fabal
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domenica 29 ottobre 2017
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l'esterno contamina, l'interno è saturo
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New York. Mina e Jude restano chiusi nella toilette di un ristorante e fanno conoscenza, si innamorano e lei resta incinta. Inizialmente dubbiosa sulla maternità, Mina consulta una chiromante che prevede la nascita di un figlio color “indaco”, una creatura speciale che la madre si convince di dover proteggere dalle impurità. Inizia allora a manifestare una serie di comportamenti di tipo paranoide – ossessivo: rifiuta il cesareo, teme che il bimbo venga contagiato dall’esterno, impone una dieta vegana rigida che causa molto presto una malnutrizione per il piccolo. Rifiuta, inoltre, le cure della medicina tradizionale: niente pediatra né antibiotici per il bambino che accusa una febbre perenne.
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New York. Mina e Jude restano chiusi nella toilette di un ristorante e fanno conoscenza, si innamorano e lei resta incinta. Inizialmente dubbiosa sulla maternità, Mina consulta una chiromante che prevede la nascita di un figlio color “indaco”, una creatura speciale che la madre si convince di dover proteggere dalle impurità. Inizia allora a manifestare una serie di comportamenti di tipo paranoide – ossessivo: rifiuta il cesareo, teme che il bimbo venga contagiato dall’esterno, impone una dieta vegana rigida che causa molto presto una malnutrizione per il piccolo. Rifiuta, inoltre, le cure della medicina tradizionale: niente pediatra né antibiotici per il bambino che accusa una febbre perenne. Jude comincia a capire che qualcosa non va e porta il figlio da un dottore, finché la situazione non degenera.
Sin dalla prima scena Costanzo mostra il suo biglietto da visita: presentare le forzature (quasi claustrofobiche) della convivenza, a partire dalla fortuita conoscenza nella toilette maleodorante, dove uno spazio angusto intrappola il gigantesco e imbarazzato Adam Driver, ingegnere timido ma con la testa sul collo, e Alba Rohrwacher, orfana fin da piccolissima e in cerca spasmodica di un nucleo familiare a cui appigliarsi. Hungry hearts prosegue con lo stesso maniacale “stalking” registico, con una telecamera sempre inchiodata addosso ai protagonisti, a cui raramente viene concesso più di mezzo busto. Adam Driver, alto circa 1,90, deve spesso ingobbirsi per restare nell’inquadratura insieme alla minuta Rohrwacher, ma la differenza fisica tra i due è forse funzionale alla simbologia narrativa (nutrizione/malnutrizione, razionalità/paranoia) nonché a rendere lo spazio continuamente saturo.
Scriveva Sartre: “Ero un bambino, cioè uno di quei mostri che gli adulti fabbricano con i loro rimpianti”. La ricerca della purezza, la paura della contaminazione e gli altri rituali a cui Mina sottopone non sono affatto dettate da una mancanza d’amore – che, benché malato e possessivo, la donna in qualche modo prova o è convinta di provare - ma, in parte, da un tentativo irragionevole di risparmiare al figlio una catena di sofferenza portate dal contatto con l’esterno. Dall’altra è una risposta alle sue ossessioni irrisolte: Mina sogna spesso un cervo ucciso da un cacciatore e non mangia prodotti di origine animale, imponendo al piccolo lo stesso regime alimentare.
Ma l’interesse di Costanzo non è un bollare come “mode” pericolose le scelte come il veganesimo o la medicina alternativa: l’analisi è più radicata, interiore. E tanto più è netta la cesura col mondo esterno, tanto più i danni rischiano di ripercuotersi anche all’interno del nucleo familiare. Jude, sulle prime vittima di una sorta di ricatto morale dalla moglie, la quale lo riporta sempre al bisogno di unità, si riscatta con l’aiuto della madre. Disposta, per lui e per il nipotino, a fare un gesto estremo: amore o sottile rancore per una nuora manipolatrice?
