guidobaldo maria riccardelli
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mercoledì 8 giugno 2016
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la faticosa ricerca di un terreno comune
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Strutturato similmente al precedente "71 Fragmente einer Chronologie des Zufalls", ne ribalta però l'andamento, partendo da quella che nel suddetto rappresentava l'epilogo, mentre nel nostro si configura come scintilla iniziatoria. Pura similitudine formale, in quanto le tematiche qui affrontate appaiono differenti, in un approccio filosoficamente meno sottile ma permeato da un senso pragmatico più sviluppato: maggiormente sociale ed interattivo, questo "Code Inconnu" (sulla traduzione del titolo torneremo a breve) si pone come opera volta a restituire, con proficua narrazione annessa, un disagio percepibile, un malessere generale dato da un'incomunicabilità di fondo, certamente non causata da difficoltà di tipo immediato o linguistico, ma ben più radicata in visioni del mondo differenti.
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Strutturato similmente al precedente "71 Fragmente einer Chronologie des Zufalls", ne ribalta però l'andamento, partendo da quella che nel suddetto rappresentava l'epilogo, mentre nel nostro si configura come scintilla iniziatoria. Pura similitudine formale, in quanto le tematiche qui affrontate appaiono differenti, in un approccio filosoficamente meno sottile ma permeato da un senso pragmatico più sviluppato: maggiormente sociale ed interattivo, questo "Code Inconnu" (sulla traduzione del titolo torneremo a breve) si pone come opera volta a restituire, con proficua narrazione annessa, un disagio percepibile, un malessere generale dato da un'incomunicabilità di fondo, certamente non causata da difficoltà di tipo immediato o linguistico, ma ben più radicata in visioni del mondo differenti.
Dicevamo della traduzione: l'uso di "Storie" pare, più che fuorviante, poco adeso al sentimento col quale Haneke ricopre la propria pellicola, venendo a perdere la connotazione originale del lavoro, palesemente orientata ad un desiderio di mettere in luce tutte quelle rigidità di rapporti presenti nelle dinamiche interpersonali.
Abbiamo dunque un fortuito scontro iniziale che si va a configurare come brillante espediente narrativo per una presentazione, dinamica, dei personaggi: volutamente vaga, funge essenzialmente da nastro di partenza per le azioni dei nostri, fisicamente, e solo questo, vicini.
Di estrazione differente, condivideranno però una fondamentale difficoltà di approccio all'altro, causata da impedimenti di natura diversa. Non troveranno appoggi credibili, disegnando una traiettoria quasi circolare nell'andamento delle vicende.
Di ottimo livello, come ampiamente preventivabile, la riflessione metacinematografica, volta ad una presentazione ed un disvelamento senza remore alcune di tutte quelle logiche, di quelle finzioni sceniche proprie del mezzo.
In sintesi trattasi di opera importante, ben recitata, specie da un'ispirata Juliette Binoche, permeata da quella spinta ad un percorso ermeneutico a cui Haneke ha sempre guardato con estrema attenzione.
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francesco picerno
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sabato 10 novembre 2001
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la nemesi del piano sequenza
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Il cinema di Michael Haneke è indubbiamente personalissimo. "Storie", il suo
penultimo film, ne è la dimostrazione.
Un film fatto a blocchi, interrotti bruscamente e tagliati da un breve
sfondo nero, ancor più comunicativo di quello che si potrebbe pensare.
Blocchi in cui il movimento di macchina e usato con rigorosità, preferendo
evitare stacchi di inquadratura, eccezione fatta per "il film nel film" che
la Binoche sta girando. I piani sequenza migliori indubbiamente sono quello
iniziale per la strada con il litigio tra il nero e il giovane ragazzo,
quello altrettanto valido nel locale in cui due gruppi di persone sono
sedute al tavolo e quello famoso nella metropolitana.
Lo stile di Haneke è fatto di questo, di macchina fissa, di uso del fuori
campo; e riesce a completarsi efficacemente n questo insieme di storie
legate appunto da un codice sconosciuto.
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Il cinema di Michael Haneke è indubbiamente personalissimo. "Storie", il suo
penultimo film, ne è la dimostrazione.
Un film fatto a blocchi, interrotti bruscamente e tagliati da un breve
sfondo nero, ancor più comunicativo di quello che si potrebbe pensare.
Blocchi in cui il movimento di macchina e usato con rigorosità, preferendo
evitare stacchi di inquadratura, eccezione fatta per "il film nel film" che
la Binoche sta girando. I piani sequenza migliori indubbiamente sono quello
iniziale per la strada con il litigio tra il nero e il giovane ragazzo,
quello altrettanto valido nel locale in cui due gruppi di persone sono
sedute al tavolo e quello famoso nella metropolitana.
Lo stile di Haneke è fatto di questo, di macchina fissa, di uso del fuori
campo; e riesce a completarsi efficacemente n questo insieme di storie
legate appunto da un codice sconosciuto. Il codice del linguaggio , così
diverso, che unisce i protagonisti: da quello per muti, al maghrebino fino
al francese.
In realtà l'unico codice conosciuto è quello del regista, che racconta una
serie di storie permeate di attualità (vedi i riferimenti al Kosovo e a
Kabul), con uno stile rigoroso che non concede nulla alla retorica e si
chiude con i soliti bambini sordo muti che tentano invano , anch'essi, di
dare un senso, un "codice" a questa serie di immagini parallele.
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phab d joypad
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lunedì 23 aprile 2001
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film intelligente per persone intelligenti....
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Scelta non facile quella di utilizzare per ogni scena un solo piano sequenza (in carrellata, in avvicinamento o allontanamento o lateralmente, con steady-cam o senza....) ma e' quello che ha voluto fare il regista di questo strano e interessante film. Cosa c'e'? Si ha forse paura di non farcela a *sopportare* un po' di racconto non invasivo? senza giravolte astruse di M.D.P. impazzite ke ruotano attorno ai protagonisti senza alcun senso logico o cinematografico? questo e' 1 film ke osserva cose ke accadono. cose ke si raccontano da sole. difficile. non x tutti. non x ki ama i polpettononi amerikani, ultima stronz.ta p.esem. THE MEXICAN. non andate a vedere STORIE se non amate il cinema. evviva STORIE non xke' sia il piu' bel film dell'anno ma xke' e' un buon film.
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Scelta non facile quella di utilizzare per ogni scena un solo piano sequenza (in carrellata, in avvicinamento o allontanamento o lateralmente, con steady-cam o senza....) ma e' quello che ha voluto fare il regista di questo strano e interessante film. Cosa c'e'? Si ha forse paura di non farcela a *sopportare* un po' di racconto non invasivo? senza giravolte astruse di M.D.P. impazzite ke ruotano attorno ai protagonisti senza alcun senso logico o cinematografico? questo e' 1 film ke osserva cose ke accadono. cose ke si raccontano da sole. difficile. non x tutti. non x ki ama i polpettononi amerikani, ultima stronz.ta p.esem. THE MEXICAN. non andate a vedere STORIE se non amate il cinema. evviva STORIE non xke' sia il piu' bel film dell'anno ma xke' e' un buon film. ke in questo xiodo, non e' poca cosa.....
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