signorbagheri
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martedì 15 marzo 2022
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noriko
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Chishū Ryū l’attore icona del cinema di Ozu e Chieko Higashiyama sono gli interpreti perfetti di una malinconica serena rassegnata coppia di anziani sposi in viaggio dalla campagna per far visita ai figli nella megalopoli
saranno sopportati con gentilezza sballottati dall’una all’altra famigliola indaffarata nel progresso alienante delle relazioni sociali e del ricercato affannosamente benessere economico ed infine rispediti a casa come due pacchi postali
Noriko alias Setsuko Hara la giovane nuora sorprende per la sua sensibilità mostrando che le antiche tradizioni non sono perdute se c’è anche una sola persona al mondo in grado di raccogliere il testimone per tramandarle ai poster
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Chishū Ryū l’attore icona del cinema di Ozu e Chieko Higashiyama sono gli interpreti perfetti di una malinconica serena rassegnata coppia di anziani sposi in viaggio dalla campagna per far visita ai figli nella megalopoli
saranno sopportati con gentilezza sballottati dall’una all’altra famigliola indaffarata nel progresso alienante delle relazioni sociali e del ricercato affannosamente benessere economico ed infine rispediti a casa come due pacchi postali
Noriko alias Setsuko Hara la giovane nuora sorprende per la sua sensibilità mostrando che le antiche tradizioni non sono perdute se c’è anche una sola persona al mondo in grado di raccogliere il testimone per tramandarle ai posteri nell’elegiaco nostalgico compendio all’insegna del mono no aware dei temi più cari a Ozu
da quando iniziò a girare con le classiche riprese ad altezza tatami per rendere dalla prospettiva innocente di un bambino la tristezza cruda dei rapporti umani nell’inesorabile alternarsi delle stagioni della vita
ma è un’altra poesia che pochi avranno il tempo di leggerevedere così presi dall’indaffarato tran tran quotidiano della modernità che spunta minacciosa nelle inquadrature di ciminiere all’orizzonte in ogni suo film
ma c’è Noriko
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carloalberto
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giovedì 14 maggio 2020
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approccio improbabile
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Commento improbabile e tuttavia azzardato per un’opera osannata e oggetto di studi critici specialistici, in teoria non approcciabile, quindi, se non con strumenti filologici molteplici, che includono conoscenze cinefile, orientaliste, competenze sul confucianesimo e sul buddismo e, perfino, linguistiche per il giapponese, non credo tradotto fedelmente nei sottotitoli, che non rendono le sfumature idiomatiche, e, meno male, non doppiato, almeno si può cogliere l’intonazione della voce, sebbene stupisca che l’antipatia della figlia parrucchiera abbia stampato sui tratti fisiognomici del volto la rozzezza avida del suo carattere, come un marchio universale antropologico, e la visione tardiva non aiuta.
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Commento improbabile e tuttavia azzardato per un’opera osannata e oggetto di studi critici specialistici, in teoria non approcciabile, quindi, se non con strumenti filologici molteplici, che includono conoscenze cinefile, orientaliste, competenze sul confucianesimo e sul buddismo e, perfino, linguistiche per il giapponese, non credo tradotto fedelmente nei sottotitoli, che non rendono le sfumature idiomatiche, e, meno male, non doppiato, almeno si può cogliere l’intonazione della voce, sebbene stupisca che l’antipatia della figlia parrucchiera abbia stampato sui tratti fisiognomici del volto la rozzezza avida del suo carattere, come un marchio universale antropologico, e la visione tardiva non aiuta. Negli anni ’60 si sarebbero colte assonanze o dissonanze con il nostro Paese ed il neorealismo, forse, di De Sica, il suo Umberto D., con la solitudine degli anziani. Ma siamo lontani, e la fruizione è destinata alla superficialità dei rinvii e delle forzature simboliche delle ciminiere di Tokio col loro fumo nero, vaticinio di una civiltà dello smog, o del cartellone che alla stazione annuncia la partenza di un treno per Hiroshima, ferita aperta, appena accennata, in un quadro intimistico e minimalista che sottrae, pur risultando eccessivo nel parlato, che esplicita ciò che è già chiaro. Per noi, invece, rimarrà un mistero come una nuora possa rimanere fedele alla famiglia del marito morto, dopo otto anni, e che il mammismo, il familismo nostrano non prevalga sul giudizio etico, testimoniando di culture stridenti in ogni aspetto e comprensibili soltanto nel folklore reciproco dei modi di dire, per cui di tutto rimane, con le uniche parole che ho capito, un sayonara a Ozu e un arigatò al maestro, per me protagonista del film, che alla morte della moglie-madre-patria, mentre i figli si attardano sulla salma, saluta il nuovo giorno sulla terrazza, con la meraviglia che si deve ad una bellissima alba, stamattina o ieri nel 1953, quando non tutto era compiuto e la speranza nel futuro, sebbene flebile, accomunava generazioni diverse in una sensibilità, che ostinatamente collochiamo in un passato, reinventato dalla nostalgia, senza scorgere in esso il seme, il cui frutto amaro mangiamo ogni giorno, passeggera come le nuvole a pecorella di un cielo indifferente alla vita o alla morte, come tutta la natura, che si offre, da sempre, come possibilità estrema, ad un atteggiamento estatico, che è vano contrapporre all’affannoso fascino del fare senza tempo, perenne inganno del mondo che si disfa e solo si ricrea nella poesia e, alcune volte, in film come questo.
