alby84
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venerdì 25 marzo 2011
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un bel film
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Un film che fa riflettere, da vedere nei momenti in cui ci si dispera per le sciocchezze, in modo da rendersi conto che i problemi della vita son veramente altri di fronte alla salute che viene meno.
Un viaggio tra la vita e morte accompagnato dalla lettura della poesia.
Consigliato!!!
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marco14
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lunedì 7 marzo 2011
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attenti alle sfide
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Una grande Emma Thompson per un bel film; lei è una insegnante universitaria specializzata nella poesia inglese del XVII secolo. ed in particolare nelle poesie sulla morte di John Donne. Scopre a quasi cinquant'anni di avere un cancro in fase avanzata, e trova sulla sua strada il classico medico che le propone una chemioterapia "estrema".Il carattere "sfidante" di lei la porta ad accettare senza tanti approfondimenti la terapia, incontrando effetti collaterali devastanti, in un ambiente medico disumano.
Durante questa terapia ripercorre le fasi importanti della sua vita: il rapporto con il padre, distaccato e sfidante anche lui, il rapporto con la professoressa che l'ha seguita nella tesi su Donne, che mostra la possibilità di unire alla profondità della ricerca razionale la valorizzazione delle emozioni, suggerendo alla stessa Thompson di aprirsi alla vita.
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Una grande Emma Thompson per un bel film; lei è una insegnante universitaria specializzata nella poesia inglese del XVII secolo. ed in particolare nelle poesie sulla morte di John Donne. Scopre a quasi cinquant'anni di avere un cancro in fase avanzata, e trova sulla sua strada il classico medico che le propone una chemioterapia "estrema".Il carattere "sfidante" di lei la porta ad accettare senza tanti approfondimenti la terapia, incontrando effetti collaterali devastanti, in un ambiente medico disumano.
Durante questa terapia ripercorre le fasi importanti della sua vita: il rapporto con il padre, distaccato e sfidante anche lui, il rapporto con la professoressa che l'ha seguita nella tesi su Donne, che mostra la possibilità di unire alla profondità della ricerca razionale la valorizzazione delle emozioni, suggerendo alla stessa Thompson di aprirsi alla vita. Il suggerimento viene accettato solo per una osservazione di alcuni studenti seduti in un prato a parlare, ma poi è la ragione sola che vince, e la bilbiioteca , e poi l'aula dell'università il solo teatro dove gioca la propria vita. Ma sul letto di un ospedale, al di là del grande lavoro che continua a fare la sua mente, e la profondità chirurgica con la quale la Thompson viviseziona la assenza di rispetto e di umanità nella classe medica, si instaura un bel rapporto umano con la capo-infermiera, l'unica del team assistenziale capace di strappare qualche emozione al cuore "congelato" della Thompson. E infine un abbraccio materno e avvolgente della professoressa, ormai bisnonna, che aveva capito molto di lei, e con la quale ritrova la pace abbandonando, finalmente, la sfida.
Una denuncia della disumanità di larga parte dell'ambiente medico, la possibilità comunque di rapporti ricchi e profondi, la stoltezza del mondo di questi ultimi decenni di voler negare la morte. Un bel film.
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rongiu
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domenica 31 ottobre 2010
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vorrei tu fossi qui.
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I wish you were here – Vorrei tu fossi qui
Per favore, lettore, ferma il “Tuo” tempo. Riappropriati della “Tua” integralità. Regalati un sapore, un “antico sapore”. Il sonetto, che stai per leggere, se vuoi, è datato 1633. Merita una lettura sincera e la totale adesione dello spirito. E’ il viatico per un viaggio “senza fine”, “senza tappe intermedie,” “senza terminal.”E’ un viaggio tra le parole, nelle parole, con le parole. Illusorio e tangibile, crudele e pietoso, calmo e inquieto.
