carloalberto
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sabato 6 febbraio 2021
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stanco sequel a tratti noioso
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Jack Nicholson funziona meglio davanti alla cinepresa che dietro. Di questo sequel del memorabile Chinatown di Polański, di circasedici anni prima, probabilmente non si avvertiva la necessità. Era già stato detto tutto e Robert Towne aveva dato il meglio di sé come sceneggiatore nella prima pellicola, per la quale del resto si era meritato l’Oscar.
Questo film si aggiunge tardivo e già stanco in partenza come un episodio posticcio, lento, a tratti noioso, abbellito esteticamente dai filtri rossi che accentuano il rosso ocra naturale del deserto californiano e rendono di un colore suggestivo ma purtroppo uniformemente omogeneo e stucchevole tutti i paesaggi.
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Jack Nicholson funziona meglio davanti alla cinepresa che dietro. Di questo sequel del memorabile Chinatown di Polański, di circasedici anni prima, probabilmente non si avvertiva la necessità. Era già stato detto tutto e Robert Towne aveva dato il meglio di sé come sceneggiatore nella prima pellicola, per la quale del resto si era meritato l’Oscar.
Questo film si aggiunge tardivo e già stanco in partenza come un episodio posticcio, lento, a tratti noioso, abbellito esteticamente dai filtri rossi che accentuano il rosso ocra naturale del deserto californiano e rendono di un colore suggestivo ma purtroppo uniformemente omogeneo e stucchevole tutti i paesaggi. Bellissimo il tramonto inquadrato dall’ufficio del detective privato grazie alla fotografia di Vilmos Zsigmond. E’ come se si fosse voluto sapientemente puntare sulla forma, consci che il racconto in sé desta scarso interesse.
Se non fosse per lo stesso Nicholson, attore ovviamente e non regista,ed Harvey Keitel, nella parte dell’antagonista di nome jack come il protagonista della vicenda, il film sarebbe inguardabile. Non c’è pathos né mordente, la storia non è avvincente ed il parlato è talmente eccessivo ed i personaggi a tal punto logorroici che a volte si perde il filo, con il risultato di trasformare un plot estremamente semplice in un garbuglio inestricabile di nomi e di fatti che si riallacciano in parte alla storia narrata in Chinatown. Eli Wallach fa una particina, quasi un cammeo e non aggiunge nulla ad un film che tenta la missione impossibile di ripetere il capolavoro di Polański.
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toty bottalla
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martedì 29 ottobre 2013
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trama ingarbugliata e visione annoiante!
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Non è un film che lascia ricordi emozionanti, la trama complicata rende i personaggi evanescenti e durante la visione scorre un pò di noia mentre l'ivestigazione procede lenta, la sceneggiatura, la regia e la fase thriller sembrano incerte e la fotografia spece negli esterni risulta natalizia, nicholson, sempre grande, va però apprezzato per altri lavori, se poi è doppiato da michele gammino ancora meglio. Saluti.
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joker 91
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lunedì 21 giugno 2010
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un film discreto
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parlo di un film che può essere considerato molto discreto sotto l aspetto della recitazione quando in ballo ce un mostro sacro come nicholson ed anche keytel fa la sua bella figura,tuttavia devo dire che sotto l aspetto registico nicholson non è il mostro sacro che è sotto l aspetto attoriale ed nel film ciò si vede e la pellicola resta lontana anni luce dal capolavoro di polansky con nick protagonista.
Il film ricalca molte situazioni dell originale ed è un sequel discreto che può essere visto senza problemi ma incompleto
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barnaby
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mercoledì 30 settembre 2009
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il grande inganno (1990) - barnaby
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Evelyn Mulwray è morta da 11 anni, ma insieme alla sua figlia-sorella, avuta dopo una violenza da parte del padre, è sempre nel cuore e nei pensieri di Jake Gittes, private eye di Los Angeles. Un giorno come tanti altri, nel suo ufficio arriva un cliente, il secondo Jake, che catapulterà (nel corso del film anche letteralmente) il detective in uno dei soliti giri di persone poco raccomandabili, stranamente legate al caso Mulwray.
Sedici anni dopo il primo capitolo firmato Polanski, J. Nicholson lavora contemporaneamente dietro e davanti alla macchina da presa per offrirci un seguito più che degno della storia lasciata in sospeso in quella Chinatown crudele e senza pietà del ‘37. Nicholson è invecchiato, ha messo su anche un po’ di pancia, e si adatta ancora di più al ruolo, che questa volta lo vede protagonista nel ’48.
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Evelyn Mulwray è morta da 11 anni, ma insieme alla sua figlia-sorella, avuta dopo una violenza da parte del padre, è sempre nel cuore e nei pensieri di Jake Gittes, private eye di Los Angeles. Un giorno come tanti altri, nel suo ufficio arriva un cliente, il secondo Jake, che catapulterà (nel corso del film anche letteralmente) il detective in uno dei soliti giri di persone poco raccomandabili, stranamente legate al caso Mulwray.
Sedici anni dopo il primo capitolo firmato Polanski, J. Nicholson lavora contemporaneamente dietro e davanti alla macchina da presa per offrirci un seguito più che degno della storia lasciata in sospeso in quella Chinatown crudele e senza pietà del ‘37. Nicholson è invecchiato, ha messo su anche un po’ di pancia, e si adatta ancora di più al ruolo, che questa volta lo vede protagonista nel ’48. H. Keitel sotto le righe è comunque convincente, ma il 1990 è stata una buona annata per il vecchio E. Wallach che ricoprì splendidamente due piccoli ruoli di supporto: questo, e il capo mafioso in Il padrino – Parte III. Meravigliose tonalità e atmosfere californiane.
Voto: 7,5
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