I protagonisti hanno volti scavati e una sofferenza latente: grazie alle ottime performances di Driver e della Rohrwacher, soprattutto a livello fisico, Hungry Hearts è un dramma frontale di grande impatto emotivo che scuote sia le emozioni sia i nervi dello spettatore. Manca forse un maggiore approfondimento di Mina, il cui passaggio da donna “normale” a madre paranoica è troppo brusco, peraltro senza sfumature che limitano il confine tra la follia pura e una consapevole pianificazione dei metodi per eludere gli accorgimenti tradizionali che il marito vorrebbe per suo figlio.
Purtroppo la versione italiana difetta di incisività nelle voci: la Rohrwacher che ridoppia se stessa è a tratti inascoltabile e la chicca di Adam Driver che canta Tu sì na cosa grande per me di Modugno (peraltro con un’inaspettata dizione e ottima capacità vocale) si perde totalmente.
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greatsteven
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lunedì 13 febbraio 2017
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in bilico e disaccordo per far crescere un bimbo.
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HUNGRY HEARTS (IT, 2015) diretto da SAVERIO COSTANZO. Interpretato da ADAM DRIVER, ALBA ROHRWACHER, ROBERTA MAXWELL, AL ROFFE, GEISHA OTERO, JASON SELVIG
Jude, ingegnere americano, e Mina, ambasciatrice italiana, si incontrano casualmente nel bagno di un ristorante cinese mentre vi rimangono bloccati (l’unica scena un po’ divertente, ma dalla comicità di dubbio ed opinabile gusto).
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HUNGRY HEARTS (IT, 2015) diretto da SAVERIO COSTANZO. Interpretato da ADAM DRIVER, ALBA ROHRWACHER, ROBERTA MAXWELL, AL ROFFE, GEISHA OTERO, JASON SELVIG
Jude, ingegnere americano, e Mina, ambasciatrice italiana, si incontrano casualmente nel bagno di un ristorante cinese mentre vi rimangono bloccati (l’unica scena un po’ divertente, ma dalla comicità di dubbio ed opinabile gusto). Si innamorano e decidono di sposarsi. Mina è orfana della madre e ha un padre anziano con cui non intrattiene più rapporti da tempo. Jude ha una madre iperprotettiva che vuole però tenere fuori dalla sua vita sentimentale. Mina rimane incinta, e fin dai primi tempi della gestazione capisce che il suo sarà un bambino speciale, credendo perfino ad una chiromante che le preannuncia che partorirà un "bimbo indaco". I problemi cominciano dopo il parto, che per altro avviene senza che Mina ne sia consapevole, in quanto i chirurghi effettuano un cesareo per il ritardato arrivo delle contrazioni: il neonato non ha uno sviluppo regolare, poiché la madre, oltre che proteggerlo dall’inquinamento esterno di New York (la metropoli in cui la vicenda è ambientata), lo nutre esclusivamente con cibi vegetali, escludendo a priori la carne e tutti i derivati animali. Jude la asseconda finché un medico, dal quale porta il figlioletto, non lo avverte che il pargolo è in pericolo, dal momento che ben 93 bambini su 100 della sua età crescono con maggiore velocità di lui. Costretto ad alimentare il bambino di nascosto con tacchino liofilizzato e prosciutto, Jude viene infine scoperto dalla moglie, e allora la madre di lui lo convince a buttare la faccenda su vie legali. Contattata una detective privata, Jude sottrae con la forza il figlio alla consorte, ma una denuncia per percosse nei confronti del marito, dopo la permanenza forzata del bambino in casa della nonna, lo restituisce a Mina. A questo punto interviene la suocera, che elimina fisicamente la nuora. La scena finale mostra Jude che passeggia sulla spiaggia dell’oceano col figlio già un po’ cresciuto, mentre sua madre testimonia dietro le sbarre il motivo del suo assassinio. I riferimenti effettuati da una parte della critica verso le ambizioni e la potenza da thriller hitchcockiano o polanskiano sono esagerate: è un noir cupo, asciutto e sobrio (tratto dal romanzo Il bambino indaco di Marco Fronzoso) che tratta un tema di scottante attualità, ma senza uno sguardo sufficientemente lucido da giustificarne la sua eccessiva lentezza narrativa, le sue frequenti incursioni nel moralismo e nella leziosità e un certo sottofondo di moralismo che ripristina in parte la figura di Jude e fa di Mina un’insolita, ma anche inadeguata antagonista (ovviamente giocoforza e contro la sua stessa volontà), una donna che pensa di agire per il bene del figlio ma che in realtà, come anche il marito sottolinea, non senza un tocco di amaro