felicity
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venerdì 21 gennaio 2022
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simbolico e stilizzato
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Il titolo del film è la chiave di lettura di tutta la vicenda. “Potere del cane” è infatti una espressione tratta da uno dei passaggi biblici più citati in cui il sofferente fa appello a Dio, supplicandolo di liberarlo da un insuperabile e insopportabile dolore.
La lotta che vediamo consumarsi tra Phil e il resto del mondo non è dunque di natura economico-sociale. Non ci sono ricchi contro poveri, campagne contro città, lavoratori contro padroni o agricoltori contro allevatori. La posta in gioco è di tutt’altro tipo e vede contrapporsi due modelli di vita opposti, in uno scontro tra generazioni, generi e antropologie differenti.
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Il titolo del film è la chiave di lettura di tutta la vicenda. “Potere del cane” è infatti una espressione tratta da uno dei passaggi biblici più citati in cui il sofferente fa appello a Dio, supplicandolo di liberarlo da un insuperabile e insopportabile dolore.
La lotta che vediamo consumarsi tra Phil e il resto del mondo non è dunque di natura economico-sociale. Non ci sono ricchi contro poveri, campagne contro città, lavoratori contro padroni o agricoltori contro allevatori. La posta in gioco è di tutt’altro tipo e vede contrapporsi due modelli di vita opposti, in uno scontro tra generazioni, generi e antropologie differenti.
Sono temi che, ovviamente, suonano anacronistici se inseriti nel contesto del Montana del 1925. Eppure, ancora una volta, il western si dimostra genere perfetto per parlare dei massimi sistemi, specie quando si tratta di stilizzare e simbolizzare.
Bellissimo il finale (anche se i meno attenti dovranno rivederlo un paio di volte per capire cosa sia successo), che ci fa tirare le fila del discorso e ci fa comprendere che il cane, il potere da cui liberarsi, è proprio Phil, non come individuo, ma come portatore di un certo sistema di valori (quello del classico west), e come suo rappresentante ultimo. Anzi, da un certo punto di vista è lo stesso Phil ad essere liberato da se stesso e dal peso di un personaggio che sta interpretando con abnegazione, ma che – noi spettatori lo sappiamo – lo sta opprimendo. Forse anche per questo nella costruzione della soluzione finale manca l’estetica della vendetta, mai neanche per un istante sentimento-motore della narrazione: con la stessa disinvoltura con cui le automobili e i treni hanno sostituito i cavalli, il West, insieme con il suo pesante bagaglio valoriale, muore al crepuscolo, senza clamori o sensazionalismi e la sua dipartita viene accettata e interiorizzata come fosse un fatto naturale, magari un po’ singolare. Tra un vago e leggero stupore di chi lo credeva invincibile e un certo sollevamento per il fatto di essersene liberati.
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alice
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lunedì 14 marzo 2022
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un dramma familiare nella prateria del montana
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Al centro c’è la relazione tra due fratelli (“come Romolo e Remo”, stando alle parole di Phil, il maggiore) opposti nel carattere e nell’aspetto; Phil è tanto colto e crudele quanto George è superficiale e magnanimo, entrambi, però, fingono di appartenere a una terra che in realtà è ostile. Il punto di rottura arriva nel momento in cui, senza interpellare il fratello, George decide di sposare la dolce vedeva Rose, già madre di un adolescente, Peter, che sogna di diventare medico come suo padre. Il fragile equilibrio della routine dei due Burbank si disintegra e Phil, bruciante di gelosia, esterna tutta la sua frustrazione contro la donna fino a desiderare di strapparle quello che le è più caro.
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Al centro c’è la relazione tra due fratelli (“come Romolo e Remo”, stando alle parole di Phil, il maggiore) opposti nel carattere e nell’aspetto; Phil è tanto colto e crudele quanto George è superficiale e magnanimo, entrambi, però, fingono di appartenere a una terra che in realtà è ostile. Il punto di rottura arriva nel momento in cui, senza interpellare il fratello, George decide di sposare la dolce vedeva Rose, già madre di un adolescente, Peter, che sogna di diventare medico come suo padre. Il fragile equilibrio della routine dei due Burbank si disintegra e Phil, bruciante di gelosia, esterna tutta la sua frustrazione contro la donna fino a desiderare di strapparle quello che le è più caro.
