Il passo del diavolo

Il pubblico è abituato a vedere Robert Taylor in tutte le parti, di buono e di cattivo, e il regista Anthony Mann non realizza mai film banali. "Il passo del diavolo" ("Devil's Doorway" nell'originale versione inglese) costruito nel 1950 con un ottimo bianco e nero, è senz'altro una dei suoi western più impegnati, perchè pone l'accento sulla difficile convivenza fra Bianchi e Pellirosse. Questa volta però il protagonista è un Indiano d'eccezione - Lance Poole - perchè reca sul petto la Medaglia d'Onore del Congresso, la più alta onorificenza militare concessa negli Stati Uniti. L'ha meritata, insieme ai galloni di sergente maggiore, militando tra le file nordiste durante la guerra di secessione, ma quando smette l'uniforme, alla gente di Medicine Bow, nel Wyoming, non sembra importare nulla dei suoi trascorsi. [+]

Il pubblico è abituato a vedere Robert Taylor in tutte le parti, di buono e di cattivo, e il regista Anthony Mann non realizza mai film banali. "Il passo del diavolo" ("Devil's Doorway" nell'originale versione inglese) costruito nel 1950 con un ottimo bianco e nero, è senz'altro una dei suoi western più impegnati, perchè pone l'accento sulla difficile convivenza fra Bianchi e Pellirosse. Questa volta però il protagonista è un Indiano d'eccezione - Lance Poole - perchè reca sul petto la Medaglia d'Onore del Congresso, la più alta onorificenza militare concessa negli Stati Uniti. L'ha meritata, insieme ai galloni di sergente maggiore, militando tra le file nordiste durante la guerra di secessione, ma quando smette l'uniforme, alla gente di Medicine Bow, nel Wyoming, non sembra importare nulla dei suoi trascorsi. Una legge iniqua non riconosce il suo diritto di proprietà ed un bieco avvocato divenuto sceriffo sobilla la gente contro di lui, spingendola ad uno scontro armato per impossessarsi della splendida vallata in cui egli ha avviato un prospero allevamento di bestiame. Taylor, nei panni di uno Shoshone, è convincente e patetico, mentre la sua partner Orrie Masters (Paula Raymond) - giovane avvocatessa che manifesta un debole per lui, pur rendendosi conto di non poter far nulla per la sua causa - lo è un po' meno. Il riferimento a questo personaggio femminile non è comunque casuale, perchè siamo nel periodo posteriore alla Guerra Civile Americana e proprio in quegli anni, nel Territorio del Wyoming (abitato allora da sole 9.000 persone di razza bianca) si impose la figura di Esther Hobarth Morris, che nel 1869 conquistò la parità dei diritti per le donne superando la diffidenza degli uomini. La "questione indiana" si trascinò invece per molti anni ancora e l'apertura verso la razza pellerossa subì addirittura un rallentamento dopo il massacro compiuto da Sioux e Cheyenne a Little Big Horn, nel 1876. Non per niente Mann ha scelto gli Shoshone per il suo film, trattandosi di una tribù che mantenne quasi sempre un atteggiamento amichevole verso gli Stati Uniti, fornendo ai loro condottieri militari - soprattutto al generale George Crook - decine di ausiliari da impiegare come esploratori. Tutto ciò, se da un lato bastò a far ritenere amici questi Indiani, non fu suffciente a farli accogliere alla pari nella società dei Bianchi. L'atto di sfida finale del Pellerossa, ormai morente per le ferite, suona come un beffardo atto d'accusa verso il popolo che egli ha servito sotto le armi: infatti si presenta in uniforme all'ufficiale che comanda la cavalleria, con i gradi e la medaglia in evidenza, facendogli un perfetto saluto militare che viene ricambiato. La scena conclusiva, con i superstiti Shoshone avviati verso la riserva, è malinconica e toccante. Ma è anche tremendamente reale.
Domenico Rizzi, scrittore. [-]