sarcasmo, ne decreta la lenta e inesorabile morte per inedia. Il soggetto della fame infantile non è mai stato analizzato molto a fondo nel cinema, compreso quello italiano, ma la pellicola di Costanzo (che già aveva diretto la Rohrwacher nel poco convincente adattamento cinematografico de La solitudine dei numeri primi del Premio Strega Paolo Giordano, uscito nel 2010) lo banalizza abbondantemente volendo insistere troppo sulla vena dark e su una cupezza che ricerca sé stessa fino allo sfinimento, ma senza raggiungere punte di tensione drammatica che soddisfino. Al suo attivo ha invece due interpretazioni principali sotto le righe, ma non sottotono: entrambi premiati con la Coppa Volpi a Venezia 2014, Driver e la Rohrwacher imbastiscono un buon lavoro di squadra che valorizza ampiamente la rabbia di lui e la testardaggine coesa e inarrestabile di lei, volti tutti e due al mantenimento e all’allevamento del frugoletto, ma con modi d’agire, pensieri e intenzioni decisamente agli antipodi gli uni rispetto agli altri, come dimostrato dai comportamenti che adottano per un compito positivo, ma che diventa pericoloso e destabilizzante nell’istante stesso in cui una giovanissima vita umana corre rischi inenarrabili. Un po’ in disparte il personaggio della madre di Jude nella prima metà del film (una R. Maxwell che fa della coerenza un elemento fortificante in merito alla sua recitazione tranquilla e ardente), poi più opportunamente rivalutata nel secondo tempo. Per il resto, l’opera è popolata di piccoli personaggi che compaiono con estrema brevità, impiegando i pochissimi minuti in scena per supportare la coppia protagonista, il cui movente (la crescita di un bimbo fuori dal comune) diviene anche l’alibi dei loro atti, generosi e cortesi in apparenza, ma assai più deleteri, autodistruttivi ed egoistici se si scende più in profondità. Insomma, un tema abbastanza originale, ma non compiuto ed eseguito con la creatività e la necessaria tetraggine che meritava, ma può vantare come marcia in più rispetto ad altri thriller drammatici usciti di recente una vena pessimistica neanche tanto velata, che definisce con forza una morale disperata, e anche un ambiente circostante che si muove come fosse una persona fisica, stabilendo una sorta di habitat pensante che condiziona le scelte di due giovani non ancora esperti della vita, che si affacciano ai problemi dell’esistenza adulta acquisendo solo con l’esperienza gli strumenti che occorrono per superare le avversità.
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sabato 16 luglio 2016
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di solito costanzo mi piace ma...
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Mi sono piaciuti altri film di Costanzo e mi è piaciuto anche In treatment, ma questo film ho fatto fatica a guardarlo tutto. Non che lui non sia bravo come regista anche se qui usa un po' troppo lenti deformanti,, non che gli attori non siano bravi (Alba Rohrwacher è sempre brava ma io l'ho preferita in altri ruoli) ma 108 minuti per raccontare una storia che comincia a girare a vuoto dopo la prima visita del bambino dal dottore non sono troppi?! Il messaggio sull'errore di estremizzare le ideologie è ovviamente condivisibile, finale "a sorpresa" ma in realtà facilmente indovinabile - soprattutto chi è stato a sparare - con inutile sottolineatura del sogno premonitore. In compenso, ritengo che una scena di un colpo di fulmine cosi assurda e per questo forse più realistica al cinema non si era mai vista! Quella è la vera perla attorial-registica del film.
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Mi sono piaciuti altri film di Costanzo e mi è piaciuto anche In treatment, ma questo film ho fatto fatica a guardarlo tutto. Non che lui non sia bravo come regista anche se qui usa un po' troppo lenti deformanti,, non che gli attori non siano bravi (Alba Rohrwacher è sempre brava ma io l'ho preferita in altri ruoli) ma 108 minuti per raccontare una storia che comincia a girare a vuoto dopo la prima visita del bambino dal dottore non sono troppi?! Il messaggio sull'errore di estremizzare le ideologie è ovviamente condivisibile, finale "a sorpresa" ma in realtà facilmente indovinabile - soprattutto chi è stato a sparare - con inutile sottolineatura del sogno premonitore. In compenso, ritengo che una scena di un colpo di fulmine cosi assurda e per questo forse più realistica al cinema non si era mai vista! Quella è la vera perla attorial-registica del film.
