la nera
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venerdì 31 luglio 2020
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assolutamente sì
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giulio andreetta
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mercoledì 3 giugno 2020
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quando mancano le parole
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Il racconto di 8 e1/2, e la sua riflessione metacinematografica, potrebbe forse essere ascoltato ad uno dei capolavori di Pirandello, Trovarsi. Anche in questo caso sono di scena i soliloqui di una protagonista, un'attrice di successo, amareggiata e solitaria. Ma se in Pirandello la conclusione della piece lasciava tracce di sconforto nello spettatore, in questo caso il regista, al vertice della sua isprazione, sembra lanciare un messaggio di speranza. In un film in cui tutto appare difficile - soprattutto a mio parere il processo di identificazione con il protagonista (non tutti siamo così pronti ad identificarci in un personaggio talentuoso, geniale e di successo, un grande regista noto internazionalmente) - in realtà l'universalità della narrazione rende tutto così familiare e vicino a noi, da colpirci ed emozionarci in modo abissalmente mostruoso.
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Il racconto di 8 e1/2, e la sua riflessione metacinematografica, potrebbe forse essere ascoltato ad uno dei capolavori di Pirandello, Trovarsi. Anche in questo caso sono di scena i soliloqui di una protagonista, un'attrice di successo, amareggiata e solitaria. Ma se in Pirandello la conclusione della piece lasciava tracce di sconforto nello spettatore, in questo caso il regista, al vertice della sua isprazione, sembra lanciare un messaggio di speranza. In un film in cui tutto appare difficile - soprattutto a mio parere il processo di identificazione con il protagonista (non tutti siamo così pronti ad identificarci in un personaggio talentuoso, geniale e di successo, un grande regista noto internazionalmente) - in realtà l'universalità della narrazione rende tutto così familiare e vicino a noi, da colpirci ed emozionarci in modo abissalmente mostruoso. La scena finale è giustamente ricordata per essere uno dei vertici dell'arte cinematografica senza ulteriori specificazioni. La dimensione onirica, sempre viva in Fellini, è in questo caso presente non solo nel momento della narrazione del sogno vero e proprio, ma tende a sconfinare anche in una realtà, a tratti, per il protagonista, incomprensibile, e forse, in qualche caso, inaccettabile. Attriti e incomprensioni con la moglie e con l'amante (un'ottima Sandra Milo) sembrano sottolineare ancor di più una disperata situazione di stallo emotivo e materiale, che del resto si concretizza chiaramente nella difficoltà di Guido ad avanzare con la realizzazione del film. E poi, come sempre in Fellini, il ricordo nostalgico, a tratti disperatamente nostalgico, di alcuni personaggi che gli erano evidentemente cari, la Saraghina, Conocchia, le maestranze, la ragazza dall'accento americano, che si depositano in modo indelebile nella memoria di noi spettatori. In questa pellicola, a me pare, Fellini non ha paura di mostrare tutte le sue debolezze, le sue fragilità, e forse è proprio in questo coraggio nel manifestare la propria insicurezza, o la propria fragilità, che noi possiamo ravvisare tutta la grandezza del maestro. La colonna-sonora di Rota, come sempre ai vertici dell'arte musicale, completa il capolavoro, assieme alla superba recitazione di Matroianni, sempre misurato e solenne, ma 'vero' e autentico nell'indagine psicologica.
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achab50
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venerdì 29 maggio 2020
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amarcord
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L'ho visto per la prima volta al cinema, esattamente un cineforum come usava un tempo, nel lontano 1965, avevo 15 anni, ma mi colpì moltissimo, anche se non compresi esattamente tutto il meccanismo onirico-psicoanalitico che pervadeva e pervade tutto il film. Di seguito l'immancabile dibattito esasperante ed anche un tantino lugubre, Dobbiamo comprendere che era un film di rottura, una novità in campo cinematografico, e l'analisi psicanalitica felliniana si sarebbe compresa appieno ed apprezzata solo nelle opere successive.
Rivisto in Tv, 55 anni dopo, mi ha profondissimamente coinvolto perchè come capita a tutti nella vita ho incontrato parecchie pietre d'inciampo e più fallimenti che affermazioni.
