mauro.t
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martedì 29 novembre 2022
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melò horror on the road
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Liberamente tratto dal romanzo “Fino all’osso” di Camille DeAngelis, premio Alex nel 2016. Maren è una ragazza di 18 anni che viene abbandonata dal padre. Questi le lascia un nastro registrato, dove ne spiega i motivi. Maren, rimasta da sola, inizia a vagabondare per gli States e prende gradualmente coscienza del suo “problema”. Sulla strada incontra altre persone simili a lei, tra cui l’anziano Sully, che avrebbe piacere di continuare ad avere la sua compagnia, e il giovane Lee, un ragazzo col quale fraternizza e inizia un viaggio on the road. L’ossessione di Maren è di rintracciare la mamma, che non ha mai conosciuto, e alla fine la trova in un ospedale psichiatrico, dove lo sconvolgente incontro consentirà alla ragazza di collocare l’ultimo pezzo del puzzle che le mancava.
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Liberamente tratto dal romanzo “Fino all’osso” di Camille DeAngelis, premio Alex nel 2016. Maren è una ragazza di 18 anni che viene abbandonata dal padre. Questi le lascia un nastro registrato, dove ne spiega i motivi. Maren, rimasta da sola, inizia a vagabondare per gli States e prende gradualmente coscienza del suo “problema”. Sulla strada incontra altre persone simili a lei, tra cui l’anziano Sully, che avrebbe piacere di continuare ad avere la sua compagnia, e il giovane Lee, un ragazzo col quale fraternizza e inizia un viaggio on the road. L’ossessione di Maren è di rintracciare la mamma, che non ha mai conosciuto, e alla fine la trova in un ospedale psichiatrico, dove lo sconvolgente incontro consentirà alla ragazza di collocare l’ultimo pezzo del puzzle che le mancava. La storia si sviluppa come un thriller horror con diversi momenti di grande tensione. Dal momento che la caratteristica di Maren non può essere reale, ma deve essere per forza allegorica, lo spettatore che è sopravvissuto fino alla fine del film, si interroga in proposito. Se nel libro della vegana DeAngelis si voleva forse anche sensibilizzare ai problemi etici del consumo di carne, Guadagnino sembra puntare più all’indagine psico-sociale, toccando i temi della diversità scabrosa e della difficoltà di accettare il “mostro” dentro di sé. Ma più nello specifico sembra parlare della tendenza alla sopraffazione nelle relazioni, con l’interessante corollario della trasmissione tra genitori e figli. La ragazza ha ereditato la sua natura dalla madre e porta nel mondo questo tratto molto problematico, di cui non è colpevole e dal quale cercherà di liberarsi. Riuscirà alla fine l’amore a separarsi dalla tendenza distruttrice? Riuscirà il bene a trionfare? Guadagnino aveva forse in mente un film allegorico ed elaborato su un tema indubbiamene pesante e interessante, però riesce a confezionare la cosa peggiore: un melò horror on the road inadatto per stomaci deboli. Taylor Russel è troppo dolce per indossare i panni del mostro, un po’ più credibile risulta Timothee Chalamet, molto bravo è Mark Rylance. Guadagnino vince il Leone d’Argento 2022 a Venezia per la regia, ma il film non è di metallo pregiato.
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cardclau
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domenica 27 novembre 2022
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provaci ancora sam
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Noto che mai prima d’ora avevamo visto un pullulare così robusto di horror movie. Gli americani ne sono sicuramente i primi, ma noi europei occidentali non ne siamo molto da meno. Oltre allo sfoggio degli orrori “locali”, man bassa a chi ne inventa di più spaventosi, da disturbare il sonno anche più corazzato degli spettatori. Io penso che sia in parte dovuto al progressivo impoverimento dei linguaggi che l’individuo usa per entrare in relazione significativa con gli altri, alla sua disperata solitudine, alla mancanza di sentirsi nella testa di qualcuno. Adesso arriva il film BONES AND ALL di Luca Guadagnino, che non si accontenta dei soliti Vampiri o Zombie, li trasforma in Cannibali genetici, ereditari, di nascita, necrofilici da quando gli spuntano i denti, quindi senza speranza di redenzione.