Ps: nota a latere per chi l'ha visto in originale: ma vi pare possibile che una che lavora nelle ambasciate a New York parli un inglese così brutto?!
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enzo70
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mercoledì 25 maggio 2016
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un film di denuncia contro facili mode
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Costanzo riesce in maniera intelligente ad affrontare il tema del disagio alimentare fomentato dal ricorso alle mode del momentaneo credo ambientalista. E così per una coppia di giovani italiani che vivono a New York si aprono le porte dell’inferno; Mina, la moglie, depressa e vegana, rimane incinta, ma già durante la gravidanza si avvertono i primi segnali di pericolo; si nutre poco, secondo le prescrizioni vegane, o male, secondo le indicazioni mediche. Il bambino nasce denutrito, ma la madre non vuole sentire ragioni e gli vieta carne, pesce e derivati animali. Inizia così un’odissea per la giovane coppia. Il tono del racconto è sempre volutamente angosciante, riflettendo il senso stesso della malattia di Mina.
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Costanzo riesce in maniera intelligente ad affrontare il tema del disagio alimentare fomentato dal ricorso alle mode del momentaneo credo ambientalista. E così per una coppia di giovani italiani che vivono a New York si aprono le porte dell’inferno; Mina, la moglie, depressa e vegana, rimane incinta, ma già durante la gravidanza si avvertono i primi segnali di pericolo; si nutre poco, secondo le prescrizioni vegane, o male, secondo le indicazioni mediche. Il bambino nasce denutrito, ma la madre non vuole sentire ragioni e gli vieta carne, pesce e derivati animali. Inizia così un’odissea per la giovane coppia. Il tono del racconto è sempre volutamente angosciante, riflettendo il senso stesso della malattia di Mina. Hungry hearts è un film di grande attualità e riesce a dare una prospettiva intelligente per inquadrare un fenomeno che sempre più caratterizza la società del consumo, in cui consumo diventa anche la negazione dello stesso, con approcci, come quello vegano, che spesso sono frutto di semplici mode. Il film, come detto, è molto duro e angosciante, scelta consapevole e condivisibile di Costanzo.
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gabriella
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venerdì 7 agosto 2015
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l'amore che non sazia
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Il primo incontro tra Mina e Jude avviene in un angusto e maleodorante bagno di un ristorante cinese, dopodichè gli spazi stretti, asfittici, saranno i loro luoghi abituali.Ambientato in una grigia New York, americano lui, italiana lei, i due ragazzi si innamorano e in seguito a una gravidanza non cercata, si sposano. Dopo il matrimonio avviene una specie di blackout per Mina, che certa di recare in grembo un bambino speciale,cerca in tutti i modi di proteggere il piccolo da qualsiasi forma di contaminazione, cominciando lei stessa ad assumere esclusivamente cibi vegani e somministrarli al figlio una volta nato, compromettendo così la sua crescita.La pulizia e la purezza diventano un'ossessione per MIna tanto che nemmeno il padre lo può avvicinare se prima non si è accuratamente lavato le mani.