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volontè78
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giovedì 26 marzo 2020
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molto più che cinema
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L'opera di Ozu,crea un'empatia sensoriale,che poi saprà sviluppare maggiormente nelle opere successive,in colui che osserva attentamente,anche per la prima volta,dissipando gli iniziali dubbi della particolarità del cinema del fenomenale artista.
La recitazione partecipe,la capacità di scavare con la macchina da presa,nell'essenza pura dell'essere umano,ci trasportano in una dimensione filologica della cultura nipponica,che traspare da qualsiasi contesto cinematografico.
Perchè,ciò che si presenta ai nostri occhi è molto più che una pellicola cinematografica;ma siamo davanti a una delle opere più significative rappresentanti le debolezze umane,che traspaiono nella più brutale ipocrisia di coloro dovrebbero sentirsi amorevoli verso i loro cari,invece,degni figure opportuniste e ciniche dedite solo ed esclusivamente al mondo capitalista che si affacciava nel Gaiappone post bellico.
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L'opera di Ozu,crea un'empatia sensoriale,che poi saprà sviluppare maggiormente nelle opere successive,in colui che osserva attentamente,anche per la prima volta,dissipando gli iniziali dubbi della particolarità del cinema del fenomenale artista.
La recitazione partecipe,la capacità di scavare con la macchina da presa,nell'essenza pura dell'essere umano,ci trasportano in una dimensione filologica della cultura nipponica,che traspare da qualsiasi contesto cinematografico.
Perchè,ciò che si presenta ai nostri occhi è molto più che una pellicola cinematografica;ma siamo davanti a una delle opere più significative rappresentanti le debolezze umane,che traspaiono nella più brutale ipocrisia di coloro dovrebbero sentirsi amorevoli verso i loro cari,invece,degni figure opportuniste e ciniche dedite solo ed esclusivamente al mondo capitalista che si affacciava nel Gaiappone post bellico.
Setsuko Hara è l'ideale speranza,che Ozu ci racconta alla deriva.
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fabiofeli
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giovedì 26 marzo 2020
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il mondo cambia perdendo la propria umanità
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Shukishi e Tomi (una coppia di anziani giapponesi che vivono a Onamichi, un paese tra Hiroshima e Fukushima) intraprendono il viaggio a Tokyo per rivedere i figli sposati che vivono in quartieri periferici della capitale: un figlio fa il medico e una figlia fa la parrucchiera in casa; sono continuamente occupati e offrono ai genitori loro un weekend nell’albergo d’una località termale rinomata, Atami, a sud di Tokyo. Dai comportamenti dei figli, che sono indistinguibili da nuore e generi, perché tutti si rivolgono alla coppia chiamandoli madre a padre, si intuisce che quasi tutti, a loro volta padri e madri, nonostante i gesti formali corretti e i dialoghi come scontate giaculatorie, vivono la loro vita in un altro mondo, dove contano solo le attuali realtà.
