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Una farsa scarpettiana recitata, su un canovaccio scritto dall’umorista Pino Imperatore, da una compagnia di teatranti napoletani d’eccezione, con protagonista un boss buffamente inadeguato, un redivivo Sciosciammocca interpretato felicemente da Giovanni Esposito, le cui improbabili gesta da camorrista sono raccontate dalla voce narrante di Peppe Lanzetta.
Commedia leggera come una nuvola, che non ha altra pretesa se non di divertire e ci riesce benissimo. Ci sono gags irresistibili, anche se alcune risultano citazioni aggiornate di altri film, come il messaggio dettato al telefonino, che rinvia palesemente alla famosa lettera di Totò e Peppino già rifatta da Troisi e Benigni, e la sequenza finale, nella quale la famiglia si stringe solidale contro la prepotente invadenza del vero camorrista, interpretato da Francesco Di Leva, già Sindaco del rione Sanità con Martone, che ricorda molto da vicino l’analoga scena dell’episodio de’ Il guappo nel L’oro di Napoli di Vittorio de Sica.
Lasciando perdere l’impossibile paragone con i mostri sacri del cinema e del teatro partenopeo, occorre riconoscere a Gianluca Ansanelli il meritodi aver riportato sullo schermo lo schema classico e le atmosfere della vecchia farsa napoletana, che si chiudeva immancabilmente con la richiesta del capocomico alla platea di applaudire se avesse gradito lo spettacolo ed il film finisce con una sonora risata di Lanzetta e dei suoi commensali ad un banchetto in riva al mare, suggestivamente richiamando le reazioni di quel pubblico di allora che rideva delle sue sventure, per tirare a campare nonostante tutto, in quel paradiso abitato da diavoli che è Napoli.
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