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Il primo incontro tra Mina e Jude avviene in un angusto e maleodorante bagno di un ristorante cinese, dopodichè gli spazi stretti, asfittici, saranno i loro luoghi abituali.Ambientato in una grigia New York, americano lui, italiana lei, i due ragazzi si innamorano e in seguito a una gravidanza non cercata, si sposano. Dopo il matrimonio avviene una specie di blackout per Mina, che certa di recare in grembo un bambino speciale,cerca in tutti i modi di proteggere il piccolo da qualsiasi forma di contaminazione, cominciando lei stessa ad assumere esclusivamente cibi vegani e somministrarli al figlio una volta nato, compromettendo così la sua crescita.La pulizia e la purezza diventano un'ossessione per MIna tanto che nemmeno il padre lo può avvicinare se prima non si è accuratamente lavato le mani.Jude, preoccupato della salute del figlio che si rende conto è sottopeso, si rivolge dapprima a un pediatra e poi a sua madre, cercando un assestamento, ma le cose precipitano di giorno in giorno. La casa diventa luogo di rifugio, protettivo ma angosciante, claustrofobico e deformante ( l'uso del fish eye), non si respira, limita i movimenti, territorio dove uno spia l'altro, lo controlla; gli amici sono tagliati fuori ( i messaggi in segreteria), il mondo esterno appare come un pericolo, velenoso e inquinante, uscire per Mina rappresenta una minaccia. Mina non tollera che si alzi la voce, ha un tono pacato e sommesso, ma ha regole ferree per ciò che riguarda l'alimentazione,( perchè non ti fidi di me? chiede al marito) anche se poi si rassegna all'introduzione della carne nella dieta del bambino.La rassegnazione di MIna in realtà si colloca già dal loro primo incontro nel bagno del ristorate, costretta ad aspettare che lui espleti i suoi bisogni perchè impossibilitata a uscire da lì, e gli incontri seguenti nell'appartamento di lui dove si amano con passione, ma lui nello stesso tempo la trattiene ( prova a scappare adesso), e non è solo trasportato dalla passione quando la mette incinta, ma una scelta a senso unico.Mina si sente braccata( il sogno ricorrente del cacciatore), la sua avversione per la carne diventa strumento di difesa, quasi riconducibile al catarismo( Catharus/puro), in cui viene rifiutato qualsiasi cibo originato da un atto sessuale.Chiaramente, una volta instauratosi dinamiche così complesse, si perde il controllo, la sintonia della coppia è irrimediabilmente compromessa, tutto si deforma in un vortice distruttivo che si arresta nel tragico epilogo per poi riconciliarci con la vita e ci accompagna all'uscita dell'incubo nella bellissima immagine finale.Saverio Costanzo, dopo " La solitudine dei numeri primi", si addentra ancora una volta in tematiche intimiste, contraddittorie e di grande sofferenza, difficile non rimanere colpiti da questa storia.Gli interpreti, bravissimi, entrambi perfetti nel ruolo, Alba Rohwacher non è nuova a questi personaggi ( mi piacerebbe vederla in un ruolo comico) e Adam Drive se la cava molto bene, meritatissima la Coppa Volpi a tutti e due.E' un film che merita la visione, che lascia il segno.
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aristoteles
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martedì 28 luglio 2015
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hungry hearts
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Grandiosa l'interpretazione di Alba Rohwacher che sembra una donna veramente disturbata.
Per il resto il film non mi è piaciuto.
E' proprio la trama che non mi ha convinto.
Se una madre non nutre il proprio bambino fino al punto di rischiarne la morte o farlo crescere ,nella migliore delle ipotesi, rachitico, ovviamente un padre "normale" cercherà di porvi rimedio.
Naturalmente , se ognuno mantiene le proprie posizioni,si finirà in tragedia.
Tutto troppo scontato, se poi aggiungiamo inquadrature claustrofobiche ,giusto per aumentare il senso di angoscia, e dialoghi lentissimi , complessivamente il risultato mi sembra appena sufficiente.
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Grandiosa l'interpretazione di Alba Rohwacher che sembra una donna veramente disturbata.
Per il resto il film non mi è piaciuto.
E' proprio la trama che non mi ha convinto.
Se una madre non nutre il proprio bambino fino al punto di rischiarne la morte o farlo crescere ,nella migliore delle ipotesi, rachitico, ovviamente un padre "normale" cercherà di porvi rimedio.
Naturalmente , se ognuno mantiene le proprie posizioni,si finirà in tragedia.
Tutto troppo scontato, se poi aggiungiamo inquadrature claustrofobiche ,giusto per aumentare il senso di angoscia, e dialoghi lentissimi , complessivamente il risultato mi sembra appena sufficiente.
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dani96
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venerdì 12 giugno 2015
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flagellanti urla dalle viscere.
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Puro. Liscio. Salvo. Pallido.
Dramma. Follia. Abbandono. Morte.
