paolo 67
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mercoledì 16 novembre 2011
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l'importante è fare
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Dichiarazione d'amore di Fellini a Cinecittà (al suo 50° compleanno), il film più allegro degli ultimi Fellini, forse perchè guarda soprattutto al passato. Divertenti le partecipazioni dei membri della troupe nella parte di se stessi, compresi i figuranti il cui più insistente e sfortunato è il "chiodo" (che in "Ginger e Fred interpretò una decina di ruoli). Emozionante il momento in cui rievoca "La dolce vita" con Marcello Mastroianni e Anita Ekberg che si rivedono nel capolavoro di tanti anni prima. Non tenendo conto della partecipazione fuori concorso, una entusiasta giuria del Festival di Cannes gli assegnò il premio del quarantennale.
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Dichiarazione d'amore di Fellini a Cinecittà (al suo 50° compleanno), il film più allegro degli ultimi Fellini, forse perchè guarda soprattutto al passato. Divertenti le partecipazioni dei membri della troupe nella parte di se stessi, compresi i figuranti il cui più insistente e sfortunato è il "chiodo" (che in "Ginger e Fred interpretò una decina di ruoli). Emozionante il momento in cui rievoca "La dolce vita" con Marcello Mastroianni e Anita Ekberg che si rivedono nel capolavoro di tanti anni prima. Non tenendo conto della partecipazione fuori concorso, una entusiasta giuria del Festival di Cannes gli assegnò il premio del quarantennale. Gran Premio del XV Festival di Mosca.
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paride86
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martedì 7 ottobre 2008
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intervista
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Intervista è un film autobiografico senza essere narcisista, e questo è già un gran bel risultato. In realtà si parla di cinema, dal sogno che ispira la pellicola all'isteria dei registi, mostrando magnificenza e volgarità in maniera piuttosto onesta. Fellini non risparmia, dopo Ginger e Fred, un'ulteriore punzecchiata alla televisione, rappresentata come un feroce attacco di indiani ai danni dei poveri e genuini attori. Questo film lo vedo come una sorta di testamento cinematografico, soprattutto per le parole che il Maestro dice nel finale.
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sixoclock
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domenica 6 gennaio 2008
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omaggio a cinecittà
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Rivivono per quasi 2 orele atmosfere ed i volti di una dolce vita di tanto tempo fa, quando a Cinecittà gli elefanti ed i pellerossa facevano sognare sulla celluloide. Molti cameo brillanti e molte scene divertenti. Una Ekberg sempre bellissima ed un Mastroianni sempre padrone della scena. Doppiaggio pessimo :(
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(di andrea)
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mark10
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martedì 3 luglio 2007
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guardàtelo, guardàtelo, guardàtelo
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Una chiacchierata confidenziale. Un filmetto. Con queste parole, Federico Fellini parlava della sua penultima pellicola quando uscì. Chissà se scherzava o se cercava di compensare con uno sfoggio di modestia quell'alone di narcisismo che aveva profuso in tutta "Intervista", per altro l'unico difettuccio che in questo film gli si può appuntare insieme alle prestazioni non eccezionali di alcuni dei suoi attori. Già, chissà. Perchè, senza dubbio, non solo non si è al cospetto di un filmetto, ma si tratta anche di una delle vette espressive più alte raggiunte dal regista nel periodo successivo al binomio di capolavori assoluti "La dolce Vita" - "8 e mezzo".
Ma il vecchio volpone, ovviamente, mentiva sapendo di farlo: ciò che tradisce le sue parole è proprio il discorso portato avanti in tutta l'opera.
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Una chiacchierata confidenziale. Un filmetto. Con queste parole, Federico Fellini parlava della sua penultima pellicola quando uscì. Chissà se scherzava o se cercava di compensare con uno sfoggio di modestia quell'alone di narcisismo che aveva profuso in tutta "Intervista", per altro l'unico difettuccio che in questo film gli si può appuntare insieme alle prestazioni non eccezionali di alcuni dei suoi attori. Già, chissà. Perchè, senza dubbio, non solo non si è al cospetto di un filmetto, ma si tratta anche di una delle vette espressive più alte raggiunte dal regista nel periodo successivo al binomio di capolavori assoluti "La dolce Vita" - "8 e mezzo".
Ma il vecchio volpone, ovviamente, mentiva sapendo di farlo: ciò che tradisce le sue parole è proprio il discorso portato avanti in tutta l'opera. Un discorso che intreccia la vena nostalgica e sentimentale con, aspetto ben più interessante, un'analisi metalinguistica sul cinema di una luicidità impressionante. Nel raccontare per immagini ad una troupe giapponese venuta a Roma per intervistarlo, la sua vita, la sua macchina-cinema, i suoi attori, Fellini riesce a costruire una storia "a strati" in cui non si capisce mai bene se ciò che noi spettatori vediamo sia quello che la sua macchina da presa riprende, quello che si vedrebbe nel documentario giapponese o, più semplicemente, ciò che esce dalla sua vulcanica mente creativa. Il discorso, appunto, va a parare (ce ne accorgiamo strada facendo e ne abbiamo conferma alla fine) su una tematica ben precisa: la morte del cinema, o meglio, del Suo cinema, sotto l'assedio (straordinaria l'immagine degli indiani che attaccano la troupe con delle antenne televisive) di una nuova civiltà dell'immagine, quella governata dalla televisione.
Ora, se Fellini aveva colto vent'anni fa un fenomeno che oggi dilaga e che critici e massmediologi assortiti studiano alacremente, si vede che anch'egli, per forza di cose, doveva aver capito che il suo prodotto non era proprio una banalità.
In più, come al solito, il pifferaio si è divertito a manipolarci. E noi topolini, zitti e allineati a seguirlo a bocca aperta: infatti la commistione del cinema con altri generi di media ci è ogni volta nascosta, come detto prima, per essere poi svelata, quasi ad indicare che ormai il pubblico vede "tutto uguale" e non sa differenziare tra visione cinematografica (per esempio, la cinepresa di Fellini) e visione televisiva (per esempio, la telecamera della trupe giapponese).
Capace di barcamenarsi con assoluta disinvoltura tra momenti comici (specie a Cinecittà) e attimi di grande poesia (come nella villa della Ekberg, forse un mondo-altro che custodisce le scorribande del tempo), notevole nel condurre un'analisi tecnica e storica del cinema italiano, Fellini ci lascia un testamento, un'opera unica anche perchè inclassificabile per genere (sarebbe ingenuo e riduttivo, infatti, pensarla come un documentario).Un'opera in cui c'è il suo caotico tutto (gli inizi, i rapporti con i produttori, con il set, con le comparse, con Snaporaz-Mastroianni) e il niente di un raggio di luce finale a darci una speranza per il cinema.
Ma, pensando che nel mare di pochezza che ci offre oggi la tv, non c'è mai un posticino nel palinsesto (anche a tarda notte, per carità) per un'opera come questa e che forse tra i visitatori di questo sito nessuno l'ha mai ammirata (la mia è l'unica recensione), mi viene da pensare che quel raggio di luce sia stato anche per Fellini una bella illusione.
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(di mark10)
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[+] il raggio di luce esiste per pochi
(di andrea)
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