steffa
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martedì 21 novembre 2023
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mediocre
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un film che almeno apparentemente attacca il sistema di una società guasta e fuori controllo (quasi a livelli demenzial) che fagocita i più deboli e meno fortunati, ma l'intento sembra soltanto commerciale ed alla fine non lascia il segno
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jonnylogan
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sabato 22 ottobre 2022
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uccirdere per ridere
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Mickey e Mallory Knox sono due serial killer che stanno seminando il panico lungo le strade degli States. La loro fuga sta scatenando un insieme contrastante di emozioni a iniziare da coloro che li esaltano. Fino a chi cerca di catturarli per i propri doppi fini. Ed è questo il caso dell’agente Jack Scagnetti. Per finire con Wayen Gale, un anchorman che li vorrebbe trasformare in una coppia di divi della tv.
Era il 1994 quando Oliver Stone mandò in scena la coppia di pazzoidi più avant-pop del secolo scorso. L’uno con il viso spiritato di Woody Harrelson, l’altra con il corpo flessuoso di Juliette Lewis. Il risultato una pellicola che sulla metà dei ‘90 creò non pochi problemi in termini di censura e che ne decretò altrettanti in termini di emulazione da parte di chi volle replicare le stragi perpetrate da due Bonnie e Clyde dei giorni nostri.
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Mickey e Mallory Knox sono due serial killer che stanno seminando il panico lungo le strade degli States. La loro fuga sta scatenando un insieme contrastante di emozioni a iniziare da coloro che li esaltano. Fino a chi cerca di catturarli per i propri doppi fini. Ed è questo il caso dell’agente Jack Scagnetti. Per finire con Wayen Gale, un anchorman che li vorrebbe trasformare in una coppia di divi della tv.
Era il 1994 quando Oliver Stone mandò in scena la coppia di pazzoidi più avant-pop del secolo scorso. L’uno con il viso spiritato di Woody Harrelson, l’altra con il corpo flessuoso di Juliette Lewis. Il risultato una pellicola che sulla metà dei ‘90 creò non pochi problemi in termini di censura e che ne decretò altrettanti in termini di emulazione da parte di chi volle replicare le stragi perpetrate da due Bonnie e Clyde dei giorni nostri. Un film, scritto inizialmente da Quentin Tarantino, il quale preferì abbandonare rapidamente il progetto quando si accorse che del proprio canovaccio non era rimasto molto, che nell’idea di Stone esalta, come era comunque nel desiderio di Tarantino, l’aspetto distorcente della realtà filtrata dai media. Ogni ripresa, ogni efferatezza viene infatti vissuta e rivista come un episodio di un serial con risate fuori campo. Come un fumetto (preferibilmente un manga) mal disegnato. Il tutto esaltato da una musica a volte sincopata e altre melliflua oppure rockeggiante. Grande in tal senso il merito sia di Leonard Coehn sia di Trent Reznor nella scelta delle canzoni che compongono la soundtrack.
Nella testa del regista ed ex reduce del Vietnam il desiderio più preponderante è quello di parodiare le gesta di altri serial killer, come il Charles Manson messo sull’altare da parte di Woody Harrelson. Oltre al desiderio di dimostrare come i media siano in grado di trasformare in una coppia di rockstar un duo di killer senza alcuna pietà e ragione alcuna, se non per le violenze subite da entrambi e ovviamente vendicate a suon di stragi impunite. Harrelson, la Lewis, e tutto il cast si accomodano piacevolmente al servizio di una pellicola che ancora oggi fa riflettere sull’uso e l’esaltazione di come la notizia, le opinioni dei singoli e soprattutto i fatti possano venire facilmente manipolati ad arte.
Da non perdere ma solo per chi apprezza sia pellicole con chiavi di lettura non semplici, spargimenti di sangue apparentemente gratuiti e trame schizoidi e privi di qualunque linearità sequenziale.