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L'ho visto per la prima volta al cinema, esattamente un cineforum come usava un tempo, nel lontano 1965, avevo 15 anni, ma mi colpì moltissimo, anche se non compresi esattamente tutto il meccanismo onirico-psicoanalitico che pervadeva e pervade tutto il film. Di seguito l'immancabile dibattito esasperante ed anche un tantino lugubre, Dobbiamo comprendere che era un film di rottura, una novità in campo cinematografico, e l'analisi psicanalitica felliniana si sarebbe compresa appieno ed apprezzata solo nelle opere successive.
Rivisto in Tv, 55 anni dopo, mi ha profondissimamente coinvolto perchè come capita a tutti nella vita ho incontrato parecchie pietre d'inciampo e più fallimenti che affermazioni. Un Mastroianni al di sopra di ogni valutazione possibile, una affascinantissima Anouk Aimée oltre ad un parterre de roi di primo livello compongono una macchina teatrale perfetta. Le scene ormai appartenenti alla storia sono il colloquio coi genitori morti, il cardinale (preconciliare) di profondissima cultura ma del tutto avulso dal mondo reale, la Saraghina dei primi turbamenti, l'harem sognato, e la figura del produttore, il vecchio Rizzoli, che nella realtà confessò di aver finanziato il film senza che Fellini fosse riuscito (proprio come nel film) a spiegargli il senso, per non parlare della trama, che non c'è. Esistono ancora produttori del genere?
Un mondo, questo film rappresenta un mondo, nel quale, giunti ad una certa età, è inevitabile riconoscersi.
Mais où sont les neiges d'antan?
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francesco
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domenica 15 marzo 2020
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capolavoro
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fabiofeli
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lunedì 9 marzo 2020
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la vita non è fatta per essere felici
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Un uomo nell’auto bloccata dal traffico ha un accesso di tosse: l’abitacolo si riempie di fumo e i finestrini non si aprono; dalle auto accanto nei due sensi di marcia ci sono solo sguardi enigmatici di chi assiste al dramma. Una silhouette nera, una specie di crocifisso con la sciarpa che sventola, si allontana dall’auto e dal sottopassaggio, con un vento che soffia forte. In un controcampo dall’alto appare un piede in primo piano serrato da una corda, come un aquilone a 50 metri di altezza, tenuto da figure umane che gridano: “Dottore! … Venga giù!”. E’ solo la prima invenzione di situazioni e sequenze fantastiche.
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Un uomo nell’auto bloccata dal traffico ha un accesso di tosse: l’abitacolo si riempie di fumo e i finestrini non si aprono; dalle auto accanto nei due sensi di marcia ci sono solo sguardi enigmatici di chi assiste al dramma. Una silhouette nera, una specie di crocifisso con la sciarpa che sventola, si allontana dall’auto e dal sottopassaggio, con un vento che soffia forte. In un controcampo dall’alto appare un piede in primo piano serrato da una corda, come un aquilone a 50 metri di altezza, tenuto da figure umane che gridano: “Dottore! … Venga giù!”