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Noto che mai prima d’ora avevamo visto un pullulare così robusto di horror movie. Gli americani ne sono sicuramente i primi, ma noi europei occidentali non ne siamo molto da meno. Oltre allo sfoggio degli orrori “locali”, man bassa a chi ne inventa di più spaventosi, da disturbare il sonno anche più corazzato degli spettatori. Io penso che sia in parte dovuto al progressivo impoverimento dei linguaggi che l’individuo usa per entrare in relazione significativa con gli altri, alla sua disperata solitudine, alla mancanza di sentirsi nella testa di qualcuno. Adesso arriva il film BONES AND ALL di Luca Guadagnino, che non si accontenta dei soliti Vampiri o Zombie, li trasforma in Cannibali genetici, ereditari, di nascita, necrofilici da quando gli spuntano i denti, quindi senza speranza di redenzione. Non si tratta della stessa cosa di quando diciamo di un bebè: “è così bello che mi viene voglia di mangiarlo!” Ma oltre all’uso smodato della salsa di pomodoro, il regista non incontra le mie simpatie perché confonde il desiderio di morte e il desiderio d’amore, in un mélange posticcio buono per disorientare un pubblico già impressionato. Il desiderio d’amore nasce dalla capacità di fidarsi e di affidarsi. Non dal bisogno di penetrare o essere penetrato. Ma qui non ti puoi fidare neanche della tua ombra.
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johnny1988
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martedì 29 novembre 2022
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pasto incompleto
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Guadagnino è forse uno dei registi-autori italiani più popolari ma anche maledetti. Snobbato anni fa dai critici e dai distributori che vedevano in lui un falso intellettuale, di quei parvenu della penultima generazione che si infiltravano nei salotti borghesi con un Hawthorne sottoascella, nel giro di un film soltanto e la benedizione del pubblico che ha visto il CAPOLAVORO in una storia altolocata gay e nella scelta azzeccata di due belloni, Luca Guadagnino si riscatta e si consacra star in Italia e all'estero.
Sicuramente un “Muccino” più preparato e con più libri (letti) da mostrare, ma non per forza un Visconti, con cui condivide i natali ma non la stessa raffinatezza.
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Guadagnino è forse uno dei registi-autori italiani più popolari ma anche maledetti. Snobbato anni fa dai critici e dai distributori che vedevano in lui un falso intellettuale, di quei parvenu della penultima generazione che si infiltravano nei salotti borghesi con un Hawthorne sottoascella, nel giro di un film soltanto e la benedizione del pubblico che ha visto il CAPOLAVORO in una storia altolocata gay e nella scelta azzeccata di due belloni, Luca Guadagnino si riscatta e si consacra star in Italia e all'estero.
Sicuramente un “Muccino” più preparato e con più libri (letti) da mostrare, ma non per forza un Visconti, con cui condivide i natali ma non la stessa raffinatezza. E i cannibali teenagers di Bones and All mettono sotto test l'infrangibilità della sua ascesa.
Il testo omonimo del 2015 di Camille DeAngelis viene interpretato qui da Taylor Russell e Timothee Chalamet e segue il lungo viaggio on the road di una giovane antropofaga, abbandonata dal padre, che si accompagna a un altro ragazzo cannibale come lei, alla ricerca della madre, la quale tanti anni addietro ha deciso di farsi internare in una casa di igiene mentale. Il viaggio iniziatico si trasforma presto in una storia d'amore e nel tentativo dei due innamorati di mimetizzarsi nella soscietà e di trattenere, per scelta morale, la loro fame assassina.