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carloalberto
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domenica 6 dicembre 2020
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impossibile da rivedere, impossibile non vederlo
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La predominanza del montaggio sul girato, in questo film di Stone, mostra in modo esemplare la progressiva perdita di valore, nella moderna società delle immagini, del movimento, inteso come flusso vitale riprodotto filmicamente in modo naturalistico, caposaldo di una vecchia concezione del cinema e per derivazione della televisione ancora illusa di poter rappresentare un qualsiasi dramma umano in forma realistica, secondo la regola dell’adequatio rei et imago, alla stregua della formula aristotelica dell’adaequatio rei et intellectus, a fronte della crescente manipolazione di ciò che avanza dal reale come fotogramma di archivio, da parte dei mass media, spasmodicamente impegnati nella produzione seriale di vicende umane eclatanti, costruite artificiosamente sulla pelle dello sventurato di turno, ad uso e consumo della società dello spettacolo, per i gusti grossolani di un pubblico, fatto di annoiate casalinghe, giovani inoccupati, anziani pensionati, ingordo di storie a tinte forti, avidamente consumate come surrogati emozionali in una vita sempre più anemica ed apatica, schiacciata sulla bidimensionalità di uno schermo, ieri del televisore, oggi dello smartphone.
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La predominanza del montaggio sul girato, in questo film di Stone, mostra in modo esemplare la progressiva perdita di valore, nella moderna società delle immagini, del movimento, inteso come flusso vitale riprodotto filmicamente in modo naturalistico, caposaldo di una vecchia concezione del cinema e per derivazione della televisione ancora illusa di poter rappresentare un qualsiasi dramma umano in forma realistica, secondo la regola dell’adequatio rei et imago, alla stregua della formula aristotelica dell’adaequatio rei et intellectus, a fronte della crescente manipolazione di ciò che avanza dal reale come fotogramma di archivio, da parte dei mass media, spasmodicamente impegnati nella produzione seriale di vicende umane eclatanti, costruite artificiosamente sulla pelle dello sventurato di turno, ad uso e consumo della società dello spettacolo, per i gusti grossolani di un pubblico, fatto di annoiate casalinghe, giovani inoccupati, anziani pensionati, ingordo di storie a tinte forti, avidamente consumate come surrogati emozionali in una vita sempre più anemica ed apatica, schiacciata sulla bidimensionalità di uno schermo, ieri del televisore, oggi dello smartphone.
Il film, assemblaggio psichedelico e visionario della realtà, come potrebbe apparire sotto gli effetti allucinogeni di una qualche sostanza in voga negli anni ‘90, è, quindi, la medesima cosa di ciò che vuole mettere alla berlina, ossia rappresenta il mondo, così come specchiato dalla coscienza del cittadino medio, ridotto a mero collage di immagini che si sovrappongono e si intersecano con altre immagini, senza più distinzione tra i ricordi intimi del proprio passato, proiettati nella cornice di una finestra della stanza di un motel e le immagini pubbliche provenienti da un vecchio televisore posto in un angolo della stessa stanza. I frames di cartoons sono innestati dal regista nell’azione, come lo sono nella corteccia cerebrale delle nuove generazioni, ad esaltare le gesta del protagonista, eroicizzato secondo gli stilemi della cultura di massa giovanile dell’epoca. Emblematica la riproposizione mediatica, nella versione parodistica di una sit comedy in stile horror demenziale, del passato di abusi e di violenze subite dalla protagonista, nella quale il drammatico si trasforma in grottesco e lo stereotipo della famiglia modello americana viene distopicamente stravolto nel suo opposto per strappare una risata o suscitare una reazione di disgusto, in poche parole per catturare l’attenzione di un pubblico cinico e distratto incapace di vera empatia.
La storia, presa a pretesto per dire altro, è quella di Bonnie e Clyde, rivisitata in chiave pulp da un soggetto tarantiniano, trasformati in mostri da baraccone dallo strapotere dei mass media, non più visti come strumento di condizionamento sociale, come in Nineteen Eighty-Four, bensì come industria atta a soddisfare il consumo bulimico ossessivo delle masse di simulacri di vita vissuta, oramai definitivamente perduta nell’orrido di un baratro senza fondo in cui cade, volando via, il candido velo delle sposa Bonnie, simbolo dell’innocenza irrecuperabile dello spettatore moderno e della stessa idea naif di riprodurre il reale attraverso le immagini.
A distanza di quasi trent’anni dalla sua realizzazione, il film risulta ancora godibile nei limiti della sopportazione dello stile artificiosamente innovativo, che partorisce sé stesso come prodotto paradigmatico, in una sorta di mimesi onomatopeica tra significante e significato, che ne penalizza la fruibilità e della disturbante didascalicità dei contenuti, declamati in forma di manifesto antisistema, in una delle ultime sequenze. Magnifica l’interpretazione della coppia diabolica di Woody Harrelson e di Juliette Lewis, inseriti, peraltro, in un cast straordinario, in cui spicca Tommy Lee Jones nella parte di un macchiettistico direttore di carcere in versione fumetto.
