loland10
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domenica 27 febbraio 2022
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bascule ben...precise
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“Il capo perfetto” (El buen patròn, 2021) è il decimo lungometraggio del regista-sceneggiatore spagnolo di Madrid, Fernando Leòn de Aranoa.
Film scaltro e cinico, irriverente e furbo, ironico e spassoso, vulgato e compiaciuto.
Una storia che si addentra in un sistema lavorativo per il bene di tutti ma, soprattutto e unicamente, per il bene del ‘buon padrone’: che mangia, parla, discute, va a letto con lo stesso stile. Per non farsi vedere e nascondersi. Chi sa se poi è tutto nascosto e la moglie si immedesima nel personaggio opposto per non far cadere ‘la trama’ senza tregua del film…
E’ disuguale sempre il capo Julio Blanco nella sua azienda costruttrice di bilance.
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“Il capo perfetto” (El buen patròn, 2021) è il decimo lungometraggio del regista-sceneggiatore spagnolo di Madrid, Fernando Leòn de Aranoa.
Film scaltro e cinico, irriverente e furbo, ironico e spassoso, vulgato e compiaciuto.
Una storia che si addentra in un sistema lavorativo per il bene di tutti ma, soprattutto e unicamente, per il bene del ‘buon padrone’: che mangia, parla, discute, va a letto con lo stesso stile. Per non farsi vedere e nascondersi. Chi sa se poi è tutto nascosto e la moglie si immedesima nel personaggio opposto per non far cadere ‘la trama’ senza tregua del film…
E’ disuguale sempre il capo Julio Blanco nella sua azienda costruttrice di bilance. E uno che ‘dona’ bilance non può che stare in un equilibrio probo e fittizio, giusto e miserevole. Per vincere sempre e comunque. Basta un po’ di escremento umano per far ballare un piatto della bilancia e poi misurarlo con una pallottola per controllore ogni minimo dislivello.
“A volte bisogna truccare la bilancia perché i conti tornino“.
Non si guarda in faccia a nessuno, con rara furbizia e manovalanza,dal taglio lavorativo licenziando per ‘il bene dell’azienda’ fino al premio che deve arrivare comunque e in ogni caso. L’ispezione arriva quando ogni frase, ogni oggetto e ogni bilancia funzionano a dovere.
‘Esfuerzo, equilibrio, fidelidad’ (sforzo, equilibrio, fedeltà).
Ecco il capo deve arrivare all’ennesimo premio in bacheca percorrendo ogni tipo di strada, più o meno impossibili, causticamente e moralmente impervie ma ‘ovvie’ per un mondo da correggere quando conviente e fa comodo. Commedia e non indagine sociale, film strappa risate strette ma poco addentro al vero mondo lavorativo. Ognuno fa da se quello che gli rende il pari e pariglia(mente) si adatta.
“Questo è come un figlio…adottivo”, Blanco esclama all’ispettore verso un operaio ‘non spagnolo’ che in quanto a notti amorose non veniva meno (verso una donna in crisi o la giovane manager doppio-giochista). Basta un barlume di gloria e l’agognato premio finale. Ecco, il finale veramente sarcastico e non certo liberatorio. Ma, tant’è….
Javier Bardem copre lo schermo in modo ininterrotto anche quando ci sono altri e sembra che si parli di altro. A tutto tondo, il faccione e i suoi modi quasi trasandati per la ‘sua grande famiglia’ (l’azienda e gli operai). Il congegno delle sue apparizioni e dei suoi modi ‘gentili’ o ‘persuasivi’, ‘comodi’ o ‘perentori’ stonano oltremodo per cavalcare l’onda della ‘sua prima fila’. La risata arriva (quasi in…attesa). E tutto il contraltare con l’operaio licenziato (barricato in territorio neutrale davanti alla fabbrica) sembra un qualcosa di eccessivo: dalle rime baciate fino all’intervento della polizia. E il guardiano dell’azienda è pur sempre servibile anche per una prima d’opera e un testimone lontano.
L’attore spagnolo appare convincente e porta il film dove desidera, quasi facendosi seguire dal regista. Recitazione liberamente a soggetto. Unico pericolo: far vedere tutto. La lunghezza in ogni contesto e lo zelo liberatorio per un piacere …. forzato.
Scelto per rappresentare la Spagna ai prossimi premi Oscar.
Locandina da ‘reclame’ con applausi e premi (da conquistare).
Regia: brillante e bilanciata (a dovere).
Voto: 6,5/10 (***) -cinema caricaturale-
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(di wolverine)
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crispino seidenari
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sabato 1 gennaio 2022
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spietato
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I cineasti spagnoli, per natura e tradizione, non tendono mai a mitigare l'impeto turbolento delle passioni o a negare la brutalità, spesso contorta e crudele, della vita. Per tutta la durata della proiezione lo spettatore è cosciente di assistere ad una commedia, ma è al tempo stesso turbato da un'ostinata inquietudine che non sembra conciliabile con il genere umoristico.
La dimensione comica della narrazione non nasce da vicende grottesche che deformano la realtà del nostro tempo esasperando difetti dei personaggi o proponendo coincidenze improbabili. Il riso scaturisce dalla frequenza incalzante di circostanze paradossali, tutte, se non nella forma almeno nella sostanza, rigorosamente plausibili.
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I cineasti spagnoli, per natura e tradizione, non tendono mai a mitigare l'impeto turbolento delle passioni o a negare la brutalità, spesso contorta e crudele, della vita. Per tutta la durata della proiezione lo spettatore è cosciente di assistere ad una commedia, ma è al tempo stesso turbato da un'ostinata inquietudine che non sembra conciliabile con il genere umoristico.
La dimensione comica della narrazione non nasce da vicende grottesche che deformano la realtà del nostro tempo esasperando difetti dei personaggi o proponendo coincidenze improbabili. Il riso scaturisce dalla frequenza incalzante di circostanze paradossali, tutte, se non nella forma almeno nella sostanza, rigorosamente plausibili.
È molto eloquente la scena finale: l'esercizio dell'autorità non è meno penoso del doverlo subire.
Encomiabili sia la sceneggiatura che le interpretazioni dei protagonisti
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