Non importa aver visto (né amato) i già lustri “Addiction” di Abel Ferrara, “Only Lovers Left Alive” di Jim Jarmush e nemmeno “Twilight” per accorgersi che di “vampiri” parliamo. Senza però il fantasy e il folklore letterari. Di condiviso con i suoi prototipi, c'è in questo film sicuramente una matrice romantica, “carnale” appunto, che nella sua allegoria si vogliono descrivere l'emarginazione e un'umanità subordinata alle convenzioni. Non a caso la storia viene ambientata pochi anni prima della minaccia dell'AIDS. Ma se da un lato si loda il sottotesto socio-politico, dall'altro è impossibile trattenere il sorriso di fronte all'horror ora truculento ora anche comico, tipico di stragrande parte del cinema di questo filone, con zero spazio per l'immaginazione, fra gli sguardi alla “Intervista col Vampiro” e una mamma tutta matta che cerca di magnarsi la figlia, vuoi per amore, vuoi per astinenza.
Il limite del film non sta tanto nell'esposizione dell'orrore e della mostruosa natura predatoria dell'uomo, che forse trova anche un senso in questa trasposizione che trascende il genere, bensì probabilmente nell'incapacità consolidata di Guadagnino di creare due antieroi con cui creare una relazione empatica, più freddi e poco interessanti anziché contorti e seducenti. Intorno a un tema fuori tempo massimo, quello delle malattie a trasmissione sessuale. A meno che non si voglia parlare di no Vax e riapparizione del vaiolo.
Complice una scelta della fotografia, attentissima a restituirci attori sempre frontali e bellissimi, pur insanguinati, piuttosto che profondi e ripresi dal profilo peggiore. Con anche un macabro antagonista di repertorio ora scrupoloso come un fruttariano poi spietato come un avvoltoio.
Un film in fondo in fondo da vedere, ma con la dovuta distanza, come da Hannibal.
Sceneggiatura dell'inseparabile David Kajganich, fotografia pastosa e ipercontrastata di Arseni Khachaturan, musiche di Trent Reznor e Atticus Ross (già premiati all'Oscar per Soul, della Pixar). Il film é stato cosí voluto da essere infine prodotto da regista, attore principale e sceneggiatore insieme.
L'espressione Bones and All (traducibile con “le ossa e tutto il resto”) è da intendersi nell'esperienza unica ed epifanica di mangiare un uomo fino al midollo.
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felicity
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venerdì 24 febbraio 2023
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cannibalismo come metafora della diversità
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Bones and All racconta una potente storia d'amore e cannibalismo, in cui due solitudini si incontrano e si riconoscono, legittimando per la prima volta la loro esistenza. Un viaggio on the road che passa attraverso l'accettazione della propria natura per arrivare alla scoperta di se stessi.
Il film rappresenta l’occasione di viaggiare attraverso le infinite strade e i paesaggi sconfinati del territorio statunitense. Un viaggio reale, alla scoperta di un Mid-West degli anni Ottanta ricco di contraddizioni, dove l’espansione economica va a braccetto con una realtà di profonda emarginazione sociale. Ma anche un viaggio inteso come metafora di quel senso di smarrimento che provano Maren e Lee, così come moltissimi giovani d’oggi.
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Bones and All racconta una potente storia d'amore e cannibalismo, in cui due solitudini si incontrano e si riconoscono, legittimando per la prima volta la loro esistenza. Un viaggio on the road che passa attraverso l'accettazione della propria natura per arrivare alla scoperta di se stessi.
Il film rappresenta l’occasione di viaggiare attraverso le infinite strade e i paesaggi sconfinati del territorio statunitense. Un viaggio reale, alla scoperta di un Mid-West degli anni Ottanta ricco di contraddizioni, dove l’espansione economica va a braccetto con una realtà di profonda emarginazione sociale. Ma anche un viaggio inteso come metafora di quel senso di smarrimento che provano Maren e Lee, così come moltissimi giovani d’oggi. Il sogno dei protagonisti di Bones and All, infatti, è quello di trovare un posto che possano finalmente chiamare “casa” e in cui non dover temere più il rifiuto. Cercando di raggiungere questo obiettivo, i due compiranno un profondo processo di trasformazione, proprio come nella più genuina tradizione delle pellicole on the road.
