Tre piani

Ovazione a Cannes il film di Nanni Moretti un urlo contro il torpore

La prima impressione che il film di Nanni Moretti lascia nello spettatore è di sconcerto. Per una buona metà si rischia di non mettere a fuoco il progetto del regista, che ci conduce in un mondo strano, il cui senso si svela poco a poco. Finché ci accorgiamo che questo film - ovazione con undici minuti di applausi ieri sera alla prima - in apparenza chiuso e ovattato ci parla con grande profondità e sincerità del nostro presente. Un condominio del quartiere Prati, famiglie che abitano su tre piani. Il figlio (Sperduti) di un giudice severo (Moretti) investe ubriaco una passante, uccidendola. Un professionista (Scamarcio) è convinto che la figlia sia stata molestata dal vicino (Graziosi), e contemporaneamente è attratto dalla giovanissima nipote di lui (Tantucci). Una donna che ha appena partorito (Rohrwacher) è lasciata sola dal marito sempre in viaggio (Giannini). Pur prendendo spunto dal romanzo di Eshkol Nevo e mantenendone personaggi e situazioni, il film di Moretti lo stravolge: i tre piani diventano momenti temporali successivi, tre parti separate ognuna da cinque anni di distanza. E, metaforicamente, tre stagioni: un inverno, una primavera, un' estate. Perché Tre piani è la storia, o meglio la speranza, di un risveglio; ma soprattutto la descrizione di un letargo affettivo e morale. C' è un' aria di infelicità, di depressione in queste vite di borghesi romani in cui ogni passione è spenta. Nella prima parte è come se qualcosa di terribile stesse per accadere intorno, nella città quasi invisibile che è la Roma del film. Ma forse è il senno di poi: il film, ultimato due anni fa, prende un aspetto diverso dopo il Covid. Queste vite senza vita, queste monadi che vivono in un condominio-limbo sembrano venir spiegate, in un cortocircuito temporale, da ciò che stiamo vivendo, come se il film fosse un' altra premonizione morettiana, più sottile e generale, dopo quelle di Palombella rossa sulla fine del Pci e Habemus Papam sul Vaticano. La macchina da presa come sempre si limita a piccoli movimenti, i toni della fotografia sono all' inizio smorti; il film, perfino nei picchi, è tutto in levare, minimo e apocalittico: accadono cose, ma sono raccontate come se non accadesse niente. O meglio come se i personaggi, cui è negata ogni psicologia, attraversassero gli eventi da sonnambuli. Lo stile è di assoluta coerenza con questa visione. Gli attori sembrano allontanati dai personaggi, lasciandoli come involucri, ultracorpi. Soprattutto i maschi. Un barlume di vita è lasciato alle donne, anche loro tenute sottotono ma capaci di risvegli: il sorriso di Rohrwacher, la rinascita di Margherita Buy (che interpreta la moglie di Moretti), gli sguardi di Elena Lietti (la moglie di Scamarcio). Perché Tre piani è anche un film su maschi ipocriti e meschini, e Moretti non è mai è stato così crudele e pietoso. Come un giudice assai più clemente di quello che interpreta nel film, Moretti perdona i suoi personaggi; ma non li assolve. A salvare questi fantasmi saranno forse le nuove generazioni, i bambini, i ragazzi: il loro guardare, esserci, andarsene. Moretti vuole crederci, che il tocco di questi ragazzini possa svegliare gli adulti da un incantesimo che li rende, direbbe il poeta, "hollow men", uomini vuoti. E la morale è il sommesso grido tra sé di Margherita Buy, mentre guarda da fuori il posto in cui è vissuta: "Ma perché questo posto dopo trent' anni mi sembra improvvisamente così triste? Mi viene voglia di bussare alla porta di tutti e di dire: svegliatevi! Il mondo è un po' più grande di questo condominio!
da La Repubblica12 luglio 2021


di Emiliano Morreale,