figura maschile viene retrocessa", ha ricordato. "Il tema della donna 'forte' e dell'uomo confuso e spesso imbranato sarà con Borotalco ed altri film a seguire un comune denominatore costante per molti anni". Grande è il suo amore per le donne, e le attrici. "Ho sempre considerato la donna un pianeta affascinante nel suo mistero. Quando una donna è forte lo è molto più dell'uomo. Quando una donna è noiosa lo è molto meno di un uomo", ha dichiarato Verdone. "Quasi tutte le mie attrici hanno ottenuto premi e riconoscimenti prestigiosi e per me questa è una gioia impagabile, perché prima della cura del mio ruolo, in ogni mio film, viene l'attenzione massima per loro".
Con Compagni di scuola arriva la svolta verso una comicità più amara. "La commedia ha saputo raccontare il Paese, la sua tragedia e i suoi drammi molto meglio del film drammatico. Mi riferisco a La grande guerra, Tutti a casa e Una vita difficile", ha detto Carlo. "La bravura degli sceneggiatori e del regista è capire fino a dove spingersi sul lato serio per poi rientrare nel tono leggero".
I film di Verdone raccontano alcuni tratti caratteristici della sua personalità, come l'ipocondria (Maledetto il giorno che t'ho incontrato) o il rapporto con la psicanalisi (Ma che colpa abbiamo noi), ma anche il lato dark del mondo dello spettacolo (Sono pazzo di Iris Blond, C'era un cinese in coma) che lui ben conosce o la crisi della famiglia (Al lupo, al lupo, L'amore è eterno finché dura, Sotto una buona stella) che fa parte della sua biografia: sposato nel 1980 con Gianna Scarpelli, madre dei suoi due figli Giulia e Paolo, è separato dal 1996. Questa gestione personalistica ricorda Nanni Moretti e Woody Allen, ma lo sguardo di Verdone è più vicino a quello dello spettatore comune che a quello dell'intellettuale impegnato, e i suoi personaggi sono spesso coatti di periferia (Troppo forte, Viaggi di nozze, Gallo cedrone) verso cui il regista-attore prova affetto e simpatia, così come le sue storie sono comuni a tutti, non limitate al ceto sociale dei privilegiati.
Nella sua carriera il regista ha vinto 9 David di Donatello, 8 Nastri d'argento e 3 Globi d'oro, non solo per la regia ma anche e soprattutto per la sceneggiatura e la recitazione (memorabile la sua interpretazione di Romano, a metà fra Ennio Flaiano e il Bagini di Io la conoscevo bene, ne La grande bellezza di Paolo Sorrentino). Ha girato anche spot pubblicitari e videoclip (in omaggio al suo grande amore per la musica), ha doppiato Zorba ne La gabbianella e il gatto, è protagonista del documentario di Fabio Ferzetti Carlo!,
Con L'abbiamo fatta grossa, prodotto da Filmauro (Aurelio De Laurentiis subito mi disse: "Guarda che a me non interessa fare film che incassino meno di 15 milioni di euro!"), Verdone mette alla prova una nuova coppia comica composta, oltre che da lui, da Antonio Albanese, e crea con l'investigatore privato Arturo Merlino (come il mago) un'altra figura tenera e fallibile: l'ennesima maschera di Carlo il burattinaio.
La prima volta che Carlo Verdone diede l'esame di storia del cinema all'università venne bocciato. Il docente era suo papà Mario, implacabile e giustamente imparziale. Diciamo che ha pienamente recuperato, negli anni, attraverso una filmografia importante, forse unica nel panorama cinematografico italiano. Verdone, classe 1950, è uno dei pochi autori-attori ad avere sempre mantenuto con il suo pubblico un rapporto costante, senza cali di popolarità, con un percorso di crescita attraverso varie declinazioni della commedia. Dal comico delle maschere di Bianco, rosso e Verdone (1981) o del più recente Grande, grosso e Verdone (2008) alle strutture più sofisticate degli ultimi due titoli, Posti in piedi in paradiso (2012), tra i suoi film migliori, e Sotto una buona stella, dal 13 febbraio in sala. Altri "malincomici" della sua generazione si sono un po' persi per strada (il caso più lampante è Maurizio Nichetti); Verdone ha invece saputo soddisfare le aspettative degli spettatori che a lui hanno sempre chiesto soprattutto divertimento, senza rinunciare però a una evoluzione dei personaggi e delle storie. Continua »
Al di là del cinema macchiettistico, dei galli cedroni e dei viaggi di nozze, retaggio di una tradizione da avanspettacolo che non sempre ha saputo adeguare la propria narrazione a quella del grande schermo, Carlo Verdone ha sviluppato una alternativa "poetica" molto solida. Con Borotalco (1981) e Acqua e sapone (1983) si inserì pienamente nel filone cosiddetto "malincomico", tracciato insieme a Massimo Troisi (Ricomincio da tre è del 1981) e Maurizio Nichetti (Ratataplan e Ho fatto splash escono tra il 1979 e l’80). Furono tra le poche novità (e insieme a Francesco Nuti le sole nella commedia) del nostro cinema negli anni 80, allora definito da Paolo Bertetto «il più brutto del mondo». Continua »
Sessant'anni e una carriera che va avanti da più di trenta, con decine di personaggi all'attivo, alcuni diventati dei veri cult, altri che strappano sorrisi malinconici, altri che incarnano dei personaggi- tipo con i loro tic, le loro manie e ossessioni di un'Italia che continua a cambiare, nonostante tutto. Questo è Carlo Verdone: una persona capace di scrutare il mondo che lo circonda nei minimi particolari, prestando attenzione alla gestualità delle persone ed enfatizzandone le imperfezioni per trasformare tutto in commedia. Una comicità fatta di espressioni facciali, battute, dialoghi graffianti, mai ovvi e soprattutto mai volgari, caratteristica che lo distanzia fortemente dalla comicità nostrana e dagli amati/odiati cinepanettoni.