. E’ solo la prima invenzione di situazioni e sequenze fantastiche. Chi ha avuto l’incubo è Guido (Marcello Mastroianni), un regista cinematografico di successo, che si è impegnato con un produttore per un nuovo film e si trova a corto di idee. Ha fatto erigere una impalcatura su una spiaggia ma non sa come utilizzarla. Sta bevendo le acque alle terme di Montecatini nell’albergo più lussuoso. Quando un treno sbuffante porta Carla (Sandra Milo), la sua amante, nella stazione ferroviaria del paese, Guido la conduce in una modesta e quieta pensione lì vicino per non dare nell’occhio; ma ama cacciarsi nei pasticci ed invita la moglie (Anouk Aimée) a raggiungerlo; nel frattempo continua la cura dell’acqua lassativa e immagina Claudia (Claudia Cardinale) che, in camice candido, gli porge il bicchiere benefico. Nei sogni gli appare il padre che si lamenta del soffitto basso della sua tomba: “E’ brutto, Guido, è brutto!”. Ed anche la madre nella casa romagnola che lo coccola: “El mi’ pastrocc’ !” mentre i cugini lo sfottono cantilenando: “Il s’è-pissàto-addòsso”. Il fantasma che può apparire di notte è da esorcizzare con la parola ‘anima’, dicendolo con la lingua farfallina: A-sa NI-si MA-sa. Ma ormai il produttore e l’intera troupe assediano Guido che non sa cosa filmerà, mentre un odioso critico immaginario demolisce tutte le sue nuove idee …
Fellini sviluppa il suo più bel film, Oscar come miglior film straniero nel 1964, arricchendolo di scene straordinarie girate in Romagna e a Ostia: la Saraghina danza, satanica, davanti a Guido bambino, che poi viene punito, in ginocchio sui ceci secchi mentre gli altri mangiano nel refettorio del collegio; nel grande casale contadino Guido immagina la sua vita con tutte le sue donne, presenti e passate: non litigano tra loro e comprendono il suo egoismo maschilista anche quando fa salire in soffitta una vecchia fiamma, una soubrette; le preoccupazioni del produttore e dell’economo sono per le somme già spese e quelle di attori e comparse il copione ancora sconosciuto; il sospirato incontro di Guido con il cardinale alle terme partorisce una sola frase significativa: “La vita non è fatta per essere felici”; la conferenza stampa viene tenuta sul set dominato dall’astronave sulla spiaggia, inutile impalcatura dalla quale Guido scappa non sapendo che dire mentre una implacabile giornalista straniera sbotta in una risata: “Ah!Ah! He has nothing to say!”. E invece no. Guido-Fellini sa cosa dire e fare: un semplice girotondo.
Un film indimenticabile: perfetto per recitazione, fotografia (Di Venanzo), sceneggiatura (Flaiano, Pinelli, Rondi e Fellini) e musica (Rota).
Valutazione *****
FabioFeli
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great steven
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giovedì 2 gennaio 2020
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il mestiere di chi campa sulla propria fantasia.
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8½ (IT/FR, 1963) diretto da FEDERICO FELLINI. Interpretato da MARCELLO MASTROIANNI, ANOUK AIMéE, SANDRA MILO, CLAUDIA CARDINALE, ROSSELLA FALK, BARBARA STEELE, GUIDO ALBERTI, MARIO PISU, CATERINA BORATTO, ANNIBALE NINCHI, EDRA GALE, GIUDITTA RISSONE, POLIDOR
In crisi esistenziale e professionale, alle prese con un film da girare, un regista cinematografico fa una mobilitazione generale di emozioni, affetti, ricordi, sogni, complessi, bugie. Tutto ciò che lo circonda si ricopre di una languida stanchezza. I suoi rapporti interpersonali si fanno sempre più complessi, le sue esigenze richiedono soddisfacimenti molto arzigogolati e l’ispirazione si fa sentire a singhiozzo facendogli rincorrere un’idea dopo l’altra senza un materiale interessamento.
