lucaguar
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venerdì 12 dicembre 2014
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"il trionfo del male è sempre vano"
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In questo film del 1957 un Kurosawa ormai affermato si avventura in un libero adattamento cinematografico di Shakespeare (come farà in "Ran" molti anni dopo). Il trono di sangue è un'opera fondamentale della carriera del maestro, in quanto presenta tutte le caratteristiche che hanno fatto del regista giapponese uno dei mostri sacri del cinema mondiale.
Siamo nel giappone feudale, Washizu è un guerriero assetato di potere, comandante di un forte, sempre fedelmente accompagnato dal suo amico Miki. Un giorno, nella foresta, i due incontrano uno spirito che profetizza un'ascesa al potere dello stesso Washizu, che diventerà la signoria del castello, e la successiva presa del potere del figlio di Miki che gli succederà.
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In questo film del 1957 un Kurosawa ormai affermato si avventura in un libero adattamento cinematografico di Shakespeare (come farà in "Ran" molti anni dopo). Il trono di sangue è un'opera fondamentale della carriera del maestro, in quanto presenta tutte le caratteristiche che hanno fatto del regista giapponese uno dei mostri sacri del cinema mondiale.
Siamo nel giappone feudale, Washizu è un guerriero assetato di potere, comandante di un forte, sempre fedelmente accompagnato dal suo amico Miki. Un giorno, nella foresta, i due incontrano uno spirito che profetizza un'ascesa al potere dello stesso Washizu, che diventerà la signoria del castello, e la successiva presa del potere del figlio di Miki che gli succederà. Appresa la notizia e malignamente spinto dalla moglie, Washizu massacra la signoria del castello e prende il potere con la forza, decidendo di far uccidere addirittura il suo migliore amico e tentando di far fuori anche il figlio, che secondo la profezia gli toglierà il comando.
Sempre più accecato dalla brama di potere, Washizu torna dallo spirito della foresta che gli riferisce che non perderà mai più una battaglia, a meno che "gli alberi non cammineranno". Accortosi però che gli alberi camminano davvero (ovviamente è un'imboscata dell'astuto comandante avversario) il guerriero impazzisce e subisce la ribellione del suo popolo e l'esercito avversario lo uccide.
Meravigliosa riflessione sul potere e sul male, Kurosawa "fa suo" Shakespeare con grandissima maestria, mostrandoci che "il trionfo del male è sempre vano" come dice il canto all'inizio del film, e che la brama di potere e l'ambizione, spesso accompagnate dal bigottismo e dalla presunzione, distruggono l'uomo e lo rendono cieco e sordo al bene.
Splendida la fotografia in bianco e nero, l'ambientazione nella foresta (tipica di Kurosawa) è veramente mozzafiato e il montaggio molto innovativo per l'epoca. Molte le scene di altissimo livello, in particolare quella della profezia dello spirirto della foresta.
E' necessario anche spendere due parole sulla recitazione, tratta dalle tecniche del teatro No e straordinariamente interpretata dal grandissimo Toshiro Mifune.
In conclusione si può dire che è Il trono di sangue è il solito straordinario cinema di Kurosawa, che trasporta in un'altra dimensione, che rapisce l'anima.
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luca scial�
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sabato 27 luglio 2013
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libera interpretazione di shakespeare
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Il Coomandante Washizu incontra con un suo subordinato uno spirito nella foresta che gli predice il futuro. I due non gli credono ma scoprono che il vecchio aveva ragione. Ma lo spirito aveva anche predetto che Washizu sarebbe stato scalzato dal figlio del suo subordinato. E così, spinto dalla moglie, decide di uccidere il Feudatario per prenderne il posto con la forza, e il giovane che dovrebbe prendere il suo posto. Questo secondo omicidio fallise e la bramosia di potere gli porterà solo jatture e solitudine.
Akira Kurosawa traspone in modo libero e credibile il Macbeth di Shakespeare. Per il ruolo di protagonista si affida al fedele Toshiro Mifune, che lanciò con Rashomon, film che diede a entrambi la popolarità.