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Shukishi e Tomi (una coppia di anziani giapponesi che vivono a Onamichi, un paese tra Hiroshima e Fukushima) intraprendono il viaggio a Tokyo per rivedere i figli sposati che vivono in quartieri periferici della capitale: un figlio fa il medico e una figlia fa la parrucchiera in casa; sono continuamente occupati e offrono ai genitori loro un weekend nell’albergo d’una località termale rinomata, Atami, a sud di Tokyo. Dai comportamenti dei figli, che sono indistinguibili da nuore e generi, perché tutti si rivolgono alla coppia chiamandoli madre a padre, si intuisce che quasi tutti, a loro volta padri e madri, nonostante i gesti formali corretti e i dialoghi come scontate giaculatorie, vivono la loro vita in un altro mondo, dove contano solo le attuali realtà. I genitori tornano prima dalla località termale, perché volevano stare con figli e nipoti. La cruda verità emerge, quando Shukishi esce con un amico trasferitosi dal loro paese a Tokyo: l’abbondante sakè bevuto li fa confessare a vicenda di avere esagerato sull’importanza del ruolo dei figli nella società giapponese. Il primo dice che il figlio medico non è un luminare della scienza ma “solo un medico di famiglia”, mentre il suo amico svela che il suo non è un dirigente con alti incarichi ma “solo un capetto dell’amministrazione” nella quale lavora. Shukishi sa che la “vacanza termale” è stata ideata per togliersi di torno gli anziani genitori. Con dignità torna con la moglie a Onamichi, dove vivono. Altri nodi verranno al pettine con gli sviluppi della storia … Ozu è un grande regista che ha filmato l’anima del popolo giapponese in questo film del 1953. Colpisce vivamente il modo di riprendere i gesti, gli inchini, la ripresa dei dialoghi e il serrato montaggio. Nelle case si cammina scalzi; si dorme su stuoie e lenzuola sdraiati a terra; i momenti familiari comuni, come il mangiare, le riunioni festose ed i momenti di lutto si svolgono inginocchiati a terra: la cinepresa è a livello del pavimento nei campi lunghi; sui volti dei protagonisti e dei personaggi nei primi piani. Il risultato è sorprendentemente vero, naturale. Si capisce perfettamente che a volte i sorrisi mesti nascondono un pianto e questo comunica il dolore di un’anima senza che gli occhi versino una lacrima, siano quelli dei due anziani oppure quelli della nuora preferita. Si comprende l’opportunismo dei “cittadini”, e la nostalgia di Shukishi, per un mondo che non c’è più, è struggente come una ferita insanabile. Gli anziani e la nuora reagiscono a modo loro: con la gentilezza profonda che hanno appreso da bambini ed il rispetto intelligente di genitori e nonni dei popoli orientali. Il mutamento dei tempi è simbolicamente chiaro nelle ripetute immagini di fumanti ciminiere di fabbriche che si contrappongono ai fotogrammi di un tranquillo cimitero tradizionale. Recitazione e fotografia in bianco e nero sono perfetti. Mereghetti ci avverte che c’è un film del 1937 di Leo McCarey con uguale soggetto, tratto da un libro di Josephine Lawrence, ma sottolinea anche che Ozu non conosceva la pellicola. Viaggio a Tokyo spiega il Giappone più di mille trattati sociologici: un capolavoro. Valutazione ***** FabioFeli
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stefano capasso
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mercoledì 10 aprile 2019
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riflessioni sull'anima umana
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Una anziana coppia di genitori decide di fare un viaggio a Tokio per andare a trovare i loro fogli. L’età avanzata fa presagire loro che sia necessario salutarli prima che sia troppo tardi. Al termine del lungo viaggio in treno arrivano in casa di uno dei loro figli dove incontrano tutti gli altri radunati per l’occasione. Dopo un primo momento di calda accoglienza per tutti loro emerge la difficoltà di occuparsi dei genitori, presi dal lavoro e dalle tante occupazioni quotidiane e decidono di offrirgli una vacanza in una località termale. Durante il soggiorno i due anziani capiscono le difficoltà e decidono di rientrare anticipatamente.
Grande film del maestro giapponese Ozu che con una narrazione apparentemente dimessa riesce a tessere una tele che contiene i grandi temi della vita.