Impossibile rivederlo se lo si è già visto, impossibile da non vedere se non lo si è ancora visto.
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ennio
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mercoledì 8 novembre 2017
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comunque sia, un pezzo di cinema
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Rivisto dopo 20 anni, impressioni confermate. Un incontro-scontro tra due grandi personalità,Tarantino-Stone, che ha prodotto un guazzabuglio con tanti spunti piacevoli ma nel complesso forzato. Sembra davvero inconciliabile il dualismo tra l'uomo carnale, nostalgico, "di destra", Tarantino, e l'idealista e progressista Stone. Ciò che riesce bene all'uno stride se mescolato all'altro, due energie troppo diverse che si censurano tra loro. Apprezzabile la satira sociale e quella sui media, eccessiva la regìa quando tira dentro l'indiano buono e la freudiana e progressista convinzione che gli psicopatici protagonisti possano essere tali solo in quanto a loro volta vittime di tremendi abusi infantili.
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Rivisto dopo 20 anni, impressioni confermate. Un incontro-scontro tra due grandi personalità,Tarantino-Stone, che ha prodotto un guazzabuglio con tanti spunti piacevoli ma nel complesso forzato. Sembra davvero inconciliabile il dualismo tra l'uomo carnale, nostalgico, "di destra", Tarantino, e l'idealista e progressista Stone. Ciò che riesce bene all'uno stride se mescolato all'altro, due energie troppo diverse che si censurano tra loro. Apprezzabile la satira sociale e quella sui media, eccessiva la regìa quando tira dentro l'indiano buono e la freudiana e progressista convinzione che gli psicopatici protagonisti possano essere tali solo in quanto a loro volta vittime di tremendi abusi infantili. La storia, la cronaca, la scienza ha già provato che non è necessariamente così.
L'impressione che ne ho ricavato è simile a quella che avrei potuto avere a un concerto comune tra Beatles-Rolling Stones o Pink Floyd-Led Zeppelin. Per fortuna concerti mai realizzati.
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giuseppe garibaldi
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domenica 28 febbraio 2016
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un film di culto per la sua bruttezza
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Il film è uno splatter che inoltre pretende di farci una morale sul fascino che ha il crimine per l'uomo comune ("perchè è la nostra aspirazione" diceva Flaiano), pur essendo interamente basato su ciò... Il regista e lo scrittore hanno voluto fare un film che riuscisse brutto e sgradevole e non hanno fallito: la regia è schizofrenica e basata su continui flash, ma non c'è in questo nè logica, nè quella mancanza di razocinio che è anch'essa una qualità, ma la volontà di rincoglionire lo spettatore con una tecnica simile a quella pubblicitaria e una sciatteria di fondo della sceneggiatura e della regia.
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Il film è uno splatter che inoltre pretende di farci una morale sul fascino che ha il crimine per l'uomo comune ("perchè è la nostra aspirazione" diceva Flaiano), pur essendo interamente basato su ciò... Il regista e lo scrittore hanno voluto fare un film che riuscisse brutto e sgradevole e non hanno fallito: la regia è schizofrenica e basata su continui flash, ma non c'è in questo nè logica, nè quella mancanza di razocinio che è anch'essa una qualità, ma la volontà di rincoglionire lo spettatore con una tecnica simile a quella pubblicitaria e una sciatteria di fondo della sceneggiatura e della regia.
Dopo circa un'ora e mezza di violenza sbattuta in faccia a chi guarda, con una morbosità che ricorda le puntate di Vespa sul delitto di Cogne, il film prova finalmente a dire qualcosa: ovvero se si nasce tondi non si può morire quadrati, cioè se si nasce omicidi poco ci si può fare e in questo sconfinato universo poco cambia se si ammazza qualcuno. Oltre a ciò snocciola tesi che fanno fare un sorriso, come l'affermazione che siamo tutti omicidi perchè mangiamo altri animali (il protagonista è un fondamentalista vegano mancato?) e altre che sono di moda vista la loro stupidità, come il fascino del fuori legge che è uomo libero, quando invece la legge, e il monopolio della forza in capo alla stato servonl a tutelare anche lui e ad evitare che venga altrettanto brutalmente ammazzato dai parenti delle sue vittime (come si usava una volta ai tempi delle ordalie).
In conclusione il film è talmente stupido che non poteva non diventare di culto.
P.s: a quando un film per esaltare gli attentatori del bataclan?