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8½ (IT/FR, 1963) diretto da FEDERICO FELLINI. Interpretato da MARCELLO MASTROIANNI, ANOUK AIMéE, SANDRA MILO, CLAUDIA CARDINALE, ROSSELLA FALK, BARBARA STEELE, GUIDO ALBERTI, MARIO PISU, CATERINA BORATTO, ANNIBALE NINCHI, EDRA GALE, GIUDITTA RISSONE, POLIDOR
In crisi esistenziale e professionale, alle prese con un film da girare, un regista cinematografico fa una mobilitazione generale di emozioni, affetti, ricordi, sogni, complessi, bugie. Tutto ciò che lo circonda si ricopre di una languida stanchezza. I suoi rapporti interpersonali si fanno sempre più complessi, le sue esigenze richiedono soddisfacimenti molto arzigogolati e l’ispirazione si fa sentire a singhiozzo facendogli rincorrere un’idea dopo l’altra senza un materiale interessamento. Fa costruire un’immensa impalcatura che forse servirà per le riprese di un film di fantascienza, ma nemmeno lui sa per che cosa l’abbia fatta edificare. In rotta sia con la moglie che con l’amante, incontra un vecchio amico anch’egli accompagnato da un’amante (per altro di trent’anni più giovane), allontana l’addetto agli effetti speciali della sua crew che da tempo strisciava ai suoi piedi per un po’ di considerazione, ascolta svogliatamente coloro che gli propongono nuovi improbabili sceneggiature, vede attrici anziane in attesa di tornare alla ribalta per un ultimo colpo di coda e, accanto a loro, soubrette d’avanspettacolo che bramano visibilità, discute coi tecnici che urlano, parla con un critico che gli smonta le ambizioni registiche con un linguaggio infidamente ermetico… cerca consolazione presso un cardinale che, in risposta ai suoi dubbi, gli porta all’attenzione i cardellini. Continuamente in bilico fra realtà e immaginazione, la mente gli riporta le memorie del passato: il padre che incontra in uno scenario sepolcrale; le prime trasgressioni ai tempi delle scuole elementari; la maga che gli legge il futuro con la formula "Asa nisi masa"; la prima terra oramai sepolta nella profondità dei sogni. I timori, i misteri, le curiosità e le afflizioni proseguono fino al girotondo finale, scevro dalle preoccupazioni solo in apparenza e comunque pregno della vivacità di una galleria di personaggi che non si possono dimenticare. Dino Buzzati lo definì la masturbazione di un genio. Fellini racconta la sua vita eliminando alla radice i problemi rappresentativi e la vergogna e si fa cantore nonché esecutore di un rivoluzionario modo espressivo che influenzò il cinema mondiale degli anni ’50 e ’60, rinnovamento cominciato già con La dolce vita. In molti lo ritengono la sua più alta espressione artistica, il capolavoro massimo di un estro creativo dai confini non rintracciabili perché sconfinati. Vale senza ombra di dubbio per la sua importanza stilistica nella rottura della drammaturgia tradizionale, che permette di adocchiare un sistema narrativo che si muove per scorci e confusioni, attingendo ai contributi tecnici e artistici in maniera polivalente. Con un Mastroianni qui più che mai alter ego di Fellini, questo film s’ammanta di una pesantezza greve ottimamente compensata da una carrellata di interpretazioni sui generis che, facendosi promotrici di un messaggio ben preciso, esplorano gli ambiti reconditi della sessualità, dell’amore, della pazienza e del tradimento. Il pessimismo di fondo non c’è, poiché, se anche 81/2 non propone certo un discorso dai risvolti positivi, il tema della memoria necessaria al recupero di un equilibrio interiore si riscatta da sé con l’auto-aiuto dei sogni: vivere contribuisce a sognare. Il sogno è alimentato e arricchito dalla vita, e ne viene evocato a ogni piè sospinto. È inutile drammatizzare sul grande palcoscenico dell’esistenza. Qui tutto si compie, tutti i misteri vengono identificati. Il mondo del regista sale di dimensione per assurgere al panismo. Si evolve nella sua prima persona, come una sorta di inferno e paradiso onnicomprensivi, efficacissimi: il cinema felliniano è complice e intrigante, ruffiano, blasfemo e religioso, sottaniere e creante disagio, eroico e vigliacco, uomo e donna, qualunquista, apolitico, periferico, olimpico, provinciale. Ma la soglia di fantasia, magia e sortilegio è altissima, conquistabile solo da Fellini. Lui lo descrisse come un misto fra una sgangherata seduta psicoanalitica e un disordinato esame di coscienza in un’atmosfera da limbo. Una tappa avanzata nella storia della forma romanzesca. Una costruzione in abisso a tre stadi. Un Ben-Hur del cinema d’avanguardia. «L’enfer c’est les autres», affermò Jean-Paul Sartre. Fellini ribalta la sentenza: la vita – e il cinema – sono gli altri, i vivi e i morti, gli esseri reali e le creature fantastiche. Bisogna accettarli tutti con amore, gratitudine, solidarietà. 2 Premi Oscar: costumi (Pietro Gherardi), miglior film straniero. 7 Nastri d’Argento: film, produttore, soggetto, sceneggiatura, S. Milo, musiche (Nino Rota), fotografia (Gianni Di Venanzo). Diario di bordo di un autore che diventa anche il tentativo di un autoritratto con l’ausilio della fantasia e il rapporto su un ingorgo esistenziale.