Gli spilli del cinema di Saverio Costanzo tornano a trafiggere, dopo il successo de " La solitudine dei numeri primi" (2010, Italia), una nuova pellicola, destinata ad imporsi nella storia del cinema come il manifesto di un incombente culto all'ecologia e al rispetto dell'ambiente, suggellato da un'atmosfera mistica, a tratti inverosimile, che lo allontana da una qualsivoglia tentativo di raccontare le note vibranti della più moderna realtà.
Attingendo ad un complesso libro su un conflitto familiare, " Il bambino indaco " di Marco Frenzoso, Costanzo affronta la storia di una coppia, nata per caso su un serale sfondo newyorkese: Mina, italiana, e Jude, giovane ingegnere americano, si conoscono, si trovano e si sposano, già pronti a dare alla luce il loro primo figlio, un bambino speciale, secondo lei, venuto al mondo con lo scopo di preservare la sua purezza, senza cadere in balìa delle tradizionali abitudini nutritive e del malato ambiente urbano.
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Puro. Liscio. Salvo. Pallido.
Dramma. Follia. Abbandono. Morte.
Gli spilli del cinema di Saverio Costanzo tornano a trafiggere, dopo il successo de " La solitudine dei numeri primi" (2010, Italia), una nuova pellicola, destinata ad imporsi nella storia del cinema come il manifesto di un incombente culto all'ecologia e al rispetto dell'ambiente, suggellato da un'atmosfera mistica, a tratti inverosimile, che lo allontana da una qualsivoglia tentativo di raccontare le note vibranti della più moderna realtà.
Attingendo ad un complesso libro su un conflitto familiare, " Il bambino indaco " di Marco Frenzoso, Costanzo affronta la storia di una coppia, nata per caso su un serale sfondo newyorkese: Mina, italiana, e Jude, giovane ingegnere americano, si conoscono, si trovano e si sposano, già pronti a dare alla luce il loro primo figlio, un bambino speciale, secondo lei, venuto al mondo con lo scopo di preservare la sua purezza, senza cadere in balìa delle tradizionali abitudini nutritive e del malato ambiente urbano.
Abbracciando questo principio, che in tutto sembra esser folle e deleterio, Mina sceglie di crescerlo con pratiche ed alimenti assolutamente estranei alla norma, quali una dieta integralmente vegana ed un contatto quanto più possibile limitato con l'esterno, e finisce per abbandonare sé stessa ad un vortice di angoscia ed ossessione che, ineluttabilmente, destabilizza il rapporto familiare.
Il bambino, infatti, non riesce a mostrare alcun segno di una crescita regolare: comprendendo che in tal modo Mina avrebbe rischiato di mettere a repentaglio la salute del figlio, Jude si oppone alle sue scelte, sostenuto da una presente ed apparentemente inaffidabile madre, e, senza metterne al corrente la moglie, lo fa visitare da un noto medico del luogo, che dimostra e marca la gravità della situazione.
Mina, a questo punto, cede alle richieste del coniuge, ma solo apparentemente, e il "semplice" conflitto ideologico degenera in un'infuocata e sempre più acuta ed irrisolta battaglia tra bene e male, dove una disperata tensione verso la salvezza e una follia senza limiti si schierano, attente.
L'incubo di un'ossessione, che mangia vivi gli uomini: Costanzo pone al centro della sua riflessione la deriva distruttiva del desiderio più primitivo e spontaneo, strutturando il film come un lento logoramento della ragione, fino all'avvento della pura soggettività, impulsiva e terrorizzata dinanzi alla consapevolezza di essere disarmati. In questo senso, la tormentosa spirale di perdizione di Alba Rohrwacher rappresenta un tenue, quasi impercettibile, raggio di luce nell'oscurità di un mondo votato al progresso, alla frenesia, alla negligenza, che balla su un ritmato motivetto di patologie, respirando nient'altro che tossine; la sua convinzione viene, però, esasperata, fino a volerla elevare ad emblema di un disperato ritorno alla natura che uccide e non insegna, di un amore totalizzante per un figlio che va salvato dalla sua quotidianità.
Adam Driver, d'altro canto, è la voce della ragione, l'occhio ben spalancato sulla rovina, pronto, certo, a fare qualsiasi cosa pur di non cedere alla frantumazione familiare, ma in grado anche di tentare il tutto per tutto, in funzione della sopravvivenza del figlio neonato.