Tutto si mostra arido ai nostri occhi. Non c’è vita che possa crescere rigogliosa tra la rigidità delle montagne del Montana e dei suoi abitanti. Persino i fiori di carta rischiano di appassire o di essere calpestati. Ogni personaggio vive una costante contrazione delle emozioni o perché respinti da quelli a cui vogliono bene o perché non gli è mai stato insegnato a essere liberi. Ogni volta che interagiscono sembra di assistere a un soliloquio; ognuno di loro è solo alla presenza dell’altro e non riescono mai ad avvicinarsi abbastanza da far scoppiare le bolle in cui sono rinchiusi. Anche la rabbia viene sempre sottesa sotto un alone di disprezzo, sintomo di una continua soppressione del proprio vero io, che dalla paura di essere sé stessi porta alla degradazione dell’altro.
Inoltre, si ha la costante impressione che gli attori abbiano perennemente i muscoli in tesione e che ogni parola prima di essere pronunciata venga soppesata mentalmente. In generale, la sceneggiatura del film per mostrarci il lato più intimo dei vari soggetti, più che dialoghi rivelatori, utilizza l’escamotage dello sbirciare da una porta socchiusa. Solo così scopriamo la vera natura o la vera sofferenza, celate dal velo dell’arroganza, dell’indifferenza e della passività.
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brunopepi
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domenica 9 gennaio 2022
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uggioso ma con raffinatezza
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IL POTERE DEL CANE (2021)
(The Power of the Dog) Regia: Jane Campion
Nuova Zelanda/GB - Neo Western
Cast: Benedict Cumberbatch, Kirsten Dunst, Jesse Plemons, Kodi Smit-McPhee
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IL POTERE DEL CANE (2021)
(The Power of the Dog) Regia: Jane Campion
Nuova Zelanda/GB - Neo Western
Cast: Benedict Cumberbatch, Kirsten Dunst, Jesse Plemons, Kodi Smit-McPhee
Dall'adattamento cinematografico dell'omonimo romanzo del 1967 di Thomas Savage, la Campion, ormai riconosciuta maestra nel sapere esternare le peculiarità più celate dei personaggi con le loro sofferenze e debolezze, confeziona un lavoro finale ben spalleggiato da un rimarchevole cast, da una fotografia dalle tonalità calde e pacate, da una bella colonna sonora, e che, nonostante ciò, si smarrirà in sequenze affievolite e tediose che non permettono al film di poter decollare, e per poi perdersi in quel silenzioso e agonizzante west, proiettato verso la nueva era di ferrovie moderne, automobili e di quell'incalzante progresso in generale che farà crescere l'America.
Quindi se ci si aspetta un western classico, ci si imbatte in quel che si potrebbe definire un moderno western psicologico, incentrato su un soggetto cinematografico angoscioso, avviato più verso un'analisi caratteriale dei personaggi che nell'intento di creare un brivido, apprensione o carisma, e dove i quattro protagonisti vagano dentro spazi ristretti e incapsulati dalle loro solitudini e apprensioni.
Facile da dimenticare se non fosse per un'importante firma ed un' apprezzabile interpretazione dell'atipico e glaciale cowboy Cumberbatch.
Voto 6
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carlosantoni
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venerdì 10 dicembre 2021
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wandervogel nel montana
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La Campion dà un titolo inutilmente involuto a un film senz’altro degno di nota. Ho letto del significato del titolo, relato a un versetto biblico del cui senso, francamente, molto francamente, penso si possa fare a meno. Il film sarebbe bello e interessante anche se fosse intitolato: “Laggiù nel Montana, fra mandrie e cowboys, c’è sempre qualcuno di troppo fra noi”. O, più sinteticamente: “Diversi ma uguali”, come in “Palombella rossa” di Moretti, salvo che qui diversi ma uguali andrebbe inteso in altra accezione.
All’inizio del film ci sono due fratelli che non si somigliano in niente, il protagonista Phil, e Jesse.