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silver90
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mercoledì 15 marzo 2023
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un'allegoria potente dell'esistenza umana
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Il cinema di Guadagnino è ancora quella frontiera dove l’estetica della mescolanza, intesa come l’unione nucleare di elementi variabili, riesce a prevalere sull’esigenza, del tutto umana, di separare il bene dal male - le anime dai corpi - o, al contrario, di fonderli in maniera invariabile e, pertanto, inscindibile. In Bones and all, storia d’amore e cannibalismo, come nel precedente vampiresco Only lovers survive (Solo gli amanti sopravvivono), questa tendenza si rivela nella potenza delle immagini, che inquadrano la vastità delle terre americane in una cornice universale e metaforica, a simboleggiare proprio quella perdita di confini che pertiene di diritto solo alle creature misteriose, ‘aliene’.
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Il cinema di Guadagnino è ancora quella frontiera dove l’estetica della mescolanza, intesa come l’unione nucleare di elementi variabili, riesce a prevalere sull’esigenza, del tutto umana, di separare il bene dal male - le anime dai corpi - o, al contrario, di fonderli in maniera invariabile e, pertanto, inscindibile. In Bones and all, storia d’amore e cannibalismo, come nel precedente vampiresco Only lovers survive (Solo gli amanti sopravvivono), questa tendenza si rivela nella potenza delle immagini, che inquadrano la vastità delle terre americane in una cornice universale e metaforica, a simboleggiare proprio quella perdita di confini che pertiene di diritto solo alle creature misteriose, ‘aliene’. La differenza è che qui essa si costituisce come un 'allegoria potente dell'esistenza umana, definita non come un atto di aggressione all'altro, ma di sopravvivenza estrema. Marginali e fuori contesto sono anche i famelici istinti dei due protagonisti, costretti da una fame “incontrollabile” a vivere come sbandati pronti a tutto per saziarsi – paradossalmente in un’epoca di liberismo sfrenato, come quella dei reaganiani anni ’80. Il padre di Mauren, pur avendola cresciuta da solo, l’ha abbandonata dopo un attacco di quella fame atavica e le ha lasciato, prima di scomparire, soltanto una cassetta per mettersi sulle tracce di una madre biologica mai conosciuta prima; il giovane Lee che, al contrario di lei, sembra aver fatto presto i conti con la sua vera natura, esita ad accoglierla sul suo camioncino, ma alla fine è costretto a cedere per effetto proprio di quella naturale ‘inclinazione’ comune. Al momento del loro primo incontro, dunque, mentre i corpi dei bravissimi Thimotée Chalamet e Taylor Russell, sin da subito sporchi di sangue, stanno ancora fiutando l’occasione, riconosciamo subito una somiglianza che contiene in sé già l’esito di una tensione antica, primordiale, la stessa che porta le anime in eterno deliquio tra Eros e Thanatos a decidere di incrociare le loro strade: infatti, anche se il percorso che ha portato Maureen da Lee è stato deciso a priori da qualcun altro, l’aver conosciuto in precedenza uno stralunato quanto spietato outsider, Sally, impersonificato da Mark Rylance, assumerà, a posteriori, i contorni di un’esiziale scoperta, che farà accendere in lei una miccia di verità e consapevolezza, propellenti esaltanti lungo un coming of age che di ordinario non ha nulla, nemmeno la follia.
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silver90
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martedì 28 marzo 2023
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quando l'amore è "cannibale"
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Il cinema di Guadagnino è ancora quella frontiera dove l’estetica della mescolanza, intesa come l’unione nucleare di elementi variabili, riesce a prevalere sull’esigenza, del tutto umana, di separare il bene dal male, le anime dai corpi - o, al contrario, di fonderli invariabilmente in un'unità inscindibile. In Bones and all, storia d’amore e cannibalismo, che si collega idealmente al precedente vampiresco Only lovers survive (Solo gli amanti sopravvivono) di Jim Jarmusch, questa tendenza si rivela nella potenza delle immagini, che inquadrano la vastità delle terre americane in una cornice universale e metaforica, a simboleggiare proprio quella perdita di confini che pertiene di diritto solo alle creature misteriose, ‘aliene’.