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efrem
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sabato 21 dicembre 2019
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recensione “8½”
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“8½” di Fellini è l'apice della sua arte, dei suoi sogni, dei suoi ricordi, dei suoi desideri, delle sue ossessioni. Mastroianni è il suo alter-ego perfetto. La pellicola è geniale nella sua realizzazione e nella sua forma narrativa soprattutto. Il titolo deriva dal fatto che questo film è l'ottava opera e mezzo del regista.
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fabio
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mercoledì 6 marzo 2019
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lo snaporaz che c'è dentro di noi
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Fellini si racconta attraverso il suo alter ego snaporaz. E mette dentro di tutto: i ricordi da bambino e da giovane. Chiama a raccolta tutto il mondo che lo circonda: produttori, scrittori, giornalisti e via dicendo. Ma soprattutto richiama a se tutte le donne della sua vita.
Vera ossessione sono queste donne per lui, l'uomo/bambino che fantastica, ne ha paura, sente l'angoscia ma anche l'irresistibile tentazione alla quale non sa' sottrarsi.
C'è poi la satira delicata della borghesia e delle sue volgarità, della chiesa come simulacro finto, ci siamo tutti perché lui ci chiama tutti, ognuno con la sua parte.
L'ipocrisia e la falsità lo tormentano ma spesso sono il rifugio migliore.
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Fellini si racconta attraverso il suo alter ego snaporaz. E mette dentro di tutto: i ricordi da bambino e da giovane. Chiama a raccolta tutto il mondo che lo circonda: produttori, scrittori, giornalisti e via dicendo. Ma soprattutto richiama a se tutte le donne della sua vita.
Vera ossessione sono queste donne per lui, l'uomo/bambino che fantastica, ne ha paura, sente l'angoscia ma anche l'irresistibile tentazione alla quale non sa' sottrarsi.
C'è poi la satira delicata della borghesia e delle sue volgarità, della chiesa come simulacro finto, ci siamo tutti perché lui ci chiama tutti, ognuno con la sua parte.
L'ipocrisia e la falsità lo tormentano ma spesso sono il rifugio migliore. Esemplare è il rapporto con una delle donne più importanti: la moglie che tradisce e non ha il coraggio di lasciare. Ma lui non riesce a lasciare nessuno, non ce la fa. Al massimo ti passa al livello superiore, quello del ricordo onorato.
Infine, non sapendo come concludere e tirare avanti la commedia tra arte e vita, furbescamente il caro Federico/snaporaz, l'uomo/bambino che non sa veramente voler bene, si assolve, si trova la scappatoia (ho bisogno di voi...) per poter tenere tutto e tutti al suo teatro/circo.
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stefanocapasso
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mercoledì 26 settembre 2018
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surreale ricerca del bambino interiore
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Guido è un regista in crisi che non sa come portare avanti il suo film di fantascienza. Il produttore incalza, il rapporto con la moglie non è buono e quello con l’amante procede stancamente. Proprio la noia e la stanchezza caratterizzano questa fase di stallo del film e della sua vita.
Fellini firma quello che è considerato il film d’autore per eccellenza, usando il dispositivo della mise en abyme, il film nel film. Nel protagonista trasferisce la sua stessa difficoltà di portare avanti quello che diventerà 8 e mezzo e lo usa per esplorare i suoi deliri onirici, i suoi rapporti familiari e amorosi; tutto è messo in discussione e in cerca di un senso perduto, che è parallelo a quello della società del tempo.
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Guido è un regista in crisi che non sa come portare avanti il suo film di fantascienza. Il produttore incalza, il rapporto con la moglie non è buono e quello con l’amante procede stancamente. Proprio la noia e la stanchezza caratterizzano questa fase di stallo del film e della sua vita.