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La Campion dà un titolo inutilmente involuto a un film senz’altro degno di nota. Ho letto del significato del titolo, relato a un versetto biblico del cui senso, francamente, molto francamente, penso si possa fare a meno. Il film sarebbe bello e interessante anche se fosse intitolato: “Laggiù nel Montana, fra mandrie e cowboys, c’è sempre qualcuno di troppo fra noi”. O, più sinteticamente: “Diversi ma uguali”, come in “Palombella rossa” di Moretti, salvo che qui diversi ma uguali andrebbe inteso in altra accezione.
All’inizio del film ci sono due fratelli che non si somigliano in niente, il protagonista Phil, e Jesse. La loro polarità è messa in chiaro fin da subito da Phil, che per descriverla dice: “Siamo Romolo e Remo”.
Questa polarità lascia poi spazio, nello sdipanarsi della trama, al rapporto apparentemente polare, ma che pian piano risulta essere collaterale, fra Phil stesso e il giovane efebico Peter. Al fondo della storia c’è l’omosessualità: abbastanza esplicita e pacificamente vissuta dal giovane Peter, e quella invece mimetica e probabilmente negata di Phil. Il fatto è che Phil, crocevia delle molteplici relazioni interpersonali della storia, la sua sostanziale omosessualità la vive alla maniera dei Greci, in particolare direi degli Spartani, ossia come affermazione omosessuale (non sembri un paradosso) del primato del maschio sulla femmina: e così come nella Grecia antica la donna contava poco o niente, se non era l’Aspasia di Pericle, ed era relegata alla funzione di serva e mero strumento riproduttivo, ecco che nel Montana del 1920 la donna o è serva di casa, o puttana da saloon, o ubriacona approfittatrice. Meno male, deve pensare Phil, ci siamo noi maschi! Maschi come genere, certamente, ma non certo eterosessuali.
E come gli antichi Greci in genere e gli Spartani in particolare, anche Phil unisce alla marcata misoginia un’ottima dose di razzismo e di violenza.
Il racconto è colto, la Campion fa (almeno credo) evidente riferimento alla contemporanea vicenda tedesca dei Wandervogel, alla loro ideologia circa il primato della natura, al rapporto individuale e collettivo (soprattutto fra maschi) con l’ambiente naturale, al ripudio di tutto ciò che è “Bildung”, ancor più “Civilisation”. Come i giovani studenti maschi tedeschi suoi contemporanei, anche Phil rifugge dalle costrizioni culturali e sociali: è colto e intelligente, ma vuol esserlo in modo rozzo e spontaneo. Di famiglia molto facoltosa di allevatori, se lo volesse potrebbe vivere da perfetto borghese come il fratello George, solo che lui non lo vuole affatto: ci sono riviste, che tiene nascoste, che parlano e mostrano corpi nudi maschili, muscolosi, allenati, ginnici, lui se ne sente attratto. Porta i suoi vaqueros, o cowboys, a pranzare e a divertirsi con le donne di un saloon, ma lui non si concede a tali sollazzi, l’eterosessualità non lo stimola affatto, disprezza le donne: fa sua un’idea “maschia” dell’omosessualità, ed è seguendo questa traccia che cerca di fare da anfitrione al giovane Peter, il quale è sì’ omosessuale come lui, ma non ci pensa affatto a essere perciò “maschio”, cioè a vivere in un mondo ripulito dalle femmine: a lui, così intimamente femmineo, le femmine non danno per niente noia, anzi…
Trovo bellissima la trovata stilistica per cui, quando ad un certo punto Phil si apparta, per raggiungere un lago nascosto in cui bagnarsi, ecco che per raggiungerlo deve scoprire l’ingresso di un pertugio, penetrare in un budello fatto di vecchi rami di alberi caduti, sfociare dall’altra parte, proprio come “Alice in Wonderland”: “Wandervogel”, “Wonderland”… Sono percorsi d’iniziazione. Dall’altra parte, si denuda e in silenzio si cosparge il corpo di melma, cioè ci si mimetizza, poi ci si tuffa nell’acqua immota e fredda di un laghetto, riemerge, e con altri compari si sdraia nudo sull’erba, mentre altri cavalcano a pelo, corpo umano contro corpo equino, in un tutto indistinto, dove il tutto pare convivere in totale armonia.