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Il cinema di Guadagnino è ancora quella frontiera dove l’estetica della mescolanza, intesa come l’unione nucleare di elementi variabili, riesce a prevalere sull’esigenza, del tutto umana, di separare il bene dal male, le anime dai corpi - o, al contrario, di fonderli invariabilmente in un'unità inscindibile. In Bones and all, storia d’amore e cannibalismo, che si collega idealmente al precedente vampiresco Only lovers survive (Solo gli amanti sopravvivono) di Jim Jarmusch, questa tendenza si rivela nella potenza delle immagini, che inquadrano la vastità delle terre americane in una cornice universale e metaforica, a simboleggiare proprio quella perdita di confini che pertiene di diritto solo alle creature misteriose, ‘aliene’. La differenza è che qui essa si costituisce come un’allegoria potente dell'esistenza umana, definita a partire da una situazione di emarginazione e, pertanto, intesa non come un atto di aggressione all'altro, ma di sopravvivenza estrema a condizioni avverse, siano esse date dalla nascita o acquisite per esperienza. Marginali e fuori contesto, come i loro famelici istinti, sono infatti i due protagonisti,– paradossalmente in un’epoca di liberismo sfrenato, come quella dei reaganiani anni ’80. Al momento del loro primo incontro, mentre i corpi dei bravissimi Taylor Russell e Thimotée Chalamet, sin da subito sporchi di sangue, stanno ancora fiutando l’occasione, riconosciamo subito una somiglianza che contiene in sé già l’esito di una tensione antica e primordiale, la stessa che porta le anime in eterno deliquio tra Eros e Thanatos a decidere di incrociare le loro strade: il padre di Maren, pur avendola cresciuta da solo, l’ha abbandonata dopo un attacco di quella fame atavica e le ha lasciato, prima di scomparire, soltanto una cassetta per mettersi sulle tracce di una madre biologica mai conosciuta prima; il giovane Lee che, al contrario di lei, sembra aver fatto presto i conti con la sua vera natura, esita ad accoglierla sul suo camioncino, ma alla fine è costretto a cedere per effetto proprio di quella ‘inclinazione’ comune. Per Maren il percorso che l’ha portata da Lee è stato deciso a priori da qualcun altro, ma l’aver conosciuto in precedenza uno stralunato quanto spietato outsider, Sally, impersonificato da Mark Rylance, assumerà, a posteriori, i contorni di una scoperta esiziale per entrambi: tutto ciò che aveva acceso in loro una speranza altro non è che la miccia di un viaggio conoscitivo e di esplorazione di sé stessi e del mondo ben più complesso e articolato. Altri incontri, al confine con il soprannaturale, arriveranno a sconvolgere il fragile equilibrio della coppia: tra questi, spicca il cameo di Michael Sthulberg e David Gordon Green nei panni di due sconosciuti e inquietanti 'compagni di tenda', capaci di sfidare anche i limiti che la loro stessa condizione ha imposto loro. In particolare, l’asserzione di uno dei due, che dà anche il titolo al film, mette in luce lo strano percorso verso l'autodeterminazione dei protagonisti, costretti da una fame ‘incontrollabile’ a vivere come sbandati pronti a tutto per saziarsi, ma spinti a muoversi in cerca di risposte ancora più difficili da sostenere. Grazie a un abile montaggio visivo e sonoro, Guadagnino dà il meglio di sé nel seguire un filo narrativo lineare e coerente con i personaggi in quello che è, a tutti gli effetti, un road movie con diversi finali apparenti: quando anche una parvenza di normalità sembra raggiunta negli spazi angusti di un comune interno domestico, ecco che l’incontro di Maren con la madre, un’allucinazione visiva che veste i panni sconvolgenti di Chloe Sevigny, o il racconto di Lee sul suo tumultuoso passato, aprono squarci di verità e consapevolezza che sono propellenti esaltanti (ma non per questo meno spaventosi) lungo un coming of age che di ordinario non ha nulla, nemmeno la follia.
