silver90
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martedì 14 aprile 2020
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corpo, voce e performance
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Una voce straordinaria, capace di raggiungere vette inimmaginabili, in un corpo troppo piccolo per contenerla, e un nome, che legato a quello della Francia li avrebbe portati molto in alto insieme: questa era Edith Giovanna Gassion, al secolo Edith Piaf, secondo il personale ritratto che ne fa il regista Oliver Dahan. La voce calda gliela diede il cielo, a lei figlia disgraziata di un’artista incompresa e di un contorsionista ubriaco, costretta a vivere in continue ristrettezze economiche e a fronteggiare le miserie dell’esistenza sin dalla più tenera età. Il nome Piaf, “uccellino”, le fu imposto invece dall’impresario Louis Lepleé quando la strappò dalla strada e la portò ad esibirsi nel suo locale, creando il personaggio della Mome.
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Una voce straordinaria, capace di raggiungere vette inimmaginabili, in un corpo troppo piccolo per contenerla, e un nome, che legato a quello della Francia li avrebbe portati molto in alto insieme: questa era Edith Giovanna Gassion, al secolo Edith Piaf, secondo il personale ritratto che ne fa il regista Oliver Dahan. La voce calda gliela diede il cielo, a lei figlia disgraziata di un’artista incompresa e di un contorsionista ubriaco, costretta a vivere in continue ristrettezze economiche e a fronteggiare le miserie dell’esistenza sin dalla più tenera età. Il nome Piaf, “uccellino”, le fu imposto invece dall’impresario Louis Lepleé quando la strappò dalla strada e la portò ad esibirsi nel suo locale, creando il personaggio della Mome. Da quel momento, quell’uccellino minuto, fragile e incredibilmente forte avrebbe spiccato il volo verso la fama e il successo, e mai avrebbe rimesso piede sulla terra, trascorrendo gli anni a venire a pencolo sui drammi di un’esistenza tormentata. Sarebbe morta di polio a 48 anni, dimostrandone almeno venti di più, consumata dalla droga e dagli eccessi... In Francia, è risaputo, amano soffrire, ed è per questo che non deve meravigliare che una figura come quella di Edith Piaf, artista brava quanto sfortunata, continui a suscitare in patria profondo interesse e sincera commozione, al punto da aver ricevuto già due adattamenti cinematografici. La vita di Edith Piaf non fu affatto una lunga “vita in rosa”, come avrebbero meritato il suo enorme talento e lo spessore delle sue esibizioni canore – seppure spesso sostenute da una buona dose di morfina – quanto piuttosto una continua altalena fra alti e bassi, grandi gioie e immensi dolori, discese a rotta di collo e faticose risalite. Quello di Dahan non è l’ultimo film biopic, memorialistico e celebrativo, sulla grande cantante, e non diversamente dagli altri, rappresenta l’ennesimo tributo dei francesi ad un mito nazionale e ad un’artista dal valore universale. Suggestionato dal contrasto stridente fra le precarie condizioni fisiche e le possibilità espressive della sua voce, Olivier Dahan non si è limitato a descriverne la storia, cercando di cogliere, un passaggio dopo l’altro e una sfaccettatura dopo l’altra, i diversi aspetti della personalità della Piaf: dall’infanzia serena presso il bordello della nonna paterna, circondata dall’affetto della prostituta Titine, a quella poverissima con il padre girovago; dall’adolescenza “borderline” vissuta con l’amica fraterna Momone chiedendo l’elemosina sui marciapiedi parigini, sino alla lenta consacrazione sui palcoscenici di tutto il mondo. Proprio come in un lungo vagheggiamento, la regia di Dahan opera una selezione di immagini e contenuti, soffermandosi sulla breve ma intensa storia d’amore con Marcel Cerdan, pugile campione del mondo con cui la Piaf ebbe una relazione dal 1948 al 1949, e sulla fragilità esteriore e interiore dell’artista. Il film pretende di affrontare tutti gli eventi della sua vita, o almeno i più significativi, quelli che, uniti in un rapporto di causa-effetto, contribuirono a determinare la fisionomia del personaggio Piaf e l’eccezionalità della sua vicenda umana. In accordo con la patina melodrammatica e un po’ stucchevole che avvolge il film sin dalle prime scene, c’è spazio anche per raccontare la malattia che stava per renderla cieca all’età di otto anni, per la perdita di una figlia ancora in età infantile e per una serie di drammi funzionali a ricreare un’atmosfera malinconica e fortemente rievocativa. Per lo stesso motivo, si preferisce invece sorvolare sulle vicende storiche del periodo, agitato dalle due Grandi Guerre e dalle tempeste economiche, e l’adozione di un punto di vista focalizzato sulla vita della protagonista non si traduce mai in un’analisi storica e sociale, se non intravista di scorcio. L'unico possibile riferimento alla Storia resta l’incontro con l’altra grande