Jane Campion descrive nel film questo duplice modo di vivere la propria omosessualità, e del conflitto che inevitabilmente ne esce. Parrebbe di capire (ma la mia è solo un’ipotesi) che chi la vive spontaneamente come Peter, senza troppe sovrastrutture, alla fine, contro ogni apparenza, risulta essere il più forte: perciò prevale.
Notevole la prova degli attori, soprattutto di Benedict Cumberbatch. Eccellente la fotografia, e non solo sugli esterni, che sono spettacolari, ma anche sugl’interni e sui lenti primi piani. Intelligente la colonna sonora, costruita intorno a brani di musica elettronica algida, rattenuta, che niente concede alla commozione.
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carlosantoni
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venerdì 10 dicembre 2021
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wandervogel nel montana
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Il film ha un titolo inutilmente criptico, avrebbe potuto intitolarsi semplicemente “Diversi ma uguali”, come in “Palombella rossa” di Moretti, salvo che qui “diversi ma uguali” andrebbe inteso in altra accezione. Ci sono due fratelli che non si somigliano in niente, il protagonista Phil, e Jesse. La loro polarità è messa in chiaro fin da subito da Phil, che per descriverla dice: “Siamo Romolo e Remo”. Questa polarità lascia poi spazio, nello sdipanarsi della trama, al rapporto apparentemente polare, ma che pian piano risulta essere collaterale, fra Phil stesso e il giovane efebico Peter. Al fondo della storia c’è l’omosessualità: abbastanza esplicita nel giovane Peter, mimetica e probabilmente negata in Phil.
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Il film ha un titolo inutilmente criptico, avrebbe potuto intitolarsi semplicemente “Diversi ma uguali”, come in “Palombella rossa” di Moretti, salvo che qui “diversi ma uguali” andrebbe inteso in altra accezione. Ci sono due fratelli che non si somigliano in niente, il protagonista Phil, e Jesse. La loro polarità è messa in chiaro fin da subito da Phil, che per descriverla dice: “Siamo Romolo e Remo”. Questa polarità lascia poi spazio, nello sdipanarsi della trama, al rapporto apparentemente polare, ma che pian piano risulta essere collaterale, fra Phil stesso e il giovane efebico Peter. Al fondo della storia c’è l’omosessualità: abbastanza esplicita nel giovane Peter, mimetica e probabilmente negata in Phil. Il fatto è che Phil, crocevia delle molteplici relazioni interpersonali della storia, la sua sostanziale omosessualità la vive alla maniera dei Greci, in particolare direi degli Spartani, ossia come affermazione omosessuale del primato del maschio sulla femmina: e così come nella Grecia antica la donna contava poco o niente, se non era l’Aspasia di Pericle, ed era relegata alla funzione di serva e mero strumento riproduttivo, ecco che nel Montana del 1920 la donna o è serva di casa, o puttana da saloon, o ubriacona. E come gli antichi Spartani, anche Phil unisce alla marcata misoginia un’ottima dose di razzismo e di violenza. La Campion fa (almeno credo) evidente riferimento alla contemporanea vicenda tedesca dei Wandervogel, alla loro ideologia esaltante il primato della natura, il rapporto (soprattutto fra maschi) con l’ambiente naturale, il ripudio di tutto ciò che è “Bildung”, ancor più “Civilisation”. Come i giovani maschi tedeschi suoi contemporanei, anche Phil rifugge dalle costrizioni culturali e sociali: è colto e intelligente, ma vuol esserlo in modo rozzo e spontaneo. Di facoltosa famiglia di allevatori, potrebbe vivere da perfetto borghese come il fratello George, solo che lui non lo vuole: ci sono riviste, che tiene nascoste, che parlano e mostrano corpi nudi maschili, muscolosi, allenati, ginnici, lui se ne sente attratto. Porta i suoi vaqueros, o cowboys, a pranzare e a divertirsi con le donne di un saloon, ma non si concede a tali sollazzi, l’eterosessualità non lo stimola, disprezza le donne: fa sua un’idea “maschia” dell’omosessualità, ed è seguendo questa traccia che cerca di fare da anfitrione al giovane Peter, il quale è sì’ omosessuale come lui, ma non ci pensa affatto a essere “maschio”, cioè a vivere in un mondo ripulito dalle femmine: a lui, così intimamente femmineo, le femmine non danno per niente noia.