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tess
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sabato 10 dicembre 2022
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una, tutte le storie d’amore
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Se è vero che ogni storia d’amore è diversa, è vero anche che il primo amore dà le stesse sensazioni a quasi tutti. E questa è LA storia d’amore, riesce a trasferire proprio le sensazioni bellissime del primo amore (stupenda l’inquadratura del braccio e poi dello sguardo di lui che si sposta sullo sguardo e segna onestato momento in cui nasce l’amore in lei). La storia dei cannibali invece é scontatissima è noiosa, ma a me personalmente è sembrata solo un pretesto (e quindi va bene che sia banale) per raccontare il primo amore.
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silvano bersani
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giovedì 24 novembre 2022
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un film duro ma una grande opera d''autore
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Dissimulato dentro l'eleganza formale che è la cifra stilistica di Guadagnino, ai confini tra lo splatter, mai esibito con compiacimento, ma che comunque è elemento fondante non prescindibile di questa opera, sullo sfondo della grande pianura della provincia americana che ha riempito tanto bel cinema d'autore, un film che arriva come un pugno nello stomaco. E non tanto per il pretesto narrativo, che è appunto il pretesto di una grande metafora, ma piuttosto per la durezza e la mancanza di sconti con cui il regista entra chiturgicamente nella dimensione esistenziale dei suoi personaggi. Dimenticatevi i film patinati a cui Guadagnino ci ha abituati nelle sue opere più acclamate.
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Dissimulato dentro l'eleganza formale che è la cifra stilistica di Guadagnino, ai confini tra lo splatter, mai esibito con compiacimento, ma che comunque è elemento fondante non prescindibile di questa opera, sullo sfondo della grande pianura della provincia americana che ha riempito tanto bel cinema d'autore, un film che arriva come un pugno nello stomaco. E non tanto per il pretesto narrativo, che è appunto il pretesto di una grande metafora, ma piuttosto per la durezza e la mancanza di sconti con cui il regista entra chiturgicamente nella dimensione esistenziale dei suoi personaggi. Dimenticatevi i film patinati a cui Guadagnino ci ha abituati nelle sue opere più acclamate. Se mai la critica è stata dura nei suoi confronti imputandogli una cinematografia calligrafica e formale, stavolta si prende una grossa rivincita affermando con forza la sua capacità di scavare nelle pieghe dolorose di una umanità dolente e disperata. I suoi personaggi gridano un angoscioso bisogno di amore, a cui nulla potrà dare soddisfazione. Ad un certo punto il protagonista dice all'altra "vivi quello che sei, o ucciditi o consegnati ad un manicomio", ed è su queste alternative senza possibilità di risoluzione su cui si gioca la narrazione.
Ma il film si presta a molti altri livelli di lettura. Chi è veramente il mostro? A chi la narrazione può dare il beneficio di una assoluzione? Il regista ci consegna queste domande senza mai indulgere in frammenti di risposta, come se volesse dirci che nessuno esce indenne dalla propria vicenda umana. Rispetto a questo siamo tutti disperatamente soli. C'è un aspetto del film, che forse passa in secondo piano, ma che richiama il plot narrativo dell'immenso Ferro 3 di Kim Ki-Duk,e cioè quando i protagonisti occupano materialmente le case delle loro vittime, ed in quelle case apparentemente ordinate, pulite, perbene, case che Guadagnino fotografa quasi con il taglio di riviste di architettura, ma dalle quali emergono con inqietudine elementi di un degrado malato e morboso.
E non si può, infine, non rimanere ammaliati dalla superba capacità sintattica nell'uso della macchina da presa e nel montaggio serrato e drammatico. Da grande scuola cinematografica. Uno stato di grazia ed una maturità espressiva indiscutibile.
Un film duro, a tratti ostico nella dilatazione dei tempi, ma da vedere assolutamente come una delle cose più interessanti che si si è visto sugli schermi in questa stagione post-pandemica.
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storyteller
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giovedì 1 dicembre 2022
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quando il cuore è più forte del sangue
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L'amore può assumere molte forme, non tutte necessariamente piacevoli - come ben saprà chi ha intrecciato più di una relazione sentimentale -, ma quella raccontata nel film di Guadagnino è una storia romantica a suo modo tradizionale, in cui al timore del rifiuto subentra una timida presa di coscienza, seguita da trepidazione, desiderio, (ri)scoperta delle reciproche vulnerabilità e, soprattutto, dall'impellente necessità di proteggere e sostenere l'altro.