Nel cinema italiano dell'ultimo ventennio, Carlo Verdone è riuscito a crearsi un suo spazio, una poetica riconoscibile e solitaria capace di tenere in perfetto equilibrio necessità commerciali e un proprio stile, fatto di situazioni, eventi e comportamenti ricorrenti che descrivono, se non anticipano, i nostri tempi. Verdone si esprime attraverso una rosa di personaggi entrati a pieno titolo nella storia del cinema italiano più recente come il borghese logorroico Furio di Bianco, rosso e Verdone (1982); il bambinone immaturo Leo di Un sacco bello (1980); il coatto romano Ivano di Viaggi di nozze (1992) e i vari preti strampalati come Don Alfio, sempre in Un sacco bello, e l'ultimo Padre Carlo di Io, loro e Lara (2010). Romano verace Carlo, ma nonostante ciò è riuscito a spogliarsi di tutti quei luoghi comuni, quelle debolezze tipicamente romane, per poter guardare alla sua romanità da fuori, in modo da poterla comprendere e rappresentare (non per nulla, un certo Sergio Leone amava definirlo un "uomo che guarda"). È riuscito a distaccarsi dal grande cuore di Roma, Alberto Sordi, al quale tutti si ostinano a paragonarlo, distinguendosi da lui per quella malinconia, quella amarezza che in Sordi assumeva contorni d'aggressività, di vero e proprio cinismo. C'è sempre un velo di tristezza nel mettere a nudo un'Italia un po' goffa, molto grottesca e sempre incredibilmente cialtrona, perché non è facile raccontare l'inferno quotidiano di un paese che si considera moderno, aperto e benpensante, quando poi la verità è nascosta nelle pieghe di un sorriso smorzato, come nell'ultimo Io, loro e Lara, dove si ride (meno) e si riflette (tanto). Eppure lui c'è riuscito completamente, fissando con estrema precisione e con notevole coinvolgimento affettivo, i nuovi riti e miti, il difficile cammino di scoperta di se stessi da parte delle nuove generazioni, dal miracolo economico alla web generation.
Separatamente e senza saperlo entrambi avevano espresso il desiderio di fare il loro "incontro d'autore" con l'altro, entrambi si ammirano (anche se per motivazioni diverse) e entrambi sono tra gli attori migliori del nostro cinema.
Uno è Carlo Verdone "il comico più di successo dagli anni '70 ad oggi", come l'ha definito il curatore della serata Mario Sesti, e l'altro è Toni Servillo, capace nell'ultimo anno di essere presente nei due più importanti film italiani con ruoli determinanti. Hanno scelto l'uno scene dai film dell'altro che amano particolarmente e che ritengono emblematiche della sofisticatezza attoriale del collega e le hanno commentate per il pubblico intervenuto.
Il risultato è stata una serata che ha incredibilmente coniugato la poesia "bassa", ironica e malinconica di Carlo Verdone ai personaggi rudi, titanici e "alti" di Toni Servillo, all'insegna di una contaminazione che ha spiegato benissimo il protagonista di Il divo: "La forza di quest'incontro sta in come un comico possa raccontare attraverso la comicità zone profonde di disperazione e come alle volte un ruolo disperato possa essere efficace attraverso piccole zone di comicità".
Benedetta folliaLa presenza "malincomica" di Verdone espone paure e fantasmi che appartengono alla nostra storia di italiani mediData uscita: 11/01/2018 Regia di Carlo Verdone. Genere Commedia, produzione Italia, 2018. Un uomo dedito alla religione e fedelissimo marito si ritrova improvvisamente single. Una nuova commessa del suo negozio gli stravolgerà la vita. |
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