Bellissima la trovata per cui, quando ad un certo punto Phil si apparta per raggiungere un lago nascosto in cui bagnarsi, ecco che per raggiungerlo deve penetrare in un budello fatto di rami di alberi caduti, sfociare dall’altra parte, proprio come “Alice in Wonderland”: “Wandervogel”, “Wonderland”… Sono percorsi d’iniziazione. Dall’altra parte, si denuda e in silenzio si cosparge il corpo di melma, cioè ci si mimetizza, poi ci si tuffa nell’acqua immota di un laghetto, riemerge, e si sdraia nudo sull’erba, mentre altri compari cavalcano a pelo, corpo umano contro corpo equino, in un tutto indistinto, dove il tutto pare convivere in totale armonia. Jane Campion descrive nel film questo duplice modo di vivere la propria omosessualità, e del conflitto che inevitabilmente ne esce. Parrebbe di capire (ma la mia è solo un’ipotesi) che chi la vive spontaneamente come Peter, senza troppe sovrastrutture, alla fine, contro ogni apparenza, risulta essere il più forte: perciò prevale. Notevole la prova di Benedict Cumberbatch. Eccellente la fotografia, e non solo sugli esterni, che sono spettacolari, ma anche sugl’interni e sui lenti primi piani. Intelligente la colonna sonora, costruita intorno a brani di musica elettronica algida, rattenuta, che niente concede alla commozione.
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abramo rizzardo
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sabato 4 dicembre 2021
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un western delicato, intimo ma anche brutale
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Jane Campion torna sul grande schermo con sensazionali pretese: un western ambientato nel Montana del 1925 ( che fa eco per certi aspetti a “Brokeback Mountain”, capolavoro di Ang Lee ), con protagonisti Benedict Cumberbatch, Kirsten Dunst e Jesse Plemons.
Una donna, Rose, assieme al figlio Peter ( dai tratti sovrasensibili ma talvolta brutalmente dissacranti ), si spostano nel Ranch del marito George Burbank, dopo che i due si sono sposati: sarà il fratello, Phil Burbank, interpretato da un magistrale Benedict Cumberbatch, ad infastidire la dolce e superficiale quiete famigliare.
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Jane Campion torna sul grande schermo con sensazionali pretese: un western ambientato nel Montana del 1925 ( che fa eco per certi aspetti a “Brokeback Mountain”, capolavoro di Ang Lee ), con protagonisti Benedict Cumberbatch, Kirsten Dunst e Jesse Plemons.
Una donna, Rose, assieme al figlio Peter ( dai tratti sovrasensibili ma talvolta brutalmente dissacranti ), si spostano nel Ranch del marito George Burbank, dopo che i due si sono sposati: sarà il fratello, Phil Burbank, interpretato da un magistrale Benedict Cumberbatch, ad infastidire la dolce e superficiale quiete famigliare.
Una regia che attraverso la sua discrezione, i suoi primissimi piani, i particolari del volto e i lunghissimi campi, riesce a coinvolgerci appieno all'interno di questa storia che fondamentalmente parla di comunicabilità, di gestione delle emozioni e di tolleranza.
Le enormi capacità della regista di culto sono quelle di esprimere, attraverso ogni precisissima movenza dei suoi personaggi, una caratterizzazione così profonda che ci vuole qualche visione per cogliere ogni attimo fuggevole, che fa scoprire qualcosa in più ogni volta alla storia e al personaggio in sé.