Non tutti i mostri sono mostri per scelta: alcuni, come i protagonisti di "Bones and all", lo sono a causa di un mero imperativo biologico, e malgrado questo non vada ad intaccare in maniera sensibile la loro moralità, li spinge a vivere perseguitati dallo spettro di un onnipresente giudizio e a convivere con il peso delle proprie azioni.
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L'amore può assumere molte forme, non tutte necessariamente piacevoli - come ben saprà chi ha intrecciato più di una relazione sentimentale -, ma quella raccontata nel film di Guadagnino è una storia romantica a suo modo tradizionale, in cui al timore del rifiuto subentra una timida presa di coscienza, seguita da trepidazione, desiderio, (ri)scoperta delle reciproche vulnerabilità e, soprattutto, dall'impellente necessità di proteggere e sostenere l'altro.
Non tutti i mostri sono mostri per scelta: alcuni, come i protagonisti di "Bones and all", lo sono a causa di un mero imperativo biologico, e malgrado questo non vada ad intaccare in maniera sensibile la loro moralità, li spinge a vivere perseguitati dallo spettro di un onnipresente giudizio e a convivere con il peso delle proprie azioni.
Contrariamente a quanto affermano le parole stizzite di certi spettatori dal disgusto facile, non parliamo di un'opera eccessivamente cruenta o impressionante: a dispetto dei temi trattati, la pellicola si distingue per una sorprendente levità, un lirismo naturalista ed essenziale che occasionalmente beneficia della straordinaria colonna sonora industrial di Trent Reznor per punteggiare le sequenze più crude.
Uno dei meriti più grandi che gli attribuisco è di rappresentare - insieme a "Una storia vera" di David Lynch - un rarissimo caso di film "on the road" privo di quel retrogusto pretestuoso che caratterizza altri esponenti dello stesso genere. Qui il costante bisogno di muoversi è giustificato, sia da evidenti motivazioni pratiche che dalle opposte forze che muovono i protagonisti, l'una in cerca della propria famiglia e l'altro perennemente in fuga per proteggerla. C'è una bellezza pittorica nel continuo intervallarsi di cittadine e campagne, eppure, sotto sotto, balugina la speranza agrodolce di fermarsi e mettere radici, lo struggente miraggio di una vita "normale" che accomuna quasi tutte le anime vagabonde.
Molto buona la prima parte, un po' più farraginosa quella centrale. A brillare sono però i bravissimi Taylor Russell e Timothée Chalamet, capaci d'infondere ai loro personaggi il tenero soffio vitale di una giovinezza venata dai germogli di una maturità precoce, due bambini saggi che navigano alla cieca, feriti ma - e che splendido contrasto - sempre e comunque incorrotti.
Peccato per l'epilogo, di cui condivido appieno la filosofia e l'idea (neanche troppo latente) di romanticismo, ma a mio avviso un po' forzato e ridondante sul piano narrativo - al netto di un'immagine finale che sprigiona una straordinaria forza evocativa riallacciandosi in modo brillante alla sequenza di apertura.
In conclusione, "Bones and all" è un film che tratta solo in apparenza di omicidi e carnalità tribale, ammantandosi di una commovente tensione verso la vita, piuttosto che di una cinica smania di sopravvivenza. Il suo più grande pregio, in definitiva, è anche il suo maggior difetto: la fusione di generi è equilibrata e quando funziona ha del miracoloso, ma l'impressione postuma è che i turbamenti emotivi fossero resi con maggior efficacia in "Chiamami col tuo nome", e che l'orrore grottesco funzionasse meglio nel remake di "Suspiria".
Il mio voto finale è tre stelle. Alzo la valutazione di un punto perché trovo che un regista italiano in grado di andare oltre la vetusta idea di cinema radicatasi nel nostro Belpaese vada premiato.
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