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I wish you were here – Vorrei tu fossi qui
Per favore, lettore, ferma il “Tuo” tempo. Riappropriati della “Tua” integralità. Regalati un sapore, un “antico sapore”. Il sonetto, che stai per leggere, se vuoi, è datato 1633. Merita una lettura sincera e la totale adesione dello spirito. E’ il viatico per un viaggio “senza fine”, “senza tappe intermedie,” “senza terminal.”E’ un viaggio tra le parole, nelle parole, con le parole. Illusorio e tangibile, crudele e pietoso, calmo e inquieto. Il viaggio di un uomo “pensante”.
Scritto da John Donne nel 1633 è il compendio, perfetto, del lavoro di Mike Nichols, regista del film.
Morte, non essere fiera, sebbene alcuni ti abbiano chiamata
potente e terribile, perché tu non lo sei;
poiché coloro che tu pensi di sconfiggere,
non muoiono, povera morte, ne tu mi puoi uccidere.
Dal riposo e dal sonno, che non sono altro che tue immagini,
(viene tratto) molto piacere, quindi da te un piacere molto maggiore si deve trarre,
e più in fretta i nostri miglior uomini se ne vanno con te,
riposo per le loro ossa e liberazione dell’anima.
Tu sei schiava del destino, del caso, dei re, e degli uomini disperati,
e convivi con il veleno, la guerra e la malattia,
e il papavero o gli incantesimi ci fanno dormire altrettanto
e meglio del tuo colpo; allora perché ti gonfi?
Dopo un breve sonno, ci svegliamo per l’eternità,
e la morte non esisterà più; Morte, tu morirai.
Breve e sinossi.
La professoressa Vivian Bearing (Emma Thompson), vive “NEL” proprio corpo, un’esperienza non facile. Chi è, Vivian Bearing. Laureata in filosofia, è una grande esperta di letteratura inglese, ricercatrice e profonda conoscitrice delle opere del poeta inglese, John Donne.
A seguito di alcuni malori, la professoressa si sottopone a test clinici. Il Dr. Kelekian (Christopher Lloyd) durante un colloquio la informa sui risultati di tali test. La diagnosi è infausta: : “...lei ha un cancro metastatico alle ovaie in stadio avanzato...un insidioso adenocarcinoma”; Da questo “colloquio”, (4 minuti circa) scaturisce una decisione che avrà tutta una serie di conseguenze.
Considerazioni personali.
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Il linguaggio scientifico non è comprensibile ed accessibile a tutti. Costa fatica tradurlo al paziente in termini semplici senza per questo intaccarne il significato, la semantica?
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E’ vero, la paziente è preparatissima. Ma sarà in grado, di comprendere tutto, cioè di decodificare?
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C’è un cambiamento culturale durante il trattamento terapeutico?
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In un colloquio informativo, qual è la parte debole?
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Comunicare deriva dal latino comunico e significa “condividere”, dividere con.
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Per il Dr. Kelekian ed il Dr. Jason (Jonathan M. Woodward) cosa è da ritenersi “normale” in un trattamento oncologico?
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La malattia oncologica ha diverse tappe. I disturbi sono proporzionati a queste tappe. Quante persone, mi riferisco al personale, hanno questa consapevolezza?
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Qual è il ruolo di Susie, (Audra McDonald) è solo una infermiera ho riesce anche in qualche cosa “di importantissimo” ?
Guardando il film, molti spettatori, potranno “de visu” rendersi conto delle dinamiche relazionali createsi. Le persone, tutte, non riescono da sole a gestire il disagio emotivo e relazionale. Anche le persone “forti” di fronte ad una diagnosi certa o incerta, vacillano paurosamente. E’ di vitale importanza, credo, la gestione ottimale delle sofferenze emotive. Ed ancora, il problema non coinvolge soltanto il paziente, ci sono anche i familiari da “tutelare”. Ed aggiungerei tutte il personale che lavora a contatto con questi “casi”.
Sembra proprio, tra l’altro, che in medicina l’aspetto strumentale stia pian pianino sostituendo quello personale. Il tendere verso il paziente non deve essere un sogno, ma la norma. Chi scrive ha pagato sulla propria pelle la non condivisione. Non esiste la malattia di tipo “A” o di tipo “B”. Esiste il malato, nella sua globalità. A quanti pensano di essere motivati ad intraprendere gli studi medici, consiglio la lettura di questo passo del maestro taoista, Chuang-tzu.