diva dell’epoca, Marlene Dietrich, risolto con una stretta di mano intensa e piena di significato in un teatro newyorkese. All’intento francesizzante con cui Dahan ha diretto l’interpretazione accorata di Clotilde Coreau nei panni della madre della cantante o ha dato spazio a un pieno Gérard Depardieu nel ruolo dell’impresario Lepleé, va aggiunto un montaggio anomalo e a tratti confusionario che si sforza di seguire i picchi emotivi della protagonista e in cui l’ordine degli eventi non segue quello temporale, pur se ogni passaggio è la diretta conseguenza di quello precedente e la premessa di quello successivo. D’altra parte, se “Le vie en rose” è il capolavoro che ci aspetteremmo, gran parte del merito va a Marion Cotillard, attrice francese finora sconosciuta al grande pubblico, che è riuscita nel compito arduo di imitare alla perfezione la voce non certo suadente, e anzi sgradevole, della Piaf quotidiana, e a ricalcarne le movenze caratteristiche e le espressioni del volto, penetrando nell’intimo del personaggio e illudendoci di essere “realmente” la grande cantante. L’esibizione finale sulle note dolenti di “Je regrette rien” somiglia ad un ideale passaggio di consegne per la Cotillard, la cui luminosa bravura nell’interpretare il ruolo di una vita conferma quello che tutti, vedendo questo film, hanno capito: è per artiste come lei, e come Edith Piaf, che amare l’arte ha ancora senso.
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luca scial�
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giovedì 15 maggio 2014
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degno omaggio a una grande artista
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Edith nasce in una famiglia povera nella piccola cittadina di Grasse. Il padre lavora nel circo come contorsionista, mentre la madre fa la cantante di strada con scarsi successi. Si curano poco di loro, al punto che il padre la porta in una casa di tolleranza, dove sarà allevata da alcune prostitute. Poi se la riprende, per portarla in giro con sé e qui inizia a cantare per strada. Da ragazzina, a Montmatre, viene scoperta da un impresario che la avvia al mondo dello spettacolo e le daì il nome d'arte Piaf (passerotto in dialetto parigino, per il suo aspetto gracilino). Di qui la sua vita sarà un continuo sali-scendi, tra successi ed eccessi, ma anche tanta sfortuna, che la porteranno all'abuso di alcool e droghe e a una morte prematura.
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Edith nasce in una famiglia povera nella piccola cittadina di Grasse. Il padre lavora nel circo come contorsionista, mentre la madre fa la cantante di strada con scarsi successi. Si curano poco di loro, al punto che il padre la porta in una casa di tolleranza, dove sarà allevata da alcune prostitute. Poi se la riprende, per portarla in giro con sé e qui inizia a cantare per strada. Da ragazzina, a Montmatre, viene scoperta da un impresario che la avvia al mondo dello spettacolo e le daì il nome d'arte Piaf (passerotto in dialetto parigino, per il suo aspetto gracilino). Di qui la sua vita sarà un continuo sali-scendi, tra successi ed eccessi, ma anche tanta sfortuna, che la porteranno all'abuso di alcool e droghe e a una morte prematura. Specie per la morte di Michelle, pugile nordafricano che le aveva fatto finalmente trovare l'amore.
Quarto film per Olivier Dahan su una grande cantante, dalla voce unica e inimitabile, ora dolce, ora aggressiva. La vita di Edith Piaf è stata complicata fin da subito e anche quando ha raggiunto il successo, non è stata mai felice. La scelta registica è quella del continuo alternarsi di presente e passato, che si mischiano sapientemente tra un palcoscenico e un camerino, una sfortuna e un successo. Il ruolo della Piaf è affidato a Marion Cotillard, bravissima nelle mimiche facciali e nella postura tipica della cantante. A partire dall'età giovanile fino agli ultimi anni deteriorati dalla malattia al fegato. Commovente, ci mostra la vita della Piaf al di là della Vie en Rose. Ma lei Ne regrette rien...
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liuk!
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martedì 2 aprile 2013
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scelta narrativa scellerata
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Difficilmente la biografia di Edith Piaf sarebbe potuta essere raccontata peggio di cosí, con scelte di tempo e di fatti veramente pessime. La narrazione va avanti e indietro nel tempo con flashback e flashforward continui e senza apparente logica. Viene il mal di mare, ma soprattutto non si riesce ad entrare nell'atmosfera e non si viene coinvolti da un personaggio che invece ha avuto una vita travagliatissima e che avrebbe potuto essere delineato molto meglio in modo da risultare molto piú interessante. Anche la musica é limitata a poche strofe a casaccio, La Vie En Rose praticamente non c'é!