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Una anziana coppia di genitori decide di fare un viaggio a Tokio per andare a trovare i loro fogli. L’età avanzata fa presagire loro che sia necessario salutarli prima che sia troppo tardi. Al termine del lungo viaggio in treno arrivano in casa di uno dei loro figli dove incontrano tutti gli altri radunati per l’occasione. Dopo un primo momento di calda accoglienza per tutti loro emerge la difficoltà di occuparsi dei genitori, presi dal lavoro e dalle tante occupazioni quotidiane e decidono di offrirgli una vacanza in una località termale. Durante il soggiorno i due anziani capiscono le difficoltà e decidono di rientrare anticipatamente.
Grande film del maestro giapponese Ozu che con una narrazione apparentemente dimessa riesce a tessere una tele che contiene i grandi temi della vita. L’incomunicabilità tra le generazioni, giustificata anche da antichi e mai risolti dissapori, è anche la differenza dei costumi che cambiano e che rendono quasi inconciliabile il dialogo. Soprattutto è la visione della vita che alimenta questa distanza: per gli anziani ogni cosa è relazionata ad una vita che ha ormai orizzonti limitati mentre per i giovani l’orizzonte è ancora un territorio aperto. Se ognuno ha le sue valide motivazioni il senso di malinconia che pervade il film testimonia da che parte si trovi lo stesso Ozu. Capace di raccontare le piccole declinazioni dell’essere umano mantenendosi fedele ad una narrazione asciutta, Ozu sceglie, come suo marchio di fabbrica, di tenere la macchina da presa ferma e collocata ad altezza di terra, proprio per dare maggiore risalto agli impercettibili movimenti dell’anima dei suoi protagonisti
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(di fabiofeli)
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riccardo tavani
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venerdì 25 novembre 2016
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il passaggio d'un'epoca in un stile di cinema puro
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La pellicola è stata restaurata perfettamente, il suo bianco e nero riesce a renderci parte intima dell’immagine, degli ambienti, dell’atmosfera di una storia pur geograficamente e antropologicamente distante dalla nostra sensibilità occidentale. Il regista tedesco Wim Wenders ha dedicato a Ozu un suo film documentario del 1985, Tokyo-Ga, nel quale – oltre a mostrarci immagini e vicende particolari della città – spiega tecnica e stile nel cinema di Ozu. Uno stile fatto di fotografia nitida e macchina da presa pressoché immobile, piazzata in basso, con l’inquadratura su cose e personaggi da sotto. Un’inquadratura che prende il nome di tatami shot ed è stata definita da Ozu perché adatta a riprendere i personaggi seduti sul pavimento (tatami), secondo l’usanza nipponica.
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La pellicola è stata restaurata perfettamente, il suo bianco e nero riesce a renderci parte intima dell’immagine, degli ambienti, dell’atmosfera di una storia pur geograficamente e antropologicamente distante dalla nostra sensibilità occidentale. Il regista tedesco Wim Wenders ha dedicato a Ozu un suo film documentario del 1985, Tokyo-Ga, nel quale – oltre a mostrarci immagini e vicende particolari della città – spiega tecnica e stile nel cinema di Ozu. Uno stile fatto di fotografia nitida e macchina da presa pressoché immobile, piazzata in basso, con l’inquadratura su cose e personaggi da sotto. Un’inquadratura che prende il nome di tatami shot ed è stata definita da Ozu perché adatta a riprendere i personaggi seduti sul pavimento (tatami), secondo l’usanza nipponica. Una tecnica presto elevata a cifra stilistica, della quale è diventato maestro l’operatore di Ozu, Yuharu Atsuta.
Anche in Viaggio a Tokyo la macchina fa solo un paio di brevi movimenti orizzontali (carrelli), per il resto tutto è affidato a un montaggio fluido, fatto di piani, contro piani, stacchi impercettibili tra una scena, una situazione e l’altra, perché ogni cosa è assorbita, trascesa dalla luce di una fotografia ricca proprio della sua logica essenzialità. La storia narra di un’anziana coppia che dal loro lontano paese si recano a Tokyo a trovare due figli che là vivono, lavorano, si sono sposati e generato nipoti. Emerge il contrasto generazionale, lo stridore tra la tradizione nipponica e le nuove forme di vita occidentali. Non a caso il film inizia con un treno e termina con un vecchio battello fluviale. Scopriamo anche, però, solo alla fine, che la più giovane delle figlie che vive con la coppia al paese è una maestra d’asilo. Inquadrata dal basso tra le due file di vecchi banchi scolastici, essa sembra offrire al futuro, attraverso il suo sorridente insegnamento ai bambini, una conciliazione di quel contrasto.