Essendo anche abile pittore, aveva ricevuto dall’imperatore l’incarico di dipingere nel palazzo reale un grande granchio. Egli chiese cinque anni di tempo che, però, non bastarono: anzi, il dipinto non fu neppure iniziato. Richiese altri cinque anni, terminati i quali, il sovrano del Celeste Impero si presentò e, con orrore, trovò la parete ancora desolatamente vuota. Ma in quello stesso momento Chuang-tzu “prese un pennello e, senza mai staccare la mano, disegnò il più perfetto granchio che si sia mai visto sulla faccia della terra.”
Good Ciak!
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-ary-
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sabato 11 luglio 2009
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un po' pessimista
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è un ottimo film, ben fatto e recitato, ma forse è un po' troppo pessimista. Lo sconsiglio a tutti coloro che hanno paura di avere un cancro.
Purtroppo metto 3 stelle perchè non mi è piaciuto particolarmente.
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pino
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martedì 30 dicembre 2008
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illuminante
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Bellissimo, nella sua drammatica rappresentazione. Ho 51 anni, sposato, con figlie, e mi capita raramente di piangere durante la visione di un film: oggi, però, non riuscivo a smettere di farlo, soprattutto pensando alla vita reale che, troppe volte, è più dura di quanto si immagini fino a che, appunto, non hai un parente sofferente come la Thompson...
Fa riflettere sia per quanto riguardi il modo di vivere e di essere di noi tutti sul nostro lavoro, sia per quel che concerne il mondo della medicina. Quando penso che un calciatore guadagna milioni di euro ed un infermiere che ti assiste amorevolmente in ogni tuo bisogno, fa fatica ad arrivare alla fine del mese, mi convinco della necessità di sovvertire e riscrivere le priorità e le graduatorie sociali di questo nostro mondo.
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Bellissimo, nella sua drammatica rappresentazione. Ho 51 anni, sposato, con figlie, e mi capita raramente di piangere durante la visione di un film: oggi, però, non riuscivo a smettere di farlo, soprattutto pensando alla vita reale che, troppe volte, è più dura di quanto si immagini fino a che, appunto, non hai un parente sofferente come la Thompson...
Fa riflettere sia per quanto riguardi il modo di vivere e di essere di noi tutti sul nostro lavoro, sia per quel che concerne il mondo della medicina. Quando penso che un calciatore guadagna milioni di euro ed un infermiere che ti assiste amorevolmente in ogni tuo bisogno, fa fatica ad arrivare alla fine del mese, mi convinco della necessità di sovvertire e riscrivere le priorità e le graduatorie sociali di questo nostro mondo.
Il film, che ho visto solo oggi per la prima volta, è illuminante. La vita che facciamo, sapendo di essere destinati a morire, al di là di ogni convinzione religiosa o politica, dovrebbe portarci alla serenità ed al rispetto di tutti. Noi, in quanto esseri pensanti, non dovremmo comportarci da bestie timorose solo del più forte; eppure, tutta la vita, non facciamo altro che inseguire il successo, accumulare denaro, calpestare i più deboli e infierire sugli umili. Sia credenti che atei sappiamo che la vita è un soffio e dovrebbe essere vissuta intensamente con gioia e con amore, ma ce ne dimentichiamo in ogni minuto della nostra esistenza.
Questo film ci ricorda che la vita è bella e che la sofferenza e la solitudine sono momenti di essa.
Auguro a tutti di non dovere mai provare realmente quello che la splendida protagonista ci ha fatto vivere attraverso la finzione. Ma, se mai dovesse succedere, spero, per tutti, di avere strutture adeguate, dottori professionali ma umani e soprattutto personale paramedico disponibile e paziente.
Se mai diventassi ministro nel governo del mio paese, farei proiettare questo film almeno una volta all'anno nell'aula magna di ogni istituto scolastico.
Al regista e al cast i miei sinceri complimenti.