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apropositodicinema
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mercoledì 6 gennaio 2016
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eccezionale
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Film che disordina tutte le convenzioni classiche del cinema.
Due ore piene zeppe di violenza visiva sconvolgente e grottesca che nascondono, in realtà, una ferocissima critica al potere dei media e, allo stesso tempo, una delle storie d'amore più solide e assurde che il cinema abbia mai offerto. [+]
Film che disordina tutte le convenzioni classiche del cinema.
Due ore piene zeppe di violenza visiva sconvolgente e grottesca che nascondono, in realtà, una ferocissima critica al potere dei media e, allo stesso tempo, una delle storie d'amore più solide e assurde che il cinema abbia mai offerto.
Montaggio e regia perfetti e letteralmente fuori di testa. Musiche stupende. Film eccezionale ed unico.
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jackiechan90
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lunedì 9 marzo 2015
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la verità della finzione
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Scandaloso, caleidoscopico, politicamente scorretto. gli aggettivi si susseguono a ritmo vorticoso per questo film divenuto una pietra miliare per gli amanti del cinema sperimentale grazie alle tecniche di ripresa che si mescolano continuamente per tutto il film. Ma è soprattutto un film fatto apposta per gli amanti dei film di violenza di cui Natural Born Killers rappresenta un compendio ben studiato. Non è tanto la narrazione, infatti, che si serve della violenza per esprimere al meglio i propri concetti, è esattamente il contrario: la violenza si fa narrazione tramite un procedimento estetizzante e sublimale che unisce uno stile da videoclip con ardite metafore(prima fra tutte quella del serpente di biblica memoria, elemento ricorrente in tutto il film) e citazioni colte spare qua e la(frammenti de Il mucchi selvaggio di Peckinpah e di Scarface di De Palma, sceneggiato dallo stesso Stone in una ironica autocitazione).
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Scandaloso, caleidoscopico, politicamente scorretto. gli aggettivi si susseguono a ritmo vorticoso per questo film divenuto una pietra miliare per gli amanti del cinema sperimentale grazie alle tecniche di ripresa che si mescolano continuamente per tutto il film. Ma è soprattutto un film fatto apposta per gli amanti dei film di violenza di cui Natural Born Killers rappresenta un compendio ben studiato. Non è tanto la narrazione, infatti, che si serve della violenza per esprimere al meglio i propri concetti, è esattamente il contrario: la violenza si fa narrazione tramite un procedimento estetizzante e sublimale che unisce uno stile da videoclip con ardite metafore(prima fra tutte quella del serpente di biblica memoria, elemento ricorrente in tutto il film) e citazioni colte spare qua e la(frammenti de Il mucchi selvaggio di Peckinpah e di Scarface di De Palma, sceneggiato dallo stesso Stone in una ironica autocitazione). Se il tema della coppia di delinquenti giovani è un topos cinematografico fin dai tempi di Gangster story qui assurge al ruolo di metafora per indicare la denuncia e la ribellione nei confronti di una società dei media che era all'epoca(primi anni 90) agli albori ma già faceva sentire il proprio peso sull'opinione pubblica(i video e i filmati della Guerra del Golfo e delle "bombe intelligenti") con la creazione di miti non sempre positivi. Di fronte a questo tipo di violenza gli unici personaggi positivi di tutta la storia sono, paradossalmente, proprio Mickey e Molly, i due novelli Bonny e Clyde, che abbassano il tono della violenza con l'uso dell'ironia e della risata creando un singolare effetto surreale come via di fuga e, nello stesso tempo, brechtiana astrazione di un mondo che sembra aver perso la bussola esattamente come i fotogrammi del film che si susseguono a ritmo dinamico e frammentato. L'ironia e l'uso intelligente della citazione(anche televisiva, mostrata in tuta la sua ridondanza e assurdo barocchismo)stemperano il tono drammatico della pellicola e rivelano la finzione dell'artificio, dei mezzi che pretendono di voler descrivere al realtà. La strada del cinema di violenza avrebbe poi preso altre strade andando nella direzione opposta, scegliendo di mostrare le proprie storie sotto l'egida dell'oggettività del reale(vedi Redacted di De Palma e i vari splatter movies) scegliendo di imitare lo stile documentaristico e giornalistico che, spesso, mente sapendo di mentire. Invece questo film si rivela molto onesto e coerente con il mostrare la propria finzione, scegliendo di essere quello che è, esattamente come i suoi protagonisti.