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Il Coomandante Washizu incontra con un suo subordinato uno spirito nella foresta che gli predice il futuro. I due non gli credono ma scoprono che il vecchio aveva ragione. Ma lo spirito aveva anche predetto che Washizu sarebbe stato scalzato dal figlio del suo subordinato. E così, spinto dalla moglie, decide di uccidere il Feudatario per prenderne il posto con la forza, e il giovane che dovrebbe prendere il suo posto. Questo secondo omicidio fallise e la bramosia di potere gli porterà solo jatture e solitudine.
Akira Kurosawa traspone in modo libero e credibile il Macbeth di Shakespeare. Per il ruolo di protagonista si affida al fedele Toshiro Mifune, che lanciò con Rashomon, film che diede a entrambi la popolarità. Una fiaba nera con una morale: chi troppo vuole, nulla stringe.
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reservoir dogs
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sabato 8 gennaio 2011
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i burattini del fato
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Al comandante della prima torre Taketoki Washizu (Mifune), uomo bramoso di potere, viene profetizzata l'ascesa come futuro shogun del feudo, ma per raggiungere tale posizione dovrà macchiarsi le mani di sangue.
Il potere lo raggiunge con tutto l'onere che risiede nel mantenimento di esso, infatti lo spirito nel bosco che aveva profetizzato l'ascesa, interrogato nuovamente, profetizza a Washizu la successiva caduta quando gli alberi della foresta "muovendosi" raggiungeranno le mura del castello.
Un Kurasawa Shakesperiano che sperimenta un Macbeth che mostra i fatti con un inquadratura molto spesso geometrica piuttosto che farli narrare ai personaggi.
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Al comandante della prima torre Taketoki Washizu (Mifune), uomo bramoso di potere, viene profetizzata l'ascesa come futuro shogun del feudo, ma per raggiungere tale posizione dovrà macchiarsi le mani di sangue.
Il potere lo raggiunge con tutto l'onere che risiede nel mantenimento di esso, infatti lo spirito nel bosco che aveva profetizzato l'ascesa, interrogato nuovamente, profetizza a Washizu la successiva caduta quando gli alberi della foresta "muovendosi" raggiungeranno le mura del castello.
Un Kurasawa Shakesperiano che sperimenta un Macbeth che mostra i fatti con un inquadratura molto spesso geometrica piuttosto che farli narrare ai personaggi.
Shakespeare asportato in Giappone mostra dei "burattini" diretti dal Fato che ricordano gli attori del Teatro No; un teatro di alta estrazione sociale dovuto alla complessa comprensione, che si contraddistingue al teatro Kubaki.
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lisbeth
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giovedì 10 settembre 2009
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il tiranno e la sua solitudine
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La tragedia del “beccaio morto e della sua demoniaca regina” è ancora una volta occasione per parlare delle profondità insondabili dell’animo umano,della sete di potere e della solitudine che ne è la condanna, dell’ambizione e della paura, dell’esaltazione e della caduta nella voragine della follia. “Ho dimenticato Shakespeare e ho girato il film come se fosse una storia del mio paese” dichiarò Kurosawa ed è il Giappone del XVI secolo il teatro della corrusca vicenda,scenario in cui i personaggi si muovono seguendo il ritmo lento e ieratico del teatro NO, avvolti in costumi di sontuosa maestà, che si tratti delle sfolgoranti armature dei samurai o di preziosi kimono degni di una reggia.La trama narrativa è tessuta di continui rimandi fra interni ed esterni, lo spazio che circonda i castelli, una landa velata da nebbie lattiginose, nelle quali affondano e poi riemergono senza posa i due guerrieri nella sequenza iniziale, la foresta labirintica, magica protagonista dei momenti chiave della storia e le sale di una corte tenebrosa, spoglia, dove i dignitari siedono immobili e solenni a consiglio o si svolgono dialoghi fatti di brevissime battute,prevalendo invece il gioco degli sguardi e il linguaggio del corpo.