Molte delle pellicole di Ozu sono andate distrutte durante la guerra e altre erano conservate in condizioni pessime: per questo ancora più preziosa appare la coraggiosa iniziativa di Tucker Film. Le altre cinque opere di Ozu restaurate sono: Tarda Primavera (1949), Fiori d’equinozio (1958), Buon giorno (1959), Tardo Autunno (1960), Il gusto del saké (1962), ultimo film girato da Ozu.
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marcello1979
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mercoledì 18 novembre 2015
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capolavoro di rara bellezza
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Ci sono film e opere d'arte..
Questo rientra nella seconda categoria.
I film di Ozu sono capovalori da sempre e questo film l'ho rincorso da tempo.
Con fortuna l'ho visto al cinema e questo è un bel regalo di Natale anticipato..
Film senza tempo, luoghi storici e attori perfetti ne fanno di questo film un'icona del grande cinema Giapponese.
Un bravo a Ozu, il più giapponese dei giapponesi...
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filippo catani
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venerdì 16 ottobre 2015
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un malinconico capolavoro
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Una coppia di anziani genitori decide di coprire il lungo viaggio che li divide dai propri figli che vivono ormai da tempo a Tokyo. Se per loro i genitori saranno quasi un peso non sarà così per la vedova di uno dei loro figli.
Film eccezionale del maestro Ozu che colpisce al cuore e commuove. Una coppia anziana giunta ormai al crepuscolo della propria vita e provata da guerre e lutti decide di andare in visita ai figli. Questi vogliono apparire molto indaffarati e vedono quasi con fastidio questa visita tanto addirittura ad arrivare a pagare loro le terme. La stessa coppia di anziani però si rende bene conto di questa situazione e anzi forse si sarebbero aspettati qualcosa di più dai loro figli ma come risulta dalla conversazione che il padre ha con due vecchi amici è difficile il confronto tra le varie generazioni specialmente per un paese sconvolto dalla sconfitta in guerra.
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Una coppia di anziani genitori decide di coprire il lungo viaggio che li divide dai propri figli che vivono ormai da tempo a Tokyo. Se per loro i genitori saranno quasi un peso non sarà così per la vedova di uno dei loro figli.
Film eccezionale del maestro Ozu che colpisce al cuore e commuove. Una coppia anziana giunta ormai al crepuscolo della propria vita e provata da guerre e lutti decide di andare in visita ai figli. Questi vogliono apparire molto indaffarati e vedono quasi con fastidio questa visita tanto addirittura ad arrivare a pagare loro le terme. La stessa coppia di anziani però si rende bene conto di questa situazione e anzi forse si sarebbero aspettati qualcosa di più dai loro figli ma come risulta dalla conversazione che il padre ha con due vecchi amici è difficile il confronto tra le varie generazioni specialmente per un paese sconvolto dalla sconfitta in guerra. Sarà però la nuora che ancora non si è fatta una ragione della scomparsa del marito nel conflitto mondiale a prendersi cura dei due anziani genitori e lo farà sempre con il sorriso sulle labbra. Insomma un ritratto familiare amaro quello tratteggiato però dal grande maestro Ozu che realizza quì uno dei film più belli della storia del cinema.
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vanessa zarastro
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martedì 8 settembre 2015
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dalla campagna alla città
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Questo film in bianco e nero è considerato tra i primi tre film più importanti e più belli del Novecento, anzi secondo “Sight & Sound”, la prestigiosa rivista cinematografica britannica,il più bel film dell’intera storia del cinema. La pellicola è del 1953 ma uscì in Italia negli anni ’60, è stata attualmente restaurata ed è proiettata a Roma in questi giorni.