Si salva la Cotillard, la cui prova é molto buona, aiutata da un trucco eccellente, l'unico vero spunto da Oscar.
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Difficilmente la biografia di Edith Piaf sarebbe potuta essere raccontata peggio di cosí, con scelte di tempo e di fatti veramente pessime. La narrazione va avanti e indietro nel tempo con flashback e flashforward continui e senza apparente logica. Viene il mal di mare, ma soprattutto non si riesce ad entrare nell'atmosfera e non si viene coinvolti da un personaggio che invece ha avuto una vita travagliatissima e che avrebbe potuto essere delineato molto meglio in modo da risultare molto piú interessante. Anche la musica é limitata a poche strofe a casaccio, La Vie En Rose praticamente non c'é!
Si salva la Cotillard, la cui prova é molto buona, aiutata da un trucco eccellente, l'unico vero spunto da Oscar.
Nel complesso la pellicola risulta insufficiente e non mi sento di consigliarne la visione.
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kondor17
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sabato 15 settembre 2012
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bello ma con riserva
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oscar a Marion Cotillard, strameritato
arrivo a questo film tardi, seguendo le "tracce" della Cotillard (Un'ottima annata, Una lunga domenica di passioni, Inception, ecc.), ma a dir la verità sono rimasto un pò deluso, non tanto per la musica in sè della Piaf, quanto per la lentezza ed i buchi della sceneggiatura che lo rendono spesso noioso e macchinoso, ma soprattutto per la inutile melodrammaticità usata dall'autore (e regista, accentuando eccessivamente sulle disgrazie di questa persona (alcolismo droga malattie perdite ecc.) e sorvolando invece grossolanamente sull'aspetto umano e poetico che hanno fatto di questa donna una delle più grandi interpreti ed artiste del 20° secolo. Bello a metà.
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oscar a Marion Cotillard, strameritato
arrivo a questo film tardi, seguendo le "tracce" della Cotillard (Un'ottima annata, Una lunga domenica di passioni, Inception, ecc.), ma a dir la verità sono rimasto un pò deluso, non tanto per la musica in sè della Piaf, quanto per la lentezza ed i buchi della sceneggiatura che lo rendono spesso noioso e macchinoso, ma soprattutto per la inutile melodrammaticità usata dall'autore (e regista, accentuando eccessivamente sulle disgrazie di questa persona (alcolismo droga malattie perdite ecc.) e sorvolando invece grossolanamente sull'aspetto umano e poetico che hanno fatto di questa donna una delle più grandi interpreti ed artiste del 20° secolo. Bello a metà. Che forse fosse già dall'inizio previsto un sequel per esprimere il lato bello di Edith? Monco.
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riccardo-87
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martedì 15 giugno 2010
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la scintilla di vita nel cuore di edith piaf
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Oliver Dahan mette qui in scena una delle vite più tormentate e al contempo più intense della storia della musica: la vita di Edith Piaf. La cantante francese è ritratta in maniera estremamente suggestiva in questo film che, facendo anche largo uso della tecnica del flashback, prende in esame la sua vita per intero, dall’età di cinque anni sino alla sua morte, mostrando il percorso che porta Edith a cantare “non, je ne regrette rien”. Il registra mostra quindi tutte le angosce e le gioie che costellarono la vita della cantante, dal periodo della sua infanzia vissuto in un bordello, alla morte del figlio, ai primi successi e all’incontro con Cerdan sino alla morte di lui, e il periodo ultimo della sua vita, le sue depressioni ma anche la sua forza di reagire e di ritornare infine sul palco.
