Il Capofamiglia

In Egitto basta un mago ciarlatano per trasformare un patriarca in un pollo

Una coppia con tre bambini vive in un piccolo alloggio sordido di un quartiere popolare del Cairo. Il marito è un prepotente che impone alla famiglia le regole di un'autorità vetero-patriarcale, lasciandole solo l'indispensabile per sopravvivere. Durante una festa di compleanno, un mago-ciarlatano compie un prodigio: il marito è trasformato in pollo. In un film di produzione occidentale sarebbe stata l'occasione per esibire effetti speciali: non in questo primo lungometraggio del giovane regista egiziano Omar El Zohairy, premiato alla Settimana della Critica di Cannes 2021 e al Torino Film Festival: l'uomo entra in una cassa da cui esce, semplicemente, un pennuto. Così la donna si ritrova da sola, a dover mantenere la famiglia mentre cerca di riportare il marito alla forma umana. Però la vera metamorfosi, più che dall'uomo, sarà quella subita da lei. Siamo dalle parti di un'opera d'ispirazione tardo-neorealista: del genere che il pubblico un po' snob dei grandi festival si aspetta da una produzione "esotica", soprattutto se musulmana, Con qualche tocco di miserabilismo e relative note sulle tremende condizioni quotidiane delle donne. Ed ecco che qui, invece, s'impone una situazione inaspettata, da "realismo magico", che spariglia le carte assegnando alla madre il ruolo di capofamiglia. La scomparsa del marito a causa dello strampalato esperimento di magia non è una liberazione per la povera donna, che si trova a dover fronteggiare la nuova condizione tutta sola (il personaggio è praticamente muto e non sorride quasi mai) mentre debiti e problemi le si moltiplicano intorno. Pur lanciando un'invettiva contro il patriarcato che erode ancora tante società orientali (la storia aspira a una portata universale), EI Zohairy introduce nel suo film un umorismo a denti stretti, che fa un insolito ménage con la realtà dei luoghi sporchi e poveri in cui l'azione è ambientata. Ispirandosi ad Aki Kaurismakl, di cui è ammiratore, il regista mette in scena il quotidiano coniugando il realismo magico e la poesia burlesca, senza cedere alla tentazione del miserabilismo o del compiacimento pauperistico. È un modo di interpellare la realtà sociale deridendola e mostrandone le assurdità. Omar El Zohairy pone una grande attenzione anche al linguaggio del suo film. La composizione delle inquadrature è studiata per far risaltare al meglio gli elementi di surrealismo della storia. Accurata la scelta dei colori, tra i quali dominano il grigio e l'ocra della polvere dei quartieri poveri. Attrici e attori non professionisti svolgono al meglio il proprio compito. Particolarmente interessante la scelta delle scenografie: un labirinto di abitazioni distinte ma tutte interconnesse e accatastate, che disegnano uno spazio profondamente disumano.
Da La Repubblica, 16 marzo 2023


di Roberto Nepoti, 16 marzo 2023