Benedict Cumberbatch è mostruoso nella recitazione, e Kirsten Dunst le va dietro che è davvero una meraviglia: tant'è che nel set i due attori, non si parlarono mai ( ciò ricorda molto l'atmosfera del set de “ Il silenzio degli innocenti ”, tra Hopkins e la Foster ), proprio per aumentare la credibilità delle loro performance; lui è un bischero, un burbero che se la prende con tutti e che con suo fratello riesce a parlare solo di sesso quasi, ( poi in realtà non è così, e qui la Campion rivela la sua grandissima abilità nello sfumare i suoi personaggi, che così abilmente vengono diretti ), lei, la madre del ragazzotto femmineo ( ma virile nella sua intelligenza ), addolorata fino al midollo per la situazione famigliare, riesce, con solo lo sguardo ( che ricorda il modo di recitare che adottò in “ Melancholia” di Lars von Trier ), a dire tutto, dipingendo una donna priva di ogni stimolo vitale, se non appunto per il figlio e basta.
Jane Campion riesce a creare la tensione in ogni scena, anche se superficialmente l'azione è superflua, come quella di suonare un piano: utilizzando sapientemente la regia e dosando movimenti di macchina composti da carrellate lente alternate in montaggio; proprio come nella scena in cui Rose prova a suonare il nuovo piano regalatole dal marito, per un'incombente festa con figure di alto livello, ma non le viene un motivetto musicale, e inizia ad innervosirsi; come se non bastasse entra in scena senza farsi sentire, il fatidico Phil, che salito al primo piano, inizia a “ giocare ” con l'incapacità della donna nel suonare, alternando il suono del suo strumento con quello di Rose, al piano di sotto: primissimo piano dal basso dell'assoluto Benedict Cumberbatch e alternarsi con lente carrellate verso Kirsten Dunst, infastidita oltre ogni dire, in un gioco ambiguo tra la provocazione, l'arroganza e la voglia di dominare.
Parte spoiler
Prendendo in esame tutto il film, comprendiamo molte cose verso la fine: il ragazzo, Peter, è stato abile nell'uccidere Phil; e ciò lo si comprende da diverse sottilissime azioni, che in maniera registicamente esplicita vengono confermate.
Il ragazzo vede in Phil tutto il male di sua madre, ma attende, scaltro e fermo nel suo agire; le pelli del burbero vengono vendute da Rose, e il figlio, guarda-caso, in qualche scena prima aveva reciso alcuni pezzi di pelle dall'animale morto dalla stessa malattia di Phil, l'antrace, come lo si nota dal sangue che fuoriesce dall'organo di espulsione gocciolante.
La fatidica sera capiamo tramite un gioco di regia, che ci mostra un'azione svolta sott'acqua, che la corda ricavata dalla pelle, ancora vergine, viene toccata da Phil, e la Campion sembra rimarcarlo con questa ripresa, come ad enfatizzare l'assassinio, che si sta già mettendo in atto: difatti sarà la sera del delitto premeditato del giovane; proprio come un cattivo il ragazzo gli offre una sigaretta, spietato, come se gli offrisse l'ultima cena, l'ultimo regalo.
Il giorno dopo, lo stesso ragazzo, tocca la corda pronta, finita da Phil, con dei guanti, proprio perché sa che ha ancora tracce della malattia utilizzata per l'assassinio la sera prima.
Perché Peter ha ucciso Phil? Perché vedeva in lui ogni sofferenza della madre, dalla sua alcolicità, ai suoi problemi relazionali.
Ne è felice dell'assassinio?
Non possiamo dirlo con certezza, ma probabilmente sì: nell'ultima scena, il figlio vede arrivare la madre Rose assieme al marito George dal funerale del fratello; sembrano però tornare da una festa, poiché la madre bacia appassionata il marito: lenta carrellata a retrocedere, che mostra il figlio Peter, che sorride, esce dallo shot a sinistra e il film si conclude; lui ha avuto ciò che voleva, loro si sono sbarazzati del sasso nella scarpa e tutto si è sistemato per il meglio.
Tirando le somme
Un gioco abilissimo, che incastra perfettamente ogni cosa a fine pellicola: la sua potenza sta proprio nei particolari, estremamente studiati e meticolosi.
Una riprova della maestria della regista, che sapientemente tesse la tela per questo piccolo gioiello moderno.
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