Calzanti ed originali sono gli espedienti registici impiegati: la vicenda viene raccontata tramite grandangoli, angosciosi fish-eye e prospettive distorte, con i quali Costanzo riesce, in maniera molto efficace, a far trasparire l'animo del film e a renderlo più pressante che mai in una complessa e soffocante atmosfera ai limiti dell'horror. L'ambientazione, una casa scarsamente accessibile, circondata da reti ed improvvisate recinzioni, supporta il tentativo di costruire una realtà isolata, di estrema pulizia e purezza, in contrasto con l'ambiente caotico ed inquinato della città. La scelta dei vestiti, del trucco e della musica è ridotta al minimo delle potenzialità, per lasciare spazio, invece, ad una larga ispezione psicologica dei personaggi.
Nonostante una carente e fragile sceneggiatura, che fa del racconto di questo tormento un'indagine eccessivamente superficiale delle relativistiche disposizioni mentali dell'essere umano (il personaggio della madre di Jude, scialbo e troppo poco ambiguo per risultare efficace, che sarebbe potuto essere un interessante ‘terzo incomodo’, sembra, piuttosto, un grave errore di scrittura e caratterizzazione), Saverio Costanzo riesce, in questo modo a delineare un percorso verso la vita e la morte, secondo i punti di vista, dando vita ad una singolare, originale ed utopica ricerca della purezza, nella più profonda e labirintica paranoia di "cuori affamati".
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kronos
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domenica 31 maggio 2015
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thriller vegano
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Tratto da un romanzo italiano sapientemente riambientato in una fredda e apolide New York, "Hungry hearts" è non solo un bel melodramma-thriller, intriso d'ispirate atmosfere polanskiane, ma è anche un film cucito su misura sulle derive salutistiche e alimentari che ossessionano un crescente numero di cittadini occidentali.
Una sorta di thriller vegano che sul confine del paradosso (ma neanche troppo) inquieta e induce alla riflessione.
I due attori protagonisti hanno le caratteristiche fisiognomiche e interpretative giuste per comunicare agli spettatori il disagio dei personaggi, anche se Alba Rohrwacher si doppia da sè con esiti incerti.
VOTO FINALE: Tre stelline e mezzo
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stuntman bob
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venerdì 29 maggio 2015
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contemporary horror
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Ottimo film dell'orrore. Claustrofobico sia visivamente che concettualmente. Ansiogeno nell'utilizzo audio del traffico. Notevole la bruttezza dei personaggi (bambino compreso).
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ralphscott
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giovedì 23 aprile 2015
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il sogno del cervo
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Tre bravi attori reggono un opera di rigorosa essenzialità,a volte spinta all'eccesso come nella scena della festa di matrimonio. La coppia si conosce in una buffa situazione al ristorante cinese,ma ben presto l'instabile,suggestionabile,anoressica Mina ci fa pensare che il grande passo sia stato un grande azzardo. Il dramma sfuma nel thriller,la tensione cresce con la presa di coscenza di Jude (l'ottimo Driver) che tenterà il ratto del bimbo e la fuga. Anche la madre fugge,o vorrebbe farlo:bellissima é la sequenza in cui viene braccata nella grande villa di famiglia del marito. Qui teste impagliate appese ai muri come trofei mineranno ancor più il precario equilibrio della donna.
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Tre bravi attori reggono un opera di rigorosa essenzialità,a volte spinta all'eccesso come nella scena della festa di matrimonio. La coppia si conosce in una buffa situazione al ristorante cinese,ma ben presto l'instabile,suggestionabile,anoressica Mina ci fa pensare che il grande passo sia stato un grande azzardo. Il dramma sfuma nel thriller,la tensione cresce con la presa di coscenza di Jude (l'ottimo Driver) che tenterà il ratto del bimbo e la fuga. Anche la madre fugge,o vorrebbe farlo:bellissima é la sequenza in cui viene braccata nella grande villa di famiglia del marito. Qui teste impagliate appese ai muri come trofei mineranno ancor più il precario equilibrio della donna. Il finale ci regala un suggestivo tramonto su quelche resta della famiglia
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