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Oliver Dahan mette qui in scena una delle vite più tormentate e al contempo più intense della storia della musica: la vita di Edith Piaf. La cantante francese è ritratta in maniera estremamente suggestiva in questo film che, facendo anche largo uso della tecnica del flashback, prende in esame la sua vita per intero, dall’età di cinque anni sino alla sua morte, mostrando il percorso che porta Edith a cantare “non, je ne regrette rien”. Il registra mostra quindi tutte le angosce e le gioie che costellarono la vita della cantante, dal periodo della sua infanzia vissuto in un bordello, alla morte del figlio, ai primi successi e all’incontro con Cerdan sino alla morte di lui, e il periodo ultimo della sua vita, le sue depressioni ma anche la sua forza di reagire e di ritornare infine sul palco. La vita della cantante, come si dice bene nella critica, non è tuttavia descritta in maniera “didascalica” ma “libera”, e questo permette allo spettatore di cogliere la tragicità degli eventi ma anche la vitalità di lei, la forza che esprime sempre nel cantare e il suo amore per la vita– si pensi all’intervista sulla spiaggia, quando le viene chiesto “che consiglio darebbe a una donna? E a una ragazza? E a un bambino?” a cui lei risponde sempre “ama”-. Inoltre lo spettatore ha il piacere di riascoltare tutte le canzoni più famose di una cantante che a definirla unica pare già di sminuirla, da “milord” a “la vie en rose” sino a “non, je ne regrette rien”. Con questo film lo spettatore riesce davvero a “viaggiare” e a “sentirsi nuovamente a Parigi”, meriti riconosciuti a Piaf dopo che nel film ha cantato “la vie en rose”; come era riuscito a fare Milos Forman in “Amadeus”, nel film di Oliver Dahan si riesce a comprendere il motivi per cui Edith riesce a cantare alcune canzoni con tale forza espressiva, motivo innervato nel fatto che esse sono parte della sua vita stessa - “sì, questa è proprio la mia vita!” esclama “il passerotto” dopo aver sentito per la prima volta “je ne regrette rien”; e non diverso è per “la vie en rose”, composta per colui che più di tutto ha significato per lei: “se tu morissi” scrive la cantante rivolta all’amato Cerdan, “non mi chiederei neppure se ti amo o no, perché sarei già morta io stessa”-. Insomma negli occhi della Edith Piaf di Dahan (magistralmente interpretata da Marion Cotillard), si riesce a vedere quella scintilla vitale che la cantante ha indubbiamente portato nel suo cuore lungo la sua tormentata esistenza, scintilla che, una volta esternata, non può non commuovere lo spettatore, perché è proprio questa che ci rende umani nel senso più spettacoloso di questo termine, che risveglia in noi le emozioni, le passioni e i sentimenti, che ci ricorda il senso più profondo del nostro vivere e del nostro sperare.
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-ary-
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domenica 29 novembre 2009
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la scena finale!!!
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il film è meraviglioso, ma la pecca è che hanno fatto un intreccio un po' complicato.
Marion Cotillard se lo è meritato il premio oscar.
La scena migliore: quella finale!
Cosa si può dire di più!
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lost876
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venerdì 31 luglio 2009
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emozionante!!
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Il fil vanta di una grande storia, di una grande protagonista e di una musica spettacolare.Il tutto risulta essere a dir poco meraviglioso per non parlare poi della splendida performance da Oscar della grande Marion Cotillard che rende il film unico nel suo genere, anche se a volte devo ammettere è un pò difficile da seguire, ma a parte questo è bellismo...questo si che si può definire vero cinema!!!!
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gigi87
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domenica 22 febbraio 2009
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stupendo!
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E' un vero peccato che il pubblico non abbia scoperto questo film, il quale lo reputo uno dei migliori usciti nel 2007.....Stupendo! Mille emozioni!!!! Mi ritengo fortunato di essermi distinto dalla massa e averlo visto....Meritatissimo l'Oscar a Marion Cotillard!!!!!
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paola
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venerdì 31 ottobre 2008
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proprio un passerotto!
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un ritratto tenero e pieno di umanità, espresso con grande sensibilità. Mi sono piaciuti i passaggi temporali dal passato a presente e viceversa, apparentemente buttati lì quasi per caso, ma legati da sotttili ma importanti fili di quest'esistenza fragile e attraversata da diversi eventi anche infausti.
Bravissima la Cottillard, anche nella sua trasfigurazione fisica, nelle movenze, negli atteggiamenti, anche in quel suo imitare alla perfezione la lingua che si muove in un acuto, proprio come chi canta davvero. Brava in quegli sguardi malinconici ed anche un po' ingenui, ma sempre veri e spontanei, come immagino avesse la Piaf.
Belle le ambientazioni e le luci.
La voce: elemento importante del film.
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un ritratto tenero e pieno di umanità, espresso con grande sensibilità. Mi sono piaciuti i passaggi temporali dal passato a presente e viceversa, apparentemente buttati lì quasi per caso, ma legati da sotttili ma importanti fili di quest'esistenza fragile e attraversata da diversi eventi anche infausti.
Bravissima la Cottillard, anche nella sua trasfigurazione fisica, nelle movenze, negli atteggiamenti, anche in quel suo imitare alla perfezione la lingua che si muove in un acuto, proprio come chi canta davvero. Brava in quegli sguardi malinconici ed anche un po' ingenui, ma sempre veri e spontanei, come immagino avesse la Piaf.
Belle le ambientazioni e le luci.
La voce: elemento importante del film... Ma che bella quella scena in cui lei canta ed invece di sentire le sue splendite intonazioni l'attenzione è per i gesti, per la mimica del viso, che finalmente Edith impara ad esprimere..come se il passerotto avesse imparato a volare davvero!
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