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La tragedia del “beccaio morto e della sua demoniaca regina” è ancora una volta occasione per parlare delle profondità insondabili dell’animo umano,della sete di potere e della solitudine che ne è la condanna, dell’ambizione e della paura, dell’esaltazione e della caduta nella voragine della follia. “Ho dimenticato Shakespeare e ho girato il film come se fosse una storia del mio paese” dichiarò Kurosawa ed è il Giappone del XVI secolo il teatro della corrusca vicenda,scenario in cui i personaggi si muovono seguendo il ritmo lento e ieratico del teatro NO, avvolti in costumi di sontuosa maestà, che si tratti delle sfolgoranti armature dei samurai o di preziosi kimono degni di una reggia.La trama narrativa è tessuta di continui rimandi fra interni ed esterni, lo spazio che circonda i castelli, una landa velata da nebbie lattiginose, nelle quali affondano e poi riemergono senza posa i due guerrieri nella sequenza iniziale, la foresta labirintica, magica protagonista dei momenti chiave della storia e le sale di una corte tenebrosa, spoglia, dove i dignitari siedono immobili e solenni a consiglio o si svolgono dialoghi fatti di brevissime battute,prevalendo invece il gioco degli sguardi e il linguaggio del corpo.Taketoki Washizu (Macbeth) e Yoshiaki Miki (Banquo), potenti samurai di ritorno vittoriosi al castello dello shogun, incontrano il loro destino nella foresta degli spiriti, dove la Parca, traduzione delle tre Norne shakespeariane, profetizza un futuro di gloria e potere. Asaji (Lady Macbeth), dirà più tardi le parole che meglio interpretano il valore del presagio, spostandone la lettura dalla sfera del magico a quella dell’indagine sul profondo:“Io penso che sognamo le cose che desideriamo.Qual è quel samurai che in vita sua non ha desiderato di essere signore di un castello?” Come in Macbeth, la donna riveste un ruolo chiave nel determinare il corso delle vicende, le sue argomentazioni perforano come punte di diamante i tentennamenti del marito, il gracchiare sinistro dei corvi diventa argomento a favore del suo piano “Prendi il trono, è tuo, è questo che ripetono le loro voci. Senza ambizione un uomo non è un uomo”.Il delitto unisce i due sposi in un patto di sangue, come Duncan anche lo shogun sarà ucciso nel sonno e il potere finirà nelle mani di Washizu.Il presagio si sta avverando,una ragnatela di intrighi avvolge il castello e separa gli sposi (ricordiamo il titolo originale, Il castello della ragnatela)rompe quella simmetria di immagini che ha ritratto l’uomo nella sua bruna e scintillante armatura e la donna dal viso lunare, nel serico kimono bianco, in un movimento circolare, una spirale in cui corpi, gesti e sguardi si sono avvolti, integrandosi a vicenda. Ora la scena è percorsa solo dalla furia impotente di Washizu, un grande Toshiro Mifune, a cui Kurosawa ha lasciato carta bianca. La donna scompare, tornerà nella breve sequenza della pazzia,il re è solo e deve continuare senza sosta a macchiare di sangue il suo trono, perché il potere ha questo prezzo. Kurosawa dà forte risalto al viso di Washizu in continui primi piani che scavano nella sua psiche in disfacimento. Ora domina la paura, dei morti più che dei vivi.Folle di paura Washizu corre nella foresta, evoca lo spirito, cerca l’ultimo inganno.Nella sequenza finale i corvi irrompono nella reggia, creature impazzite in fuga dai nidi.Gli alberi arrivano fin sotto il castello, in una memorabile ripresa dall’alto delle chiome ondeggianti fra nuvole gonfie di nebbia.
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ag
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venerdì 13 marzo 2009
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capolavoro
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Un film capolavoro! Altro che i truzzo-movie americani di michael bay!
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