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jacopo b98
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martedì 20 gennaio 2015
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un film stupefacente! un capolavoro (del futuro)?
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I giovani Mickey (Harrelson) e Mallory (Lewis) attraversano gli Stati Uniti lasciandosi dietro una scia di sangue: omicidi, rapine, violenze di ogni genere. Lui l’ha salvata da un padre incestuoso (Dangerfield) e da una madre irresponsabile, lei lo ha seguito e lo seguirebbe fino in capo al mondo. Si amano sinceramente, e odiano il mondo intero. Per i media e per l’opinione pubblica diventano degli eroi, e quando sono arrestati, un giornalista (Downey Jr.) vuole fargli un’intervista. Ma non tutto andrà come previsto e i due tenteranno una spettacolare e pirotecnica fuga verso la libertà, sotto gli occhi adoranti della gente comune. Da un soggetto di Quentin Tarantino (che si autoescluse dal progetto quando Stone volle rileggere l’ironica sceneggiatura del futuro regista di Pulp Fiction in chiave drammatica), sceneggiato dal regista con David Veloz e Richard Rutowski, è il film più discusso della carriera di Stone.
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I giovani Mickey (Harrelson) e Mallory (Lewis) attraversano gli Stati Uniti lasciandosi dietro una scia di sangue: omicidi, rapine, violenze di ogni genere. Lui l’ha salvata da un padre incestuoso (Dangerfield) e da una madre irresponsabile, lei lo ha seguito e lo seguirebbe fino in capo al mondo. Si amano sinceramente, e odiano il mondo intero. Per i media e per l’opinione pubblica diventano degli eroi, e quando sono arrestati, un giornalista (Downey Jr.) vuole fargli un’intervista. Ma non tutto andrà come previsto e i due tenteranno una spettacolare e pirotecnica fuga verso la libertà, sotto gli occhi adoranti della gente comune. Da un soggetto di Quentin Tarantino (che si autoescluse dal progetto quando Stone volle rileggere l’ironica sceneggiatura del futuro regista di Pulp Fiction in chiave drammatica), sceneggiato dal regista con David Veloz e Richard Rutowski, è il film più discusso della carriera di Stone. E oggettivamente discutibile. Infatti il regista serve la storia di Mickey e Mallory in modo geniale e rivoluzionario: le sue idee di messa in scena sono da storia del cinema (l’infanzia-incubo di Mallory raccontata come una sit-com con applausi e risate pre-registrate, ecc.) e le scene memorabili non si contano (il caos nelle ultime scene, le sequenze con protagonista Tommy Lee Jones, ecc.), ma non manca nemmeno almeno uno scivolone retorico (l’intera scena del pellerossa) e nel complesso il film resta un film davvero troppo over per piacere a tutti ed essere apprezzato al 100%. Ripetiamo, la regia di Stone è epocale, gli interpreti indimenticabili (Harrelson, la Lewis, Downey Jr. e soprattutto un Tommy Lee Jones in fase-esaurimento nervoso mai così sopra le righe), ma il film pur nella sua ineccepibile, cinica, sconvolgente morale, e pur nel suo essere indiscutibilmente sconvolgente, potentissimo (un vero pugno nello stomaco), resta pur sempre un film “stupefacente, anche nel senso di drogato” (M.Morandini). Infatti Stone ci costringe per 2 ore a una quantità di immagini, suoni, emozioni, scene che quasi si rischia l’overdose. È un capolavoro? Forse, ma pur essendo passati già 20 anni dalla sua uscita è ancora troppo presto per dirlo. Ai posteri l’ardua risposta. Travolgente colonna sonora, fotografia indimenticabile di R. Richardson. Leone d’Argento e Gran Premio della giuria a Venezia.
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sverin
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venerdì 6 giugno 2014
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un film ignobile, diseducativo, da censurare!
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Nessuna stella per queste porcherie! .......poi non ci lamentiamo se qualcuno comincia a sparare sui passanti o versare sangue di innocenti.. e la fa franca mettendo su famiglie e bambini......la filmografia è piena di modelli....."affascinanti"da seguire!!! Se si creano i demoni , poi non ci lamentiamo se viviamo nell'inferno!!
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contrammiraglio
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mercoledì 16 aprile 2014
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oliviero non fa centro
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Oliviero tenta la carta grottesca, ma gli manca la verve di Tarantino, così come il sendo di Lynch, e tutto di Kubrick.
Ed un po meno lungo avrebbe giovato.
Insomma; da vedere ma non da mettere sul piedistallo.
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