Onomichi, nella prefettura di Hirochima, è una piccola città di mare dove vivono Shukichi e Tomi, una coppia di sessantenni (C. Ryu, C. Higashiyama) con Kioko, la loro figlia più piccola. Decidono finalmente di andare a trovare i figli grandi a Tokyo e di vedere così per la prima volta questa grande città.
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Questo film in bianco e nero è considerato tra i primi tre film più importanti e più belli del Novecento, anzi secondo “Sight & Sound”, la prestigiosa rivista cinematografica britannica,il più bel film dell’intera storia del cinema. La pellicola è del 1953 ma uscì in Italia negli anni ’60, è stata attualmente restaurata ed è proiettata a Roma in questi giorni.
Onomichi, nella prefettura di Hirochima, è una piccola città di mare dove vivono Shukichi e Tomi, una coppia di sessantenni (C. Ryu, C. Higashiyama) con Kioko, la loro figlia più piccola. Decidono finalmente di andare a trovare i figli grandi a Tokyo e di vedere così per la prima volta questa grande città. Ospiti a turno di Koichi, il figlio medico (S. Yamamura)e di Shige(H. Sugimura),lafiglia parrucchiera, si rendono conto di essere di impiccio perché i figli sembrano non avere tempo né per stare con loro né per far loro conoscere i luoghi della città. Soltanto Noriko (S. Hara),vedova da otto anni di Shoji,il loro figlio morto in guerra, si dimostra affettuosa e contenta della loro compagnia.
Nel “viaggio a Tokyo sono presenti tutti i temi cari al regista il quale ravvisa, nel dopoguerra, un grande cambiamento sociale che incrina la famiglia giapponese e crea incomunicabilità tra le generazioni. Per contro gli elementi positivi mostrati nel film sono l’amore dell’anziana coppia e la disinteressata generosità d’animo della nuora.
Il punto di vista della ripresa è sempre molto basso per vedere meglio la gran parte della vicenda che si svolge negli interni. La città è più allusa che raccontata talvolta, s’inquadra soltanto la fabbrica. Perfino la stazione ferroviaria è vista come una grande sala d’aspetto affollata. Un film delicato dove s’intuisce appena l'influenza negativa della vita urbana sui rapporti umani.
Wim Wenders nel 1985 gira Tokyo-Ga, un film omaggio al grande regista giapponese morto nel 1963, alla ricerca dei suoi luoghi e con l’obiettivo di testimoniare la trasformazione della città diventata ormai metropoli.
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maxbcram
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giovedì 20 agosto 2015
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condivido in pieno
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Davvero bella la tua recensione, che trovo molto precisa e centrata sui motivi portanti del film e del cinema di Ozu in generale, che amo moltissimo. Apprezzo anche i toni che hai usato, in particolare sottoscrivo parola per parola le osservazioni che hai fatto sulla prova dell’attrice Hara Setsuko: esattamente come hai scritto, una gemma luminosissima in un’opera pressochè perfetta nella sua interezza. Si potrebbero dire tante cose su questo film e su questo "tipo" di cinema. Voglio qui sottolineare, fra i numerosi pregi, la delicatezza, il pudore, comprensione e l'umiltà con i quali Ozu guarda e considera, rappresentandoli, i suoi personaggi. Per chi è sintonia con lui su certi valori, la presa di posizione emerge decisamente, ma con quanta umanità e finezza! Chi altri è stato così nel cinema? Credo nessuno.
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Davvero bella la tua recensione, che trovo molto precisa e centrata sui motivi portanti del film e del cinema di Ozu in generale, che amo moltissimo. Apprezzo anche i toni che hai usato, in particolare sottoscrivo parola per parola le osservazioni che hai fatto sulla prova dell’attrice Hara Setsuko: esattamente come hai scritto, una gemma luminosissima in un’opera pressochè perfetta nella sua interezza. Si potrebbero dire tante cose su questo film e su questo "tipo" di cinema. Voglio qui sottolineare, fra i numerosi pregi, la delicatezza, il pudore, comprensione e l'umiltà con i quali Ozu guarda e considera, rappresentandoli, i suoi personaggi. Per chi è sintonia con lui su certi valori, la presa di posizione emerge decisamente, ma con quanta umanità e finezza! Chi altri è stato così nel cinema? Credo nessuno. Massimo
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