Fellini firma quello che è considerato il film d’autore per eccellenza, usando il dispositivo della mise en abyme, il film nel film. Nel protagonista trasferisce la sua stessa difficoltà di portare avanti quello che diventerà 8 e mezzo e lo usa per esplorare i suoi deliri onirici, i suoi rapporti familiari e amorosi; tutto è messo in discussione e in cerca di un senso perduto, che è parallelo a quello della società del tempo. Una surreale riflessione pessimistica sulla condizione dell’uomo borghese e sui modi che adotta per dare un senso alla propria esistenza che è paragonata a quella di un circo ma che ha perso il contatto col bambino interiore. Proprio ritrovando quell’istinto e quella semplicità sarà possibile l’energia e l’ispirazione necessarie per completare il film
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parsifal
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martedì 30 gennaio 2018
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visioni e paure
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IL Maestro Fellini, nel 1963, giunga a realizzare uno dei suoi più controvesi ed attraenti capolavori.IL titolo deriva dal fatto che il film in questione, dopo i sei diretti da solo ed i tre , condiretti con altri autori, sarebbe giustappunto l'ottavo e mezzo. Il suo intento , come disse ai produttori, era quello di mettere in scena , i pensieri , i sogni , le paure di un uomo di mezz'età raggiunto da una crisi personale e professionale. Inizialmente ci furono delle difficoltà , il copione non esisteva ed il Maestro stesso non riusciva a dar corpo alle sue stesse idee . Poi , le cose si appianarono e conferito l'incarico a Mastroianni per interpretare Guido Anselmi, regista di mezz'età in crisi , si comincò con la lavorazione vera e propria.
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IL Maestro Fellini, nel 1963, giunga a realizzare uno dei suoi più controvesi ed attraenti capolavori.IL titolo deriva dal fatto che il film in questione, dopo i sei diretti da solo ed i tre , condiretti con altri autori, sarebbe giustappunto l'ottavo e mezzo. Il suo intento , come disse ai produttori, era quello di mettere in scena , i pensieri , i sogni , le paure di un uomo di mezz'età raggiunto da una crisi personale e professionale. Inizialmente ci furono delle difficoltà , il copione non esisteva ed il Maestro stesso non riusciva a dar corpo alle sue stesse idee . Poi , le cose si appianarono e conferito l'incarico a Mastroianni per interpretare Guido Anselmi, regista di mezz'età in crisi , si comincò con la lavorazione vera e propria. Guido si trova in una stazione termale , per ritrovare la sua forma perduta. E' seguito , oltre che dai medici, anche dalla corte multicolore; collaboratori di ogni specie, il solerte Conocchia che non sa più come portatre a termine il proprio lavoro, altri invece che approfittano del proprio ruolo per avere dei vantaggi di vario genere, un intellettuale, imposto dal produttore, grigio e tetro , che non fa altro che subissarlo di critiche, tentando di dissuaderlo da qualsivoglia afflato creativo. Le scene inerenti la realtà si sovrappongono alle visioni oniriche, in questo film particolarmente vivide e pungenti, oltrechè ai ricordi ed alle fantasie più profonde del protagonista. Che viene dipinto come un uomo volitivo , autoritario e notevolmente egoista e ciononostante circondato dall'affetto sincero di molti tra cui Carla ,,la sua amante , che lo ama candidamente, pur essendo relegata ai margini della sua vita. Memorabile la scena dell'harem che si svolge in casale contadino, luogo assai caro al regista, all'interno del quale si trovano le donne che hanno popolato la sua esistenza, Stanche del suo tiranneggiare, lo sottopongono ad un processo sommario , dal quale esce perdente. Vennero poi realizzati due finali , uno dei quali è stato rinvenuto solo di recente. Nella prima stesura , per facilitare la chiave di lettura dello spettatore , le scene oniriche erano virate seppia o blu, cosicchè potevano essere identificate più facilmente. Ma quest'accorgimento venne poi perso in fase di lavorazione, enon è detto che sia un pecca , poichè rende la narrazione non lineare ,come voleva il regista. Capolavoro incentrato su sè stesso, tra serio e faceto , tra inconscio e realtà , senza trascurare mai la fantasia, perchè come diceva lui stesso " Sono un gran bugiardo".
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