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giuliana
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mercoledì 8 febbraio 2006
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illuminante realtà
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Un film con un impatto così forte e reale da sentirlo come una seconda pelle, rimanendo ipnotizzati da occhi che ti raccontano il dolore con il fil rouge di una sottile paura (che scivola sull'armatura della protagonista) scaturita non tanto dalla malattia in sè quanto dalla realizzazione che i rigidi dogmi fino a quel momento rispettati non sono sufficienti a garantire un àncora di salvezza; un dolore raccontato con la naturalezza di chi il dolore pretende di scomporlo in parole e analizzarlo per poterlo gestire, ma che, inconsapevolmente, lo conosce già, se pur in vesti diverse e dallo sresso dlore si ritrova smascherato. E' una storia che rapisce con la sua essenzialità e lucida trasparenza, senza pudori per una sofferenza spogliata dalla scienza ma sapientemente ricomposta dalla grazia delle protagoniste femminili del film che sanno riconoscere la "virgola" che separa e distingue i due più forti motori della vita: l'autoaffermazione e la semplice subordinazione all'amore come unica spiegazione a ciò a cui una spiegazione non può dare nè la scienza nè il sapere ma solo la poesia dell'anima.
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vanna
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mercoledì 15 dicembre 2004
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l'ho visto tre volte
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Magistrale interpretazione della Thompson.
Non ho mai visto un film drammatico tanto bello che rispecchia in pieno quello che nella vita quotidiana può succedere a tante donne. Invito tutti a vederlo.
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vanna
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mercoledì 15 dicembre 2004
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l'ho visto tre volte
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Magistrale interpretazione della Thompson.
Non ho mai visto un film drammatico tanto bello che rispecchia in pieno quello che nella vita quotidiana può succedere a tante donne. Invito tutti a vederlo.
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nello
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lunedì 8 dicembre 2003
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un film che fa pensare
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WIT è un film che non si dimentica facilmente. Se se ne leggesse solo la trama, sarebbe difficile non immaginarselo come un'opera lugubre e noiosa. Il film e' quasi tutto ambientato in un ospedale e racconta gli ultimi mesi di vita di una professoressa di letteratura, malata terminale di cancro.
Ma questa storia esile - e tutto sommato banale - diventa l'occasione di una meditazione profonda sul significato della vita. E la meditazione non è sovrapposta in maniera didascalica, ma emerge con forza dalla intensità delle emozioni che il film riesce a creare.
Nel progressivo annullamento della persona creato dalla malattia, emergono i ricordi, le sensazioni, i sentimenti ancestrali. E tutte le sovrastrutture sociali e culturali costruite nella vita lentamente cadono per lasciare posto solamente ai sentimenti più primitivi.
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WIT è un film che non si dimentica facilmente. Se se ne leggesse solo la trama, sarebbe difficile non immaginarselo come un'opera lugubre e noiosa. Il film e' quasi tutto ambientato in un ospedale e racconta gli ultimi mesi di vita di una professoressa di letteratura, malata terminale di cancro.
Ma questa storia esile - e tutto sommato banale - diventa l'occasione di una meditazione profonda sul significato della vita. E la meditazione non è sovrapposta in maniera didascalica, ma emerge con forza dalla intensità delle emozioni che il film riesce a creare.
Nel progressivo annullamento della persona creato dalla malattia, emergono i ricordi, le sensazioni, i sentimenti ancestrali. E tutte le sovrastrutture sociali e culturali costruite nella vita lentamente cadono per lasciare posto solamente ai sentimenti più primitivi.
Quando tutto il resto, il sapere, il successo, il potere, è scomparso, rimane solamente l'amore, che nel film è rappresentato dalla figura semplice dell'infermiera pietosa.
Ci sarebbero tante scene da ricordare. Una per tutte: la visita della vecchia e sapiente professoressa, alla quale la moriente chiede la lettura non dei cerebrali sonetti di John Donne sula morte, oggetto dei loro comuni interessi accademici, ma delle favole della sua infanzia.
Non avrei mai creduto che un film così potesse tenermi incollato allo schermo in maniera così totale. Stringatezza, sobrietà e pulizia formale ineguagliabili ed una eccezionale